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Auto, carburanti e motori: nel campionato UE, Germania batte Italia zero a uno

Fernando Liuzzi
Marzo29/ 2023

Punto e a capo. Nel senso che, con il voto espresso ieri a Bruxelles dal Consiglio Energia dell’Unione Europea, la questione – per non dire il tormentone – relativa allo stop, a partire dal 1° gennaio 2035, dell’immatricolazione di auto e furgoni i cui motori emettano CO 2 nei loro gas di scarico, dovrebbe considerarsi risolta, almeno per un paio di anni. Ma, sospiro di sollievo a parte, non c’è molto da rallegrarsi. Il nostro Paese, infatti, esce da questa vicenda politicamente isolato e industrialmente indebolito.

La questione, diciamolo subito, è piuttosto complessa. Tanto complessa che, per mettere un po’ d’ordine nei suoi vari risvolti, sarà forse opportuno ricorrere ai vecchi precetti del giornalismo angloamericano. Quello che assegnava, a chi si fosse proposto di ricostruire una data vicenda, l’obbligo di rispondere a sei domande: Who, What, Where, When, How, Why,  Ovvero: chi, cosa, dove, quando, come e perché.

Cominciamo, dunque, dalla domanda più semplice: dove? Lo abbiamo già detto: a Bruxelles. Una città che, in questo caso, non entra in scena come capitale del Belgio, ma come la città che ospita la maggior parte delle sedi operative dell’Unione Europea.

Seconda domanda: quando? Anche qui la risposta è semplice: ieri, ovvero martedì 28 marzo 2023.

Terza domanda, che poi, nello schema sopra riportato, sarebbe la prima: chi?

Qui la vicenda comincia a complicarsi. Perché l’Unione Europea si è data una struttura complessa in cui il potere, un po’ legislativo e un po’ esecutivo, è ripartito fra tre strutture: il Parlamento Europeo, la Commissione Europea e il Consiglio. Quest’ultimo si suddivide, poi, su due organismi: il Consiglio Europeo, composto dai capi degli Esecutivi dei diversi Paesi (e quindi, a seconda dei diversi schemi costituzionali, dai capi di Stato o di Governo); e il Consiglio dell’Unione Europea, composto dai Ministri responsabili delle diverse materie che, di volta in volta, sono all’ordine del giorno di una data riunione.

Nel caso di cui stiamo parlando, si trattava del Consiglio Energia, ovvero dell’organismo composto dai Ministri responsabili per le politiche energetiche dei 27 Paesi membri. Per l’Italia, era stato dunque convocato a Bruxelles il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin.

Quarta domanda (seconda dello schema): che cosa. Insomma, cosa è stato deciso? A larga maggioranza, il Consiglio Energia ha approvato un Regolamento in base al quale, a far data dal 1° gennaio 2035, potranno essere immatricolati nei Paesi dell’Unione solo auto e furgoni a emissioni zero di anidride carbonica. Con questo voto, dovrebbe essere arrivato in porto un testo di cui si era cominciato a discutere già dall’estate scorsa e che, a partire dall’ottobre del 2022, ha percorso tutte le tappe dei processi legislativi europei, venendo vagliato – via, via – dal Consiglio, dalla Commissione e dal Parlamento, per tornare ad approdare, infine, al Consiglio Energia.

Il testo originale era stato concepito nell’ipotesi di far sì che, a partire dal 2035, fosse possibile immatricolare solo autovetture e furgoni elettrici, gli unici capaci di marciare senza emettere scarichi di anidride carbonica. In parole povere, il disegno originale era quello di mettere fuori gioco il motore a combustione interna alimentato da benzina o diesel, sicuramente inquinante. Però, le cose sono poi andate in un altro modo. Infatti, in altra sede rispetto alla riunione del Consiglio Energia, la Commissione, nella persona del suo Vicepresidente, l’olandese Frans Timmermans, ha raggiunto un accordo specifico col Governo tedesco volto a far sì che il motore endotermico sopravviva, purché alimentato con carburanti sintetici a emissioni zero, i cosiddetti e-fuel.

Qui, come si vede, l’intreccio si infittisce. Perché, ritornando alla domanda sul “chi”, si scopre che  è entrato in scena un altro protagonista della vicenda svoltasi in questi ultimi giorni: la Commissione dell’Unione Europea. La quale, dopo l’accordo col Governo della Repubblica Federale di Germania, ha emesso una dichiarazione, abbastanza contorta, in cui si impegna ad affrontare di qui al prossimo autunno, anche se con tappe successive, la questione dell’immatricolazione di veicoli dotati sì di motori a combustione interna, alimentati però solo con “carburanti sintetici”, ovvero “di origine non biologica”.

A questo punto della nostra ricostruzione, abbiamo implicitamente risposto, almeno in parte, anche alla quinta domanda, quella relativa al “come”. Che è consistito, appunto, nella coppia di testi di cui sopra: il Regolamento approvato dal Consiglio Energia e la dichiarazione emessa dalla Commissione. Coppia di documenti cui è logicamente premesso l’accordo definito tra Commissione e Governo tedesco.

