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Home - Approfondimenti - Interviste - Veronese, criticità negli ammortizzatori sociali e nelle politiche attive già prima della pandemia

Veronese, criticità negli ammortizzatori sociali e nelle politiche attive già prima della pandemia

di Tommaso Nutarelli
10 Luglio 2020
in Interviste
Veronese, criticità negli ammortizzatori sociali e nelle politiche attive già prima della pandemia

Problemi già noti che con il coronavirus si sono accentuati. È questo il giudizio di Ivana Veronese, segretaria confederale della Uil, sullo stato dell’arte degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive del lavoro, che necessitano di una burocrazia più snella, digitalizzazione e una maggiore attenzione alla formazione. Sui ritardi nell’erogazione della Cig, Veronese si dice stupita che, migliaia lavoratori non l’abbiano ancora ricevuta, nonostante lo sforzo dell’Inps davanti a una situazione imprevedibile. E in merito ai navigator dichiara: “sono una risorsa da valorizzare, ma scontano una confusione gestionale tra le regioni e Anpal”.

Veronese, la pandemia ha messo in evidenza i problemi del sistema degli ammortizzatori sociali e posto la necessità di una seria riflessione sulle politiche attive per affrontare il post emergenza. 

È vero, ma l’intero sistema aveva delle mancanze, ben prima dell’arrivo della pandemia. Lo scorso novembre avevamo sottolineato alla ministra Catalfo queste criticità. Ci sono stati alcuni incontri, ma poi il tutto si è concluso con un nulla di fatto.

Per quale motivo?

Perché, probabilmente, le priorità della ministra erano altre.

L’arrivo della pandemia ha poi mutato totalmente lo scenario.

Con il covid c’è stata una deroga ad alcune regole nella gestione degli ammortizzatori sociali, determinate procedure si sono velocizzate, ma sono emersi tutti i limiti già esistenti del sistema.

Quali nello specifico?

Si è fatto un massiccio ricorso alla Cassa integrazione in deroga, che però è già di per sé molto complicata come meccanismo, perché è una misura che deve prima passare per le regioni. Quindi, in piena pandemia, ci siamo trovati con le regioni chiamate a riscrivere tutti gli accordi, poi ad approntare i sistemi per l’accoglimento delle domande che, alla fine, venivano evase dall’Inps. Tempi altrettanto lunghi nel pagamento delle prestazioni riguardano anche l’Assegno Ordinario erogato dal Fondo di Integrazione Salariale (FIS). Un’altra situazione di criticità riguarda il caso delle imprese operanti nel settore delle pulizie e della ristorazione aziendale che possono attivare la Cigs solo nel caso in cui la stessa azienda appaltante abbia fatto ricorso ad un trattamento di integrazione salariale.

Se, ad esempio, l’azienda appaltante non ha richiesto la Cassa integrazione, perché ha messo molti lavoratori in smart working, l’impresa che gestisce questi servizi non può, a sua volta, richiedere la Cig, pur avendo una riduzione significativa del lavoro. La situazione in atto ha determinato una forte riduzione delle ore lavorate e, in assenza della possibilità di ricorrere agli ammortizzatori sociali, una conseguente perdita del salario dei propri dipendenti.

Ancora un numero rilevante di lavoratori attende la Cassa integrazione. A cosa sono dovuti questi ritardi?

L’Inps è stata chiamata a gestire una situazione enorme, impensabile e inaspettata, ben più grave della crisi del 2008. Detto questo, non si capisce perché ora ancora migliaia di lavoratori non abbiamo ricevuto la Cassa integrazione.

Lei si è data qualche spiegazione?

Credo che ci sia stata una sottovalutazione da parte dei vertici dell’Inps della situazione. Il presidente Tridico aveva assicurato l’erogazione della Cig entro 30 giorni. Ma già in uno scenario normale i tempi sono molto lunghi, figuriamoci in piena emergenza quando le richieste aumentano. Oltre a questo, credo che ci sia stata una precisa volontà politica di far arrivare prima il sostegno ad alcune categorie professionali, come autonomi e partite iva, rispetto ad altre.

