Fumata grigia per il contratto dei metalmeccanici. In due giorni di intenso lavoro, con riunioni ristrette, segnale preciso che si sta andando al cuore dei problemi, Federmeccanica e le tre federazioni di Cgil, Cisl e Uil sono state in grado solo di fissare un prossimo nutrito calendario di appuntamenti. La pressione per arrivare alla conclusione di questa sofferta vicenda sindacale porterebbe a considerazioni ottimistiche circa la chiusura del confronto, ma restano parecchi punti oscuri, dentro la trattativa, ma soprattutto all’esterno che potrebbero ostacolare l’iter conclusivo. In particolare, pesa l’incognita circa la possibile sospensione del prelievo fiscale sugli aumenti salariali contrattuali.
Il governo, nella persona della ministra del Lavoro, Marina Calderone, ha avanzato una proposta in tal senso, non incontrando particolari ostacoli, tanto che è stata inserita nella manovra varata venerdì 17 dal consiglio dei ministri. È evidente che una mossa del genere aiuterebbe non poco il negoziato, perché il punto più difficile da superare verte proprio sull’aumento salariale. Il patto della fabbrica, l’accordo interconfederale del 2018, obbliga a non concedere aumenti superiori all’indice Ipca, cioè all’inflazione decurtata però dagli aumenti dei prezzi internazionali dei prodotti petroliferi. Il sindacato però ha avanzato richieste abbastanza superiori e questo crea un problema.
È evidente che lo sgravio del carico fiscale significherebbe più danari in tasca ai lavoratori e quindi forse potrebbe portare a un accordo. Il sindacato non è però unito su questo punto. La Cisl, non so la Fim, non gradisce tanto questo possibile sgravio, vorrebbe che riguardasse solo gli aumenti salariali decisi con la contrattazione aziendale, mentre la Cgil ha gradito molto questa proposta, tanto è vero che, al momento, sembrerebbe essersi allontanato lo spettro di un altro sciopero generale contro la manovra. Insomma, il quadro non è preciso, tutt’altro, restano molti punti oscuri che devono essere chiariti per arrivare al traguardo del rinnovo contrattuale.
Una conclusione felice di questo negoziato conforterebbe l’ipotesi secondo la quale nel complesso le relazioni contrattuali nell’industria funzionano bene. Tutti i contratti vengono rinnovati presto e bene, le anomalie, come appunto il contratto dei metalmeccanici, dipendono da problemi specifici. Il problema è che in tutto il resto della galassia del lavoro invece si soffre e anche parecchio. I grandi contratti del terziario, quello del commercio e quello del turismo, che interessano svariati di lavoratori, sono arrivati con cinque anni di ritardo e hanno portato aumenti salariali che non hanno coperto quanto era stato eroso dall’inflazione, causando così una perdita oggettiva di potere di acquisto.
La situazione è anche peggiore in tanti altri settori sempre nell’ambito del terziario dove la rappresentanza sindacale è molto incerta, la contrattazione sporadica e comunque insufficiente, alimentando in questo modo le forme del lavoro povero. Il modello industriale in questi settori non è utilizzabile e il risultato è una situazione di grande conflittualità che fa molto male ai lavoratori, ma anche alle imprese. Le ricette per un intervento che possa alleviare queste difficoltà si sprecano, naturalmente, ma non trovano unanime consenso. La soluzione più gettonata sembra quella che vorrebbe privilegiare i contratti di secondo livello piuttosto che quelli nazionali. Questi ultimi valgono per tutti i lavoratori, ma anche per tutte le imprese, anche per quelle che se la passano male, per quelle border line, che, in quanto tali, non si possono permettere gli aumenti generosi che vengono concessi nell’industria.
Il contratto aziendale, considerano coloro che sostengono questa tesi, è per natura duttile, tiene conto della capacità della singola azienda. Quando le cose vanno bene si possono elargire aumenti salariali generosi, quando le cose vanno male in questo modo si possono evitare guai maggiori. Una tesi vecchia, a lungo dibattuta nelle file sindacali, sostenuta con forza molto dalla Cisl. Il punto è che la contrattazione aziendale nell’industria raggiunge percentuali molto risicate, nel terziario avrebbe poco spazio. L’alternativa, che sostiene in un’intervista a Il diario del lavoro Paolo Pirani, veterano delle relazioni industriali dotato di buon senso e lungimiranza, potrebbe essere la contrattazione territoriale, che avrebbe il vantaggio di applicarsi a un determinato territorio e quindi tener conto della realtà economica di questo comparto. Ci sono precedenti importanti, perché i settori caratterizzati dalla presenza di aziende piccole e piccolissime applicano da sempre questa modalità contrattuale. L’agricoltura, l’edilizia, l’artigianato hanno contratti territoriali che riscuotono, devo dire, con successo generalizzata. Gli industriali sono stati storicamente contrari alla contrattazione territoriale, temendo di dover sommare tre distinti momenti contrattuali, il nazionale, l’aziendale e quello di territorio. Ma questa innovazione potrebbe interessare solo il terziario, sarebbe l’alternativa a una contrattazione aziendale per lo più insufficiente, quasi inesistente. Forse varrebbe la pena provare.
Massimo Mascini