Tra non molto, in Italia, potrebbe spuntare un nuovo partito. In sé non è una novità, siamo il Paese dove partiti e partitini sbocciano e appassiscono in un batter di ciglia. O quasi. Ma la nuova forza politica in gestazione potrebbe avere un impatto e una longevità sorprendenti. A guidarla dovrebbe essere Luca Zaia, il governatore veneto della Lega, escluso dalla corsa delle elezioni regionali di fine novembre a causa del divieto del terzo mandato imposto da Giorgia Meloni. Il Doge, chiamato così per il ventennio passato al vertice del potere veneto, non l’ha presa bene. Naturalmente. E dopo lo stop della premier, ha pensato di presentare una propria lista. Ma anche questa volta Meloni, che ha concesso al Carroccio di correre per la guida del Veneto con il vicesegretario Alberto Stefani, l’ha bloccato. La ragione: la lista personale avrebbe rubato troppi voti a Fratelli d’Italia. Infatti il governatore uscente alle elezioni del 2020 fu eletto con il 76,8% dei consensi e la sua lista personale incassò il 44,6%. Roba mai vista.
Ma il Doge, escluso dopo mesi di urla e strepiti dalla corsa per presidente regionale, non si è arreso. E ha deciso di candidarsi come capolista della Lega in tutte le province venete. Un modo per pesarsi, far vedere chi comanda a Venezia e dintorni e dimostrare (dopo i clamorosi disastri nelle Marche e in Toscana) che al Nord la Lega senza Matteo Salvini è in buona salute.
Zaia, con questa mossa, vuole centrare due obiettivi. Il primo: fare della “sua” Lega la maggiore forza del Veneto dove, alle elezioni europee dell’anno scorso, Fratelli d’Italia incassò il 37,8% surclassando il partito di Salvini. Il secondo obiettivo, quello con maggiore valenza politica per il futuro, punta a ribaltare la strategia seguita fin qui da Salvini. Basta con il populismo, il sovranismo, i toni da ultradestra e il generale Roberto Vannacci che ha fatto un clamoroso flop nella sua Toscana. Basta osannare Donald Trump e Vladimir Putin: chi deve fare i conti con i ceti produttivi del Nord-Est non fa il tifo per chi impone i dazi o scatena la guerra. E avanti con la riscoperta e la valorizzazione dell’identità padana, archiviando così il progetto di partito nazionale di Salvini. “Dobbiamo riscoprire le nostre radici, rilanciare il Nord e i suoi interessi”, teorizza Zaia.
Attenzione, però. Zaia non punta a mandare a casa Salvini. Non gli interessa e non ne ha la necessità: ama lavorare al Nord come Umberto Bossi. E, astuto com’è, nel suo piano c’è l’idea di lasciare a Salvini la guida di quella che ormai si è trasformata in una “bad company”: la Lega nazionale. Il Doge, invece, se il voto di fine novembre lo premierà, si lancerà nell’impresa di costruire la “casa dei nordisti”. Insomma, fonderà una nuova Lega Nord.
Non aspettatevi però zuffe, lacrime e drammi. La scissione che ha in mente Zaia sarà pilotata e, probabilmente, concordata. Una sorta di separazione consensuale, accompagnata da un accordo di imperitura alleanza e fratellanza con la Lega nazionale di Salvini. E questo sarà possibile adottando il modello tedesco. In Germania, fin dal dopoguerra, esiste l’Unione Cdu/Csu, formata da due partiti chiamati “gemelli”. Uno opera su scala nazionale ed è l’Unione cristiano democratica attualmente guidata dal cancelliere Friedrich Merz. L’altro è l’Unione cristiano sociale di Baviera, che si limita a raccogliere voti solo nel land bavarese e ha come capo Hors Seehofer. Poi, a Berlino, governano assieme felici, alleati e potenti. Ebbene Zaia, in ragione dell’ottimo risultato che a fine novembre spera di incassare in Veneto, pianifica di diventare il leader della Csu padana: il capo della Lega del Nord sulle orme di Umberto Bossi. E medita di lasciare a Salvini la Cdu nostrana: la Lega nazionale del Centro e del Sud, con Roberto Vannacci e altri nostalgici della X Mas. Un epilogo che per il vicepremier sarebbe (quasi) indolore: invece di essere sfiduciato per come ha ridotto il partito, conserverebbe gradi e segreteria.
Quello di Zaia appare un piano fondato sul buonsenso. È preferibile separarsi, piuttosto che restare assieme litigando e controvoglia. E poi siglare un accordo di alleanza. Una decisione indispensabile anche per evitare di continuare ad affondare in coppia. I numeri del disastro salviniano sono impietosi: la Lega è passata dal 34,3% delle europee 2019, all’8,9% di quelle del 2024. Meno 25,4%: un vero tracollo. E se non fossero arrivati i 530 mila voti di Vannacci, sarebbe andata ancora peggio. “Ne ho parlato più volte con Matteo”, ha rivelato il governatore, “il modello della Cdu-Csu che ha avuto successo in Germania può essere replicato in Italia, un Paese dove ci sono troppe differenze. E può essere il modo per superare una volta per tutte la questione settentrionale e quella meridionale”.
Il piano della Lega del Nord riscalda i cuori di tutti i colonnelli leghisti stanchi di Salvini e della sua Lega nazionale. Con Zaia c’è il presidente della Lombardia Attilio Fontana che ha già provveduto a incoronare il Doge: “Luca è fondamentale per il Veneto e non solo in Veneto. È un uomo politico di notevole spessore”. E ci sono i due capigruppo in Parlamento, Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo, e il governatore friuliano Max Fedriga. Insomma tutto lo stato maggiore del Carroccio legato al Nord. E perfino Salvini, che annusa la possibilità di salvare pelle e poltrona al costo di una scissione pilotata e concordata, non si sta mettendo di traverso. Tant’è che si è già proposto come segretario “federatore”. Dal suo entourage frenano, fanno sapere che “la questione della scissione pilotata non è minimamente all’ordine del giorno”. Tattica, probabilmente.
Ciò che è certo è che l’eventuale nascita della Csu padana servirebbe anche a impedire il passaggio della Lombardia nel 2028 nelle mani di Fratelli d’Italia. Per ottenere il Veneto, Salvini si è venduto il Pirellone a Meloni, ma Romeo Fontana & C. già sono corsi ad alzare barricate al grido: “La Lombardia è nostra e non si tocca”. La speranza: riportare la Lega, grazie al ritorno all’identità padana, a essere il primo partito del Nord. E respingere così l’assalto alla Regione.
Ma c’è di più. C’è che la nascita di un secondo partito leghista, fieramente padano, potrebbe avere effetti su scala nazionale. Potrebbe rappresentare una minaccia per l’avanzata (finora incontrastata) al Nord di Meloni. E Salvini, definendo meglio la propria identità di leader dell’ultradestra assieme a Vannacci, avrebbe la possibilità di rendere più difficile la vita di Fratelli d’Italia al Centro e al Sud. Una competizione a destra finora vinta a mani basse dalla premier. Da non trascurare, infine, la possibilità che la Lega-Csu di Zaia possa rivelarsi un alleato non del tutto affidabile per Meloni. Il Doge, infatti, non è di destra e non ama neppure il populismo e il sovranismo.