La Cgil Palermo ha realizzato uno studio dettagliato sullo stato di salute del territorio della città metropolitana, sia dal punto vista economico che sociale. Il rapporto, intitolato “Dalla crisi a Palermo 2020. Analisi sul manifatturiero della provincia di Palermo”, fotografa il processo di terziarizzazione in corso nel territorio ed è stato presentato questa mattina allo Steri nel corso di due tavole rotonde, una in cui si discute dei dati, una in cui si elaborano le proposte.
Il terziario rappresenta l’86,4% di ricchezza prodotta dai servizi. La restante quota del 13,6% proviene dai settori dell’agricoltura e dell’industria.
Dai dati elaborati dal Cerdfos, il centro studi della Cgil, si evince il preoccupante dato relativo al manifatturiero, il cui valore aggiunto è passato dal detenere una quota del 5,5 per cento a meno del 3%.
Nel 2015 gli occupati dell’industria in senso stretto in provincia di Palermo sono risultati circa 27,4 mila. Il dato presenta una flessione di 4,2 mila occupati rispetto al 2008. Le imprese attive in provincia di Palermo sono passate da 6.874 nel 2009 a 5.667 nel 2015. Questa variazione è stata più contenuta nel periodo che va dal 2009 al 2011 (-5,9 per cento) mentre si e accentuata dal 2011 in poi, registrando un calo delle imprese del 12,4 per cento. I due settori che si salvano sono le industrie alimentari, che passano da 1.550 a imprese a 1589, e le riparazioni e installazioni di macchine, che passano da 206 a 321.
Il manifatturiero è il settore su cui vuole accendere i riflettori l’indagine, perché la Cgil ritiene che “la ripresa economica della Città metropolitana debba assolutamente ripartire dal consolidamento e da un suo rilancio.”
“Si è creata una desertificazione del sistema produttivo palermitano, in un’area in cui non si producono più beni ma soltanto servizi, un terziario qualitativamente basso. In buona parte, tutto questo è stato influenzato dalla chiusura della Fiat – dichiara il segretario generale Cgil Palermo, Enzo Campo -. Per questo, si avverte l’esigenza di programmare una nuova reindustrializzazione che punti a rafforzare quel poco che è rimasto e allo stesso tempo a rilanciare, quei settori produttivi innovativi che creino innovazione, sviluppo reale e nuova occupazione. Da qui l’esigenza di un confronto con le amministrazioni dei comuni in cui ricadono le aree industriali oggi svuotate di Brancaccio, Carini e Termini Imerese per gettare le basi di un nuovo metodo di lavoro e la creazione di un’Associazione per lo sviluppo con i soggetti interessati.”
Un altro dato di primo rilievo è quello della disoccupazione di Palermo e di tutta l’area metropolitana. “Gli ultimi dati Istat, relativi all’indagine trimestrale sulle forze di lavoro, ci danno un’occupazione nella provincia di Palermo di 324 mila unità. Ma il dato più significativo – afferma Beppe Citarrella, responsabile del centro studi Cerdfos della Cgil – si coglie tra i disoccupati e gli inattivi, oltre 500 mila persone a vario titolo fuori dal ciclo produttivo (102 mila persone in cerca di occupazione e 417 mila inattivi). In considerazione del fatto che nel Mezzogiorno è stato rilevato un tasso del 40 per cento circa degli inattivi, se ne deduce che sommando questa massa di persone, che a Palermo costituisce oltre 160 mila unità, al dato dei 102 mila disoccupati, si arriva a una stima di oltre 260 mila persone in cerca di occupazione nella provincia di Palermo, con un tasso di disoccupazione della città metropolitana che gravita intorno al 42 per cento. E siamo ben al di sopra del tasso di disoccupazione che a Palermo è del 23,9 per cento.”
La Cgil propone di costituire un’Associazione per lo sviluppo “modello Bilbao, che progetti, sviluppi, recuperi, che faccia promozione per lo sviluppo – spiega Mario Ridulfo, responsabile attività produttive della segreteria Cgil Palermo -. Una possibile reindustrializzazione passa attraverso nuove tecnologie e un approccio che guardi alla cosiddetta economia circolare, al riuso e al riciclo di materiali. Per creare sviluppo occorre reindustrializzare le nostre tre aree industriali, rafforzando le produzioni tipiche e guardando alle nuove, ad alto contenuto tecnologico. E puntare decisamente a un manifatturiero che contenga elementi di innovazione, la cosiddetta industria 4.0”.
“Occorre – aggiunge Ridulfo – rafforzare la presenza dell’industria pesante, difendere quello che resta, come i Cantieri Navali, condizione necessaria per sviluppare anche l’indotto, e per far sì che le scuole e le Università possano essere da trait d’union nella ricerca e nell’innovazione. Questo progetto deve comprendere le telecomunicazioni e la banda larga: Almaviva può avere un futuro se punta a diventare un’industria dei servizi competitivi, servizi alle imprese, oltre che per i consumatori. Occorre garantire una fiscalità di vantaggio per le aziende che si insediano nelle tre aree industriali, a condizione che le nuove assunzioni avvengano siano nel rispetto di norme e contratti, e incentivi a chi fa innovazione ricerca, formazione e riqualificazione del personale.”