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Istat: nel 2050 il tasso di attività salirà al 73,2%, ma sempre più numerosi saranno i ‘’vecchi’’ 65-74 al lavoro. Per le nuove nascite nuovo record negativo: Barbaresi (Cgil), servono asili nido, ma i 3,6 mld del Pnrr non vengono spesi

di Nunzia Penelope
21 Ottobre 2025
in La nota
Istat, nel 2019 in Italia 59.641.488 residenti

“Nel corso degli anni si prevede una crescita del tasso di attività totale, che nel 2050 raggiungerebbe il 73,2%, più sostenuta per la componente femminile (+9 punti percentuali) rispetto a quella maschile (+3,7 punti percentuali), comportando un ulteriore avvicinamento tra i generi. Nel 2050 il divario rimane comunque significativo, con valori pari al 79,3% per gli uomini e al 66,5% per le donne”.  Lo scrive l’Istat, nel suo report sulle previsioni delle forze di lavoro al 2050, ed è solo apparentemente una buona notizia.  Per comprenderla appieno va infatti legata ad altri due dati: quello sulle nascite, sempre più basse, e sul calo della popolazione, e quello sull’aumento, invece, degli anziani, che restano in attività. “Come in un film distopico” (la definizione è dell’ex ministro pentastellato Stefano Patuanelli), i giovani via via svaniscono, e gli anziani li soppiantano, sempre più a lungo.

Ma vediamo nel dettaglio i dati diffusi oggi dall’Istituto di statistica. Nei prossimi decenni, scrive l’Istat, la quota di anziani di 65 anni e più sul totale della popolazione potrebbe aumentare da meno di uno su quattro individui (24,3%) nel 2024, a più di uno su tre nel 2050 (34,6%). Contestualmente, la quota di persone di 15-64 anni scenderà al 54,3%, dal 63,5% del 2024. In parallelo, inoltre, nel 2050 il requisito anagrafico per la pensione salirà a 68 anni e 11 mesi, per toccare i 70 netti nel 2067. Proprