La filiera della cura, dell`assistenza e della previdenza per le persone è un “formidabile volano di sviluppo” per il Paese, da cui può partire la ripresa. E’ quanto sottolinea il rapporto 2015 “Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove politiche sociali” di Censis e Unipol.
Il valore economico e occupazionale della White Economy: 290 miliardi di euro e 3,8 milioni di addetti. Oggi c`è una domanda crescente di salute, assistenza, previdenza per avere la sicurezza di un futuro lungo e in buone condizioni. A questa domanda risponde la White Economy, cioè la filiera delle attività sia pubbliche che private riconducibili alla cura e al benessere delle persone. Ha ormai raggiunto un valore di 290 miliardi di euro corrispondente al 9,4% della produzione complessiva nazionale. E sono 2,8 milioni gli addetti che operano in maniera diretta nei suoi diversi comparti.
A questi vanno aggiunti i posti di lavoro che si generano a monte e a valle come indotto delle attività considerate, che innalzano il numero degli addetti totali a 3,8 milioni, pari al 16,5% degli occupati del Paese. In termini comparativi, la White Economy produce più dei settori delle costruzioni e dei trasporti, ed è seconda solo al commercio. Il 42,2% del valore della produzione è attribuibile ai servizi sanitari, il 17,9% alle attività pubbliche di gestione e regolazione nei settori della sanità, assistenza e previdenza, il 17,7% all`industria del farmaco e delle attrezzature medicali, il 10,6% alla previdenza complementare e alle assicurazioni del ramo salute, il 10,4% alle attività di personal care, l`1,1% all`istruzione universitaria negli ambiti considerati.
In questo campo la produttività (il valore aggiunto generato dalle attività comprese nella filiera rapportato al numero di persone che vi lavorano) è di 60.000 euro per addetto: un dato che colloca la White Economy sopra agricoltura, costruzioni, ristorazione, commercio e inferiore solo ad alcuni comparti del manifatturiero e del terziario avanzato. La filiera economica della cura, dell`assistenza e della previdenza per le persone è anche un formidabile volano di sviluppo per il Paese, perché genera rilevanti effetti moltiplicativi sul resto dell`economia.
Ogni 100 euro spesi o investiti nella White Economy attivano 158 euro di reddito aggiuntivo nel sistema economico. E ogni 100 nuove unità di lavoro nella White Economy ne attivano ulteriori 133 nel complesso dell`economia italiana.
Con l`allungamento della vita media, continua a crescere la domanda di cure e di assistenza. Nel 2030 saranno più di 4 milioni le persone in cattivo stato di salute. E i portatori di almeno due patologie croniche saranno più di 20 milioni. Negli anni della crisi, tra il 2007 e il 2014, la spesa sanitaria pubblica è diminuita del 3,4% in termini reali. E oggi sono meno del 20% gli italiani che affermano di trovare nel welfare pubblico una piena risposta ai loro bisogni. Più della metà delle famiglie di livello socio-economico basso è convinta che un eventuale aggravio dei costi per il welfare sarà incompatibile con i loro redditi disponibili.
L`accesso alle prestazioni socio-sanitarie divide in due l`Italia. Nelle regioni del Mezzogiorno l`82,8% della popolazione ritiene non adeguate le prestazioni offerte dal servizio regionale, mentre al Nord-Est e al Nord-Ovest la percentuale scende rispettivamente al 34,7% e al 29,7%.
La spesa sanitaria pubblica è pari al 6,8% del Pil del Paese, un valore più basso di quello di Francia (8,6%), Germania (8,4%) e Regno Unito (7,3%). La spesa sanitaria privata ammonta invece al 2% del Pil, un valore inferiore alla media dei Paesi Ocse (2,4%) e al dato di tutti i Paesi europei più avanzati. La quota di spesa privata intermediata da soggetti economici specializzati, come le compagnie assicurative, è pari oggi al 18% del totale della spesa sanitaria privata. Anche prescindendo dal confronto con gli Stati Uniti, che hanno un modello di welfare molto diverso dal nostro (in questo caso sale al 77,7% la quota di spesa intermediata), il dato italiano è molto più contenuto di quello di Francia (67,1%), Germania (44,4%) e Regno Unito (43,6%), e testimonia il carattere «molecolare» della spesa sanitaria privata italiana.
Con i bisogni di assistenza delle persone disabili e non autosufficienti si confrontano molte famiglie italiane. Sono più di 3 milioni le persone che soffrono di difficoltà funzionali gravi. Tra queste, 1,4 milioni sono confinate all`interno della propria abitazione e bisognose di cure diurne e notturne. La spesa pubblica per l`assistenza è in fase calante dal 2010, pure a fronte di una domanda crescente. In valore pro-capite della spesa è pari a 400 euro l`anno, un dato inferiore alla media europea. Di fronte al ritardo nella progettazione di sistemi di long term care centrati su soluzioni diverse dall`ospedalizzazione e a causa delle difficoltà economiche che limitano il ricorso a soluzioni residenziali, gli italiani scelgono anche in questo caso un modello del tutto spontaneo e ad elevata molecolarità, basato sul reclutamento diretto delle badanti. Per il 65% degli italiani questa è una soluzione da valutare positivamente, l`11% ritiene che sia una scelta priva di alternative reali, il 24% invece valuta negativamente l`assenza di professionalità adeguate e certificate.
In tema di previdenza, sopo l`ultima riforma i conti pubblici sono in equilibrio (il rapporto tra spesa pensionistica e Pil è destinato a calare lentamente), ma la sfida per il sistema previdenziale, per i lavoratori di oggi e per i pensionati di domani, attiene al quantum dei futuri assegni pensionistici. Molti lo hanno capito: nell`ultimo decennio il numero di adesioni alla previdenza complementare è più che raddoppiato, passando da poco meno di 3 milioni di iscritti nel 2005 agli attuali 6,5 milioni. Si segnalano però due criticità. La prima è legata alla crisi economica che ha fatto sì che nel 2014 1,5 milioni di iscritti non abbiano versato i contributi. La seconda è relativa alla disomogeneità delle adesioni: il tasso di adesione è del 18% al Sud (sale al 30% al Nord) e del 16% tra i più giovani, con una età inferiore a 35 anni (mentre il dato nazionale si attesta al 25,6%). Non aiuta il fatto che oggi solo il 24,3% degli italiani ha una conoscenza precisa della propria posizione pensionistica.