“Nel corso degli anni si prevede una crescita del tasso di attività totale, che nel 2050 raggiungerebbe il 73,2%, più sostenuta per la componente femminile (+9 punti percentuali) rispetto a quella maschile (+3,7 punti percentuali), comportando un ulteriore avvicinamento tra i generi. Nel 2050 il divario rimane comunque significativo, con valori pari al 79,3% per gli uomini e al 66,5% per le donne”. Lo scrive l’Istat, nel suo report sulle previsioni delle forze di lavoro al 2050, ed è solo apparentemente una buona notizia. Per comprenderla appieno va infatti legata ad altri due dati: quello sulle nascite, sempre più basse, e sul calo della popolazione, e quello sull’aumento, invece, degli anziani, che restano in attività. “Come in un film distopico” (la definizione è dell’ex ministro pentastellato Stefano Patuanelli), i giovani via via svaniscono, e gli anziani li soppiantano, sempre più a lungo.
Ma vediamo nel dettaglio i dati diffusi oggi dall’Istituto di statistica. Nei prossimi decenni, scrive l’Istat, la quota di anziani di 65 anni e più sul totale della popolazione potrebbe aumentare da meno di uno su quattro individui (24,3%) nel 2024, a più di uno su tre nel 2050 (34,6%). Contestualmente, la quota di persone di 15-64 anni scenderà al 54,3%, dal 63,5% del 2024. In parallelo, inoltre, nel 2050 il requisito anagrafico per la pensione salirà a 68 anni e 11 mesi, per toccare i 70 netti nel 2067. Proprio a causa del progressivo invecchiamento della popolazione, dell’allungamento della vita media e dell’innalzamento graduale dell’età pensionabile, è interessante l’analisi del tasso di attività fino ai 75 anni che conduce l’Istat, allargando il bacino delle forze di lavoro oltre i canonici 15-64 anni. Infatti, se la popolazione di 15-64 anni è prevista in continua diminuzione fino al 2050, quella di 65-74 anni potrebbe crescere fino al 2039, quando si prevede sfiorerà i 9 milioni. L’Istat prevede, dunque, “un aumento della partecipazione al mercato del lavoro delle persone in età mature e anziane: tra il 2024 e il 2050- afferma- il tasso di attività tra i 55 e i 64 anni salirebbe dal 61% al 70%, e il tasso di attività nella fascia di età 65-74 anni potrebbe crescere dall’11% nel 2024 al 16% nel 2050”.
Nel dettaglio, l’Istat prevede che la popolazione di età 15-64 anni diminuisca del 21 per cento, da 37,2 milioni nel 2024 a meno di 30 nel 2050, con un calo più marcato per quella femminile: gli uomini passeranno da circa 18,7 milioni nel 2024 a 15,5 nel 2050 (-17%) e le donne da 18,6 a 14 milioni (-24,4%). All’interno di questo calo demografico, la popolazione attiva (occupati e disoccupati) subirà una riduzione più contenuta rispetto a quella complessiva: i maschi attivi scenderanno da 14,1 a 12,3 milioni, mentre le donne attive da 10,7 a 9,3 milioni (circa -13% per entrambi i sessi). A subire la diminuzione più pronunciata sarebbero quindi gli individui non attivi, soprattutto donne, la cui popolazione scenderebbe da 7,9 a 4,7 milioni (-40,3%). Tra gli uomini, invece, si prevede una riduzione di -29,6% tra gli inattivi che passano da 4,5 a 3,2 milioni.
Ma c’è un altro dato interessante: anche se la partecipazione femminile al mercato del lavoro rimarrà inferiore a quella maschile per tutto il periodo esaminato, “si prevede intorno al 2038 un sorpasso della popolazione femminile attiva su quella inattiva”. In altre parole: per portare le donne al lavoro, sembra di capire, occorrerà aspettare che siano più vecchie? D’altra parte, la speranza di vita alla nascita è prevista in aumento per entrambi i sessi: nel 2050 raggiungerà per i maschi 84,3 anni (dagli 81,7 del 2024) e per le femmine 87,8 anni (dagli 85,6 del 2024). Per di più, la speranza di vita a 65 anni nel 2050 potrebbe crescere per gli uomini a 21,5 anni (dai 19,8 del 2024) e per le donne a 24,4 anni (dai 22,7 del 2024). L’aumento della sopravvivenza, inoltre, “è generalmente affiancato a un miglioramento generale delle condizioni di salute”.
L’altro dato di cui tenere conto, parlando di scenari futuri, è quello sulle nascite. Nel 2024, comunica l’Istat, sono state appena 369.944, in calo del 2,6% sull’anno precedente. In termini numerici, sono diecimila nuovi nati in meno in un anno. una contrazione di quasi 10mila unità. Non va meglio nel 2025: tra gennaio e luglio le nascite sono già 13 mila in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con un calo del 6,3%. Il numero medio di figli per donna raggiunge un nuovo minimo storico: nel 2024 si attesta a 1,18, in flessione sul 2023. La stima provvisoria relativa ai primi 7 mesi del 2025 evidenzia una fecondità pari a 1,13.
Il nuovo record negativo per la natalità ‘’certifica uno scenario preoccupante’’, commenta la segretaria Cgil Daniela Barbaresi: “a tre anni dall’enfatica istituzione del Ministero della Natalità, l’inefficacia delle misure varate dal Governo è sotto gli occhi di tutti. Occorrono politiche strutturali, non slogan e bonus”. Secondo la dirigente sindacale “servono politiche a sostegno della natalità forti, capaci di garantire certezze: la certezza di un lavoro ben retribuito, la certezza di una casa, di una rete di asili nido diffusi nel territorio, accessibili e gratuiti, di congedi paritari e ben remunerati. E ancora, un Assegno unico da rafforzare e rendere davvero universale, superando esclusioni e discriminazioni, a partire da quelle che colpiscono coloro che risiedono in Italia da meno di due anni o hanno i figli all’estero. Peraltro – sottolinea – questo è ciò che ci chiede l’Europa, che per questa ragione ha attivato la procedura di infrazione contro l’Italia”.
In via prioritaria, per Barbaresi “è necessario garantire un’adeguata rete di asili nido e servizi educativi per la prima infanzia, recuperando rapidamente i troppi ritardi nella realizzazione dei progetti del Pnrr. A pochi mesi della scadenza del Pnrr infatti – ricorda la segretaria confederale – è stato speso solo il 34% dei 3,6 miliardi di euro di finanziamenti per asili nodo e scuole dell’infanzia; solo il 7% delle opere risulta completato e collaudato, mentre un quinto dei progetti presenta ritardi nella fase di esecuzione delle opere e 147 progetti fermi alla fase della progettazione esecutiva”.
Nunzia Penelope