Oltre 8 lavoratori romani su 10 (83,9%) si dicono soddisfatti dello Smart working. Sono soprattutto i dipendenti del settore privato ad esprimere maggiore entusiasmo anche se la preferenza va verso un’alternanza tra lavoro in remoto e in presenza. Perché la mancanza dei colleghi e di un confronto sembra farsi sentire anche tra chi vorrebbe prolungare lo Smart working oltre i sei mesi. Questo quanto emerge da un’indagine condotta dalla UIL del Lazio e dall’Eures su un campione di 763 lavoratori, prevalentemente romani, ai quali è stato somministrato un questionario sulle opportunità e i problemi del lavoro a distanza.
Tra gli intervistati, l’85,5% lavora nel settore privato e il 14,5% nel pubblico, con una prevalenza di occupati nel terziario (63,2%), rispetto a quelli dell’industria (31,9%) e del settore primario (4,9%). Nella quasi totalità dei casi si tratta di dipendenti con un contratto a tempo indeterminato (97,2% del totale) e a tempo pieno, suddivisi in dirigenti, funzionari e quadri (31,7%) e impiegati (68,3%), con un’equa suddivisione tra laureati e diplomati. La maggior parte (66,3%) lavora in imprese o organizzazioni con più di 500 addetti, mentre solo il 3,8% del campione lavora in strutture con meno di 50 addetti e per oltre il 90% di questi il lavoro “da remoto” ha rappresentato un’esperienza completamente nuova.
Dei 763 intervistati solo il 5,1% ha espresso un giudizio negativo sullo Smart working, ma pur nella soddisfazione generale, non mancano le criticità: per il 57,7% degli intervistati il tempo dedicato al lavoro è aumentato, a fronte di un esiguo 3,6% per il quale è diminuito; il 39,4% segnala inoltre un aumento dei carichi di lavoro, mentre è ancora il 3,6% a indicarne l’alleggerimento; diverso è il tema della produttività che ben il 59,3% degli intervistati definisce migliorata.
Per quanto riguarda la sicurezza e lo stress lavoro correlato, il passaggio al lavoro agile ha comportato nel complesso un miglioramento della situazione (si pensi, ad esempio, a tutti gli infortuni in itinere che arrivano a rappresentare circa un quinto dell’intero fenomeno infortunistico).
Il cambiamento più critico – spiega la ricerca – riguarda la questione delle prospettive di carriera e della crescita retributiva, che soltanto l’1,7% dei lavoratori considera accresciute con il passaggio al lavoro agile, a fronte del 19,4% – ovvero un lavoratore su cinque – che ne segnala l’arretramento (il 78,8% non riscontra cambiamenti significativi al riguardo); ciò sembra significare che il distanziamento tra lavoratore e ambiente di lavoro finisca per indebolire la forza contrattuale di tale componente. Nel confronto tra lavoratori del settore pubblico e del privato sono i primi a segnalare in misura maggiore un aumento dei carichi di lavoro (50,9% contro il 37,5% di quelli del privato), così come un aumento dello stress (36,4% contro il 25,1%); tra i lavoratori del privato sono invece più numerosi quanti segnalano un aumento della produttività, con il 60,3% delle indicazioni contro il 54,1% tra i lavoratori del pubblico. Tra i maggiori punti di forza associati allo smart working, emerge il risparmio del tempo necessario agli spostamenti casa-lavoro (75,5% delle indicazioni), apprezzamento che raggiunge l’85,6% tra i più giovani (fascia under 39) e che rappresenta un fattore determinante per chi lavora nell’area metropolitana di Roma – prima tra le Capitali europee per numero di autovetture private e fanalino di coda per i tempi di spostamento – arrivando ad impegnare anche due ore quotidiane e superando ampiamente tale soglia nei pendolari che quotidianamente raggiungono la Capitale dai comuni o dalle province vicini.
