Bruno Ugolini, giornalista, storico cronista del quotidiano “l’Unità”, è autore di un volume, “Vite ballerine. Prima e dopo il Jobs Act” (Ediesse, pp. 259, 13 euro), approdato proprio in questi giorni in libreria. Che fine avranno fatto Paolo, Federico, Marianna, Antonella, Sissi, Maristella, Sofia, i tanti giovani atipici e precari che ho incontrato in quindici anni come autore di una rubrica a loro dedicata, ogni lunedì, sul giornale l’Unità, dal 2001 al 2015? Sono i veri protagonisti di questo libro, che ho costruito operando una cernita fra le centinaia di puntate. Forse alcuni avranno trovato una collocazione, sia pure non garantita “per sempre”, nell’ambito del Jobs Act. La stragrande maggioranza di loro e di quelli che a loro sono succeduti immaginiamo che siano alle prese con un paese che “decresce” e con la difficoltà di essere collocati in un lavoro davvero stabile e, comunque, con la possibilità di essere tutelati dalle malattie, dagli infortuni, dal cambio repentino e irragionevole di qualifica, da prospettive pensionistiche pauperistiche, da licenziamenti non seriamente motivati. La prefazione al libro di
Ugolini è stata scritta dal segretario generale della Cgil, Susanna Camusso.
Nel libro di Ugolini, accanto alle analisi di Susanna Camusso e Serena Sorrentino, si possono leggere le riflessioni di Claudio Treves (segretario del Nidil Cgil), di Loredana Taddei (Politiche di genere Cgil), di Marco Di Girolamo (segretario della Fillea Lombardia), di Carmelo Barbagallo (segretario generale della Uil), del giuslavorista Umberto Romagnoli, di uno studioso come Michele Tiraboschi, ma anche quelle assai diverse di Cesare Damiano (presidente della Commissione Lavoro), di Tiziano Treu (già ministro del Lavoro) e del segretario confederale della Cisl Gigi Petteni. Assieme alle analisi, le testimonianze di chi vive sulla sua pelle, anche nel 2016, una condizione precaria e di chi ha trovato, con le nuove norme, una gratificante soluzione sia pure non definitiva. Una varietà di posizioni che però non sembrano ostacolare, a livello sindacale, una possibile ripresa unitaria. Come testimonia l’accordo raggiunto da Cgil, Cisl e Uil sulla proposta di un nuovo sistema contrattuale.
Anche i giovani che riusciranno a entrare, tramite le sovvenzioni alle imprese previste dal Jobs Act, in luoghi di lavoro, lo faranno con sopra la testa una spada di Damocle. Ovvero, la paura di perdere quel “posto” prezioso, dopo i tre anni, perché licenziati senza possibilità di reintegro anche per futili motivi. Magari perché osano contestare ritmi insostenibili, ambienti nocivi, attacchi all’integrità psicofisica, controlli sui loro telefonini o i loro tablet. Magari perché osano avvicinare il sindacato, organizzare i propri compagni.
Una paura, una dose sedativa destinata a permeare nel tempo, via via che le nuove assunzioni sostituiranno la vecchia manodopera, l’intero mondo del lavoro privato di diritti essenziali. Anche per questo acquista un grande valore la Carta dei diritti universali del lavoro voluta dalla Cgil. Una proposta, una leva per il possibile cambiamento.