Domenico Paparella – segretario generale Cesos
Nel dibattito degli ultimi giorni sui temi del lavoro stanno emergendo i termini reali del conflitto tra i sindacati, le organizzazioni imprenditoriali ed il Governo. Le modifiche dell’articolo 18 proposte dal Governo possono consentire alle imprese di affrontare gli aggiustamenti strutturali saltando le procedure di informazione e consultazione previste dalle leggi, dai contratti e dalle nuove norme europee senza ricorrere, per i lavoratori interessati, all’utilizzo degli ammortizzatori sociali. Gli esuberi di manodopera potranno essere affrontati come una somma di casi individuali.
Saremmo davvero l’unico Paese europeo a cancellare ogni diritto alla tutela del reddito dei lavoratori nelle transizioni tra lavoro e lavoro, ottenendo risultati opposti a quanto auspicato nel Libro bianco.
Sono questi gli effetti desiderati da Confindustria e Governo?
Lo sforzo di propaganda che viene sviluppato per ammantare ed alimentare di contenuti ideologici lo scontro in atto con il sindacato non depone a favore della correttezza e della statura politica ed intellettuale di molti esponenti imprenditoriali e del governo. Manipolare l’articolo 18, strumento di gestione dei rapporti disciplinari, fino a farlo diventare uno strumento di gestione del mercato del lavoro, è un errore concettuale e politico.
Lo scontro sull’articolo 18 a cui il sindacato è stato costretto ha, almeno temporaneamente, fatto venir meno la possibilità di fare del Libro bianco l’occasione storica per fare assumere al sistema di relazioni industriali un ruolo fondamentale per la crescita della competitività del sistema e dell’occupabilità dei lavoratori. L’insieme della regolazione del lavoro può e, a mio parere, deve essere riformulata alla luce di quegli obiettivi. La modernizzazione del sistema di relazioni industriali passa attraverso innovazioni di metodo, facendo appello alla responsabilità sociale delle parti affidando, loro un preciso ruolo nella governance del sistema sulla base della clausola sociale di Maastricht.
Si tratta di ricostruire uno statuto dei lavori che estenda il sistema di tutela dal posto di lavoro alle transizioni sul mercato del lavoro, che modifichi la gerarchia delle fonti del diritto dando spazio all’autonomia delle parti e al principio di sussidiarietà, che affidi alla contrattazione la regolazione delle condizioni di impiego riducendo drasticamente il ruolo e il peso della legge.
La questione degli aspetti disciplinari del rapporto individuale di lavoro, regolata attualmente dall’articolo 18, andrebbe collocata nel contesto della riformulazione delle tutele a valere per tutti i lavoratori, tipici ed atipici che siano. Gli assetti contrattuali e l’esercizio dell’autorità salariale debbono essere decentrati per consentire lo sviluppo di una politica di alti salari non inflazionistica, che leghi l’andamento delle retribuzioni alla crescita della produttività dei sistemi locali e che confermi la politica dei redditi.
Come importanti forze politiche di governo propongono e l’Europa ci suggerisce, si debbono ampliare gli spazi di partecipazione organizzativa, economica e strategica dei lavoratori nell’impresa. L’azione degli organismi bilaterali può essere estesa alla gestione del mercato del lavoro e di nuovi ammortizzatori sociali orientati al potenziamento dell’occupabilità dei lavoratori.
Il sistema di relazioni industriali può costituire una forza propulsiva dello sviluppo e della crescita dell’occupazione: lo scontro in atto, se prorogato, cancellerà questa possibilità per un lungo periodo a venire. Alcuni attori sembrano interessati a sottrarsi alle loro responsabilità sociali ed alla semplificazione forzosa del sistema di governance democratica del Paese con la riduzione drastica del peso sociale del lavoro organizzato. Sono tentazioni mal fondate, semplificazioni che danno fiato alle componenti che fanno del conflitto sociale il loro obiettivo.
Le forze che vogliono fare del sistema partecipativo di relazioni industriali il nerbo della competitività del sistema Italia e della coesione sociale lo scopo della loro azione collettiva sono messe in mora.
Non pare che fin qui tutte le implicazioni di proposte tecnicamente sbagliate e politicamente improvvide siano state adeguatamente considerate. Una riformulazione realistica e lungimirante degli obiettivi del Governo e di Confindustria è ancora possibile? Esiste nel Governo un gruppo dirigente che sia in grado di uscire dal vicolo cieco nel quale il sentimento di rivincita sociale lo ha fin qui relegato?
Giova ricordare che la Democrazia Cristiana ebbe, negli anni Cinquanta, il coraggio di rompere l’unità dello schieramento imprenditoriale costituendo l’Intersind pur di avviare la modernizzazione del sistema di relazioni industriali nell’interesse del paese. Esistono nel Governo e nel Parlamento le risorse culturali, intellettuali e politiche per riformare il sistema di relazioni industriali e farne la leva della nuova modernizzazione in una logica di coesione sociale e di rafforzamento della governance del Paese?
Il tempo per dimostrarlo è venuto.