Il 48,1% del campione indica invece come vantaggio del lavoro “da remoto” la maggiore possibilità di conciliare gli impegni lavorativi e la cura domestica e familiare, mentre per il 41,8% degli intervistati il passaggio allo smart working ha comportato un risparmio economico, venendo meno sia i costi degli spostamenti (abbonamenti a bus e/o treni, carburante, parcheggio, ecc.) sia le altre spese legate alla presenza fisica in ufficio, quali i pasti fuori casa.
Per un lavoratore su 3, invece, un elemento di vantaggio è rappresentato dalla possibilità di svincolarsi dai tradizionali orari di lavoro, potendo decidere autonomamente i tempi di svolgimento della propria attività lavorativa, all’interno di un sistema lavoro che privilegia la qualità delle prestazioni e non la mera “quantità di lavoro” espressa in termini di ore lavorate.
La possibilità di conciliare attività lavorativa e cura domestica è un vantaggio espresso soprattutto dai lavoratori di età compresa tra i 40 e i 54 anni (54,1%), dove si concentrano le coppie con figli minori che nel periodo del lockdown hanno affrontato il lavoro da “remoto” insieme al carico di impegni e responsabilità derivante dalla chiusura delle scuole e/o dalle esigenze della didattica a distanza.
Dall’indagine Uil Lazio emerge infatti che laddove le organizzazioni sindacali sono state coinvolte nella decisione del passaggio allo smart working si sono rafforzati i vantaggi legati al rapporto di lavoro: più marcata risulta la possibilità di conciliare meglio vita lavorativa e responsabilità familiare (52,9% contro 38,5%) e la flessibilità dell’orario di lavoro (34,6% contro il 30,8%). Rimangono però varie criticità. In primis, la perdita della socialità e del confronto con i colleghi che si conferma il principale aspetto negativo legato all’esperienza dello smart working, segnalato da oltre la metà del campione, registrando il numero di citazioni più elevato tra i lavoratori over54enni (60,3%), attestandosi al 56% tra gli under39enni e risultando pari al 51,2% tra i lavoratori di 40-54 anni. Anche la sovrapposizione tra tempi e spazi di vita e di lavoro appare un elemento critico avvertito trasversalmente dal campione; in particolare sono soprattutto i giovani under 40 (43,1%) a rilevare una mancanza di separazione netta tra tempi di vita familiare e di lavoro. A fronte di un marcato interesse verso il lavoro agile, i lavoratori tuttavia esprimono la necessità di mantenere un legame con la struttura fisica dell’azienda presso la quale operano: oltre 3 intervistati su 4, infatti, preferirebbero adottare una soluzione “mista”, alternando al lavoro da casa una presenza più o meno costante in ufficio, mentre solo un intervistato su 5 sarebbe favorevole ad uno smart working esclusivo, con un’attività lavorativa svolta completamente “da remoto”. La formula “mista” è apprezzata soprattutto dai dipendenti del comparto pubblico, tra i quali ben l’84,8% preferirebbe un’alternanza tra smart working e lavoro in ufficio, a fronte del 77,6% rilevato tra i dipendenti privati, che al contrario nel 22,4% dei casi sarebbero favorevoli all’adozione di uno smart working pressoché esclusivo (contro il 15,2% nel pubblico). La necessità di garantire una quantomeno saltuaria presenza in ufficio si riscontra in misura maggiore tra gli occupati che hanno un inquadramento contrattuale elevato, tra i quali la preferenza verso un sistema “misto” raggiunge l’85,2% dei consensi (14,8% la percentuale di quanti preferirebbero al contrario lavorare esclusivamente dalla propria abitazione), scendendo tale quota al 75,5% tra gli impiegati (24,5% le preferenze accordate invece al sistema “esclusivo”), mentre nella fascia di età correlata alla presenza di figli minori si evidenzia una maggiore propensione ad una soluzione di smart working “puro” tra i lavoratori di 40-54 anni (tra i quali tale preferenza si attesta al 22,8%), a fronte del valore minimo tra i 18-39enni (18,1%), tra i quali invece la percentuale di quanti preferirebbero una soluzione mista risulta più elevata (81,9%).
TN