Il mondo del vino sta vivendo una fase complessa e difficile. Il calo dei consumi, l’eccesso di produzione, gli elevati costi di produzione e l’attenzione alla salute stanno mettendo sotto pressione il comparto. È questa l’analisi di Pierlugi Catello di Michael Page, multinazionale britannica di recruitment. Se negli anni passati si guardava di più al middle management e a figure operative ora, invece, le aziende puntano su figure operative di alto profilo come direttori generale e commerciali. Quello che cercano sono competenze capaci di dare una visione strategica per affrontare l’attuale complessità.
Che situazione sta vivendo il comparto del vino alla luce degli ultimi cambiamenti economici e politici?
Penso che gli effetti dei dazi si faranno sentire con più forza dal prossimo anno. Prima che entrassero in vigore c’è stato un grande accumulo di stock, e questo ha fatto da cuscinetto in questa prima fase. Ovviamente le aziende che erano più sbilanciante verso il mercato americano avranno qualche difficoltà in più. Se guardiamo agli altri mercati c’è ovviamente l’Asia, ma non sempre sono realtà facilmente e rapidamente penetrabili. C’è, prima di tutto, un gap culturale da colmare con molti paesi, perché il consumo del vino non rientra nel loro stile di vita. In Cina, poi, si è investito molto negli ultimi anni ma con un ritorno al di sotto delle attese, il Giappone è un mercato maturo, dove i margini di per nuovi guadagni sono risicati. Con l’accordo del Mercosur potrebbero aprirsi nuovi spazi ma non dobbiamo dimenticarci che i paesi di quell’area hanno una loro produzione vinicola consolidata. A tutto questo si aggiunge la guerra in Ucraina e la chiusura del mercato russo. Quindi, nonostante gli ostacoli doganali, gli Usa sono una destinazione non facilmente abbandonabile per il vino italiano, così come si cerca di rafforzare la presenza in quelli europei.
Su che figure puntano maggiormente le aziende del vino?
I profili più richiesti e sui quali le aziende investono maggiormente sono quelli legati all’area produzione e commerciale. Negli ultimi anni l’export manager è stata una delle figure più ricercate. Questo ha comportato un maggior turn over e il fatto che molti abbiano cambiato azienda più volte ha generato un incremento tra il 10 e il 20% della retribuzione annuale lorda. Questo dinamismo negli ultimi mesi si è alquanto affievolito. Altre professionalità ambite dalle cantine sono quello del trade marketing manager, l’enologo o il direttore tecnico e il responsabile acquisti.
Oggi in che ruoli si investe maggiormente?
C’è uno slittamento verso l’alto di tutto il settore. Si punta a profili di livello elevato per gestire le problematicità con le quali il mondo vino deve fare i conti. Un direttore generale non deve più guardare all’oggi ma deve sapere leggere e capire le dinamiche future. Allo stesso modo il direttore commerciale non può limitarsi a essere un semplice ponte tra la cantina e il mercato, ma deve trasmettere i valori del brand anche per instaurare un rapporto profondo con il consumatore.
Com’è l’andamento delle retribuzioni?
Tutte le figure attinenti all’area commerciale sono quelle che, secondo le nostre analisi, hanno le retribuzioni più alte. Se prendiamo un profilo con più di dieci anni di esperienza nel ruolo di direttore commerciale si tocca un range che va tra i 100mila e i 160mila euro lordi annui. Mentre in ruoli più tecnici, come il direttore tecnico o di produzione, arrivano a superare i 90mila euro.
C’è un’osmosi di competenze e professionalità tra il vino e altri settori?
Ci sono delle figure che ruotano unicamente attorno al mondo del vino, come l’enologo, e che non sono trasversali con altri settori. All’opposto chi si occupa di contabilità può benissimo venire da altri comparti. In generale, per quanto riguarda alcuni profili, come il direttore commerciale e l’export manager, il mondo del vino tende a essere un po’ chiuso e quindi si va a pescare chi ha già lavora nel settore. Oppure si guarda al mondo degli spirits che hanno logiche vicine a quelle del vino. Qualche azienda si è affidata a figure che prima hanno operato nel mondo del lusso o nell’industria alimentare, ma sono davvero pochi esempi. Ovviamente tutto dipende anche da grado di esperienza che si va a cercare. Poi credo che la questione non sia tanto quella di andare a prendere da altri settori quanto, semmai, quella di guardare ad esempi non necessariamente attinenti al vino per conoscere buone pratiche da applicare.
Come può essere descritta l’azienda vitivinicola media?
Le imprese del vino, per dimensione, sono paragonabili a quelle degli altri settori, quindi stiamo parlando di imprese medio-piccole. La differenza che notiamo invece è che c’è una forte presenza di manager esterni alla famiglia. Ciò accade molto meno nelle imprese del settore alimentare. Questo è dovuto, ad esempio, al fatto che il vino è solo uno degli asset del business della famiglia. Nel settore del vino capita spesso che aziende a proprietà internazionale, con interessi prevalenti in altri ambiti, affidino la guida a manager esterni per portare in azienda competenze specifiche. E quindi c’è una presenza molto più di ampia di figure di alto livello con retribuzioni anche importanti per aziende di piccole dimensioni.
Un tema molto attenzionato nel mondo del lavoro è la difficoltà nel trovare lavoratori e competenze. Il vino si trova nella stessa condizione di altri settori?
Le aziende enoiche vivono le stesse difficoltà nel trovare manodopera come quelle di altri comparti. Questo si avverte molto per i lavori più gravosi, come quelli in vigna, ma anche per altri impieghi. È quindi importante non solo la capacità di attrarre ma anche di trattenere per non perdere competenze. In questa fase è venuta meno, tuttavia, un po’ di fiducia. Le notizie che si sento non sono positive sotto tutti i fronti, e quindi c’è la tendenza da parte dei candidati a non valutare nuove opportunità. Chi ha un lavoro se lo tiene stretto per timore che il cambiamento sia poi un andare a perdere. Quello che vedo è che molti annunci stanno ricevendo poche candidature rispetto al passato.
Riguardo agli annunci di lavoro, i datori dovranno poi indicare anche la retribuzione quando entrerà in vigore la direttiva europea sulla trasparenza salariale.
Credo che la direttiva porterà un certo scompiglio, nel senso che molti lavoratori che magari hanno una retribuzione al di sotto del range che l’azienda è disposta a offrire al neo assunto faranno delle rivendicazioni. Si può innescare quel sentimento per cui un lavoratore non si sente particolarmente apprezzato sapendo che la sua impresa non lo paga quanto potrebbe. E quindi il nostro ruolo di intermediazione potrà risultare molto utile proprio per far trovare una quadra alle parti.
La direttiva ha anche l’obiettivo di contrastare la disparità di genere. Il vino su questo versante come si piazza?
La partecipazione delle donne è la stessa che in altri settori. Nei lavori più gravosi la componente femminile è molto più ridotta, e nei ruoli per i quali si richiede di viaggiare molto le donne tendono è essere meno perché su di loro ancora grava spesso il lavoro di cura della famiglia, e quindi diventa difficile la conciliazione. Sicuramente lo smart working può essere un valido strumento di work life balance ma anche una leva per attrarre personale, oltre ovviamente al salario.
Tommaso Nutarelli




