Non resterebbe, allora, niente altro da fare se non evocare la sesta domanda quella relativa al “perché”. Ma è qui che le cose cominciano a diventare più difficili. E per superare questa difficoltà bisognerà fare alcuni passi indietro per recuperare gli antecedenti dell’ultima riunione brussellese.

A monte di tutto ci sono gli effetti inquinanti del motore a scoppio. E c’è anche un paradosso. Perché fino a non molto tempo fa, quando si ragionava del futuro dell’auto le questioni che venivano in primo piano erano due. Una tecnologica, relativa all’impatto dell’innovazione digitale sul prodotto meccanico per eccellenza. E qui si andava da chi immaginava un’auto iperconnessa alla grande Rete, a chi cominciava a fantasticare di guida autonoma. L’altra questione era quella relativa al bene auto, destinato a trasformarsi da oggetto di consumo privato, personale e/o familiare, a strumento della mobilità intesa come servizio socialmente diffuso.

Ma, mentre gli addetti ai lavori si appassionavano intorno a queste visioni, la realtà si è incaricata di porre un altro problema: quello del rapporto fra auto e ambiente. E qui l’imputato è diventato rapidamente il vecchio, caro motore a scoppio alimentato a benzina o diesel.

A questo punto va sottolineato quello che gli esperti sanno benissimo, ovvero che quando si parla di un rapporto critico con l’ambiente si parla di due fenomeni, certo connessi, ma anche molto diversi fra loro. Una cosa è l’inquinamento dovuto alle polveri sottili che rendono l’aria delle strade più trafficate meno respirabile, quando non addirittura nociva. Tutt’altra cosa sono gli effetti climalteranti, come ormai si dice, dovuti all’accumulo di CO 2 nell’atmosfera.

Se si guarda a questo secondo problema, si vedranno subito due altri fatti. Il primo dei quali è che il contributo della circolazione di autoveicoli a tale accumulo è modesto se paragonato, a livello globale, con altre fonti inquinati, quali il riscaldamento domestico e varie attività produttive. Il secondo è che il contributo alle alterazioni climatiche provenienti dal traffico stradale europeo è ancora meno significativo se paragonato agli effetti climalteranti di simili attività esistenti in altri continenti.

Specie dopo la vicenda del cosiddetto Dieselgate, il problema si era però ormai posto di fronte alle opinioni pubbliche dei vari Paesi europei e del Nord America. E la soluzione che ha cominciato ad apparire come la più credibile è stata quella dell’auto elettrica. Anche qui, senza tener conto di quattro obiezioni.

Prima obiezione, richiamata a suo tempo anche da Marchionne: l’energia elettrica con cui vengono caricate le batterie da qualche parte sarà stata pur prodotta. E chi ci assicura che sia stata prodotta con tecnologie e modalità non climalteranti?

Seconda obiezione. Un’auto elettrica, per come sono state concepite e, fino ad oggi, realizzate è una macchina composta da un numero di pezzi notevolmente inferiore a quello relativo a un’auto dotata di motore endotermico. Ne segue che passare da un assetto produttivo basato sull’auto tradizionale a un nuovo assetto basato sull’auto elettrica comporta la rinuncia alla produzione di quantità rilevanti di componentistica e quindi anche alla perdita di molti posti di lavoro. Il che, aggiungiamo, è particolarmente grave per l’Italia, ovvero per un Paese in cui la produzione di componentistica, destinata in buona misura anche all’esportazione, è ormai non meno rilevante della fabbricazione di automobili intese come prodotto finito.

Terza obiezione. Nonostante questa semplificazione, per così dire, meccanica, che riduce drasticamente la complessità del prodotto auto fin qui conosciuto, i costi di produzione delle auto elettriche sono al momento molto superiori a quelli delle auto con motorizzazione endotermica. E, per quel che si sa, questo divario nei costi non appare destinato a decrescere in termini né ravvicinati, né significativi. Viene paventato, dunque, il rovesciamento di un aspetto centrale del modello sociale fordista, ovvero quello per cui un operaio addetto alla linea di montaggio riceveva un salario con cui poteva permettersi di acquistare, ancorché a rate, un’auto da lui prodotta. Con l’auto elettrica, vari settori della classe media potrebbero invece dover rinunciare alla proprietà di un’autovettura.

Quarta obiezione. La produzione di batterie, ovvero la produzione di quella componente che è il cuore dell’auto elettrica, così come il motore endotermico è stato il cuore dell’auto “meccanica”, comporta la disponibilità di materie prime che, come le cosiddette “terre rare” non sono disponibili in Europa. In altre parole, dicono alcuni, scegliere l’auto elettrica comporta per l’Europa il rischio di sottoporsi alla dipendenza da produttori geograficamente lontani, nonché dotati di modelli politico-sociali molto diversi dal nostro, come la Cina.

Nonostante queste obiezioni, i decisori politici prevalenti nell’Unione europea hanno imboccato con sempre maggiore risolutezza la strada verso la scelta dell’auto elettrica. Al che i contrari a tale scelta, forti di queste stesse obiezioni, hanno replicato che il decisore politico faceva bene a definire obiettivi di lotta all’inquinamento e date entro cui raggiungere tali obiettivi, ma sbagliava a indicare la via attraverso la quale raggiungere tali obiettivi.

Nel dibattito dei mesi scorsi, è stato insomma invocato il concetto di “neutralità tecnologica”. Concetto i cui sostenitori affermavano che sta alla UE dire che le uniche auto ammesse, in prospettiva, dovranno essere quelle a zero emissioni di anidride carbonica. Che sta ancora alla UE fissare le date entro cui dar vita a questo nuovo inizio. Ma anche che la soluzione tecnica al problema andava lasciata ai costruttori.

Ed è qui che è nato il dibattito sui carburanti non inquinanti. Dibattito nel corso del quale gli “avversari” dell’auto elettrica hanno tentato di difendere la validità del motore endotermico, spostando l’attenzione sulla possibilità di ricorrere a carburanti non derivanti da fonti fossili – come accade, invece, per benzina e diesel – e quindi non vocati a generare residui carichi di carbonio.

Ma sempre qui, come spesso accade, ci si è trovati davanti a due scuole di pensiero. Una, prevalente in Italia, e targata Eni, ha puntato i suoi sforzi di ricerca verso i cosiddetti biocarburanti, ovvero verso carburanti derivati da biomasse. Mentre l’altra, prevalente in Germania, ha puntato tutto verso i cosiddetti carburanti sintetici o e-fuel, prodotti a partire dal cosiddetto idrogeno verde.

Quando, a metà febbraio, il Parlamento Europeo ha dato il suo via libera alla scelta favorevole all’auto elettrica, si è creata – informalmente – una minoranza di blocco, basata sui no annunciati da Germania e Italia. Infatti, in base alle regole vigenti nell’Unione, affinché una decisione venga assunta dal Consiglio, deve essere sostenuta dai Governi di un gruppo di Stati che rappresentino, come minimo, il 55% degli stessi Stati e il 65% della popolazione. La somma di Germania e Italia, con l’aggiunta di Polonia e Bulgaria, superava, appunto, la soglia del 35% della popolazione.

A questo punto, siamo ai primi di marzo, la Presidenza di turno del Consiglio Europeo, spettante questo semestre alla Svezia, ha ritenuto opportuno rinviare sine die il tema auto dalle riunioni del Consiglio Energia. Ma ecco che, in un rapporto biunivoco tra la Commissione e il solo Governo tedesco, viene raggiunto l’accordo sopra richiamato. La Commissione dice sì agli e-fuel e la Germania toglie il suo no al progetto di Regolamento varato dal Parlamento Europeo.

Ed eccoci arrivati a ieri, martedì 28 marzo. Di fronte al Consiglio Energia viene posto in votazione il progetto di Regolamento già varato dal Parlamento Europeo. Vota contro solo la Polonia, mentre si astengono Italia, Bulgaria e Romania. Tutti gli altri, Germania compresa, votano a favore.

Il Ministro Pichetto Fratin spiega che l’Italia ha scelto di astenersi, invece che di votare contro, per due motivi.

Primo: perché “la posizione dell’Italia è stata (…) quella di dire che noi non possiamo porre fine al motore endotermico proprio per la nostra caratteristica industriale (…), avendo nel settore automotive il nostro più grande settore manifatturiero”. E con la dichiarazione della Commissione “è ammessa la possibilità (…) di poter avere dal 2035 una continuità per i motori endotermici”.

Secondo: tenendo conto del fatto che è previsto che entro il 2026 la Commissione debba effettuare una revisione del regolamento, il Ministro Pichetto Fratin ha dichiarato di aver “ottenuto” che “nel prosieguo, prima della verifica del 2026, si possa aprire una discussione” sul “bilanciamento delle emissioni dei biocarburanti”.

Morale della favola. L’Italia è giunta a questa scadenza senza alleati, e ne esce ancora più isolata. Inoltre, l’unica grande casa costruttrice rimasta attiva nel nostro Paese, ovvero Stellantis, appare sempre meno legata, da un punto di vista strategico, alla componentistica italiana. Semmai, appare proiettata in un mondo, quello dei grandi costruttori di autovetture, in cui la scelta dell’auto elettrica sembra ormai prevalente. Quanto ai nuovi carburanti non climalteranti, volti a tenere in vita il motore endotermico, la strada per i nostri biocarburanti si presenta, a dir poco, in salita. Insomma, tempi difficili per il nostro settore automotive, carburanti compresi.

@Fernando_Liuzzi

Fernando Liuzzi