In vista di una possibile riforma degli ammortizzatori sociali, su cosa si dovrebbe intervenire?

Prima di tutto velocizzare le procedure e alleggerire la documentazione. Quello di cui abbiamo bisogno è una burocrazia che sia di supporto e non di ostacolo. Serve anche una revisione delle procedure dell’Inps. Bisogna poi spingere forte sul tema della digitalizzazione e delle banche dati.

Crede che occorra una maggiore uniformità nel sistema degli ammortizzatori sociali?

Guardi, penso che tutti i lavoratori debbano avere un ammortizzatore in costanza di rapporto di lavoro. Detto questo, il nostro mercato del lavoro è fatto da settori molti diversi, con contratti nazionali diversi ed esigenze differenti. Dunque, dovremmo interrogarci anche sul fatto se avere un unico armonizzatore sociale o un sistema più flessibile. Trattare allo stesso modo Alitalia e la piccola bottega del pizzicagnolo non funziona.

Venendo al versante delle politiche attive, il fatto che siano di competenza delle regioni lo vede come un limite o no?

Penso che il problema sia definire bene i ruoli, tra regioni e governo centrale, nel momento in cui si attua un qualsiasi tipo di politica attiva, altrimenti succede il cortocircuito dei navigator.

Che cosa non sta funzionando?

Io conosco molti navigator, e sono persone che hanno competenze e voglia di lavorare. Ma nel momento in cui sono stati contrattualizzati da Anpal Servizi, e sono stati pensanti come professionisti con una certa autonomia, non si è tenuto conto che andavano ad operare nei Centri per l’impiego, gestiti dalle regioni perché le politiche attive nel nostro Paese sono di competenza delle Regioni. Dunque, alla fine, in alcune regioni sono stati chiamati come supporto tecnico nei CPI, facendo venire meno la loro missione iniziale.

Questa mezza riuscita è dovuta anche a come è stato impostato il reddito di cittadinanza?

Il reddito è un mix tra sostegno al reddito e politiche attive.

Per lei questo costituisce una debolezza?

Non credo che sia un male provare a reinserire nel mondo del lavoro quelle persone aiutandole a riqualificarsi, garantendo contemporaneamente, un sostegno al reddito. Semmai trovo sbagliato l’aver dirottato l’assegno di ricollocazione unicamente ai percettori del reddito.

Ma quindi una regionalizzazione delle politiche attive non rischia di aggravare le differenze tra territori virtuosi e quelli che lo sono meno?

Qui si tratta di garantire sul tutto il territorio degli standard base. Se poi qualche regione riesce ad aggiungere qualcosa in più o di diverso non è certo un problema.

In che cosa dovrebbero essere rafforzate le politiche attive?

È necessario un consolidamento dei Centri per l’impiego pubblici. Le risorse per raddoppiare il personale ci sono. Inoltre, devono diventare veramente delle realtà alle quali le aziende fanno riferimento, altrimenti la ricerca di un lavoro continuerà a passare solo attraverso le conoscenze personali o le agenzie di somministrazione. Ma per incrociare domanda e offerta servono database funzionanti e una maggiore digitalizzazione di tutti i processi.

Uno dei problemi della pubblica amministrazione è proprio la scarsa propensione al digitale, dovuta anche da un’età media del personale molto elevata.

Infatti non possiamo pensare che una persona, con trent’anni di carriera alle spalle, se non ha ricevuto una formazione continua nel tempo, abbia dimestichezza con le nuove tecnologie. Dunque la formazione è di vitale importanza, non solo per chi cerca un’occupazione, ma anche per chi eroga le politiche attive. Per questo dobbiamo usare al meglio tutte le risorse che abbiamo, compresi i navigator.

Per il futuro come ci dobbiamo muovere?

Bisogna far ripartire il prima possibile l’economia, attraverso massicci investimenti. Infatti senza un mercato del lavoro dinamico, ogni politica attiva è destinata a fallire.

Tommaso Nutarelli

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Tommaso Nutarelli

Tommaso Nutarelli

Giornalista de Il diario del lavoro.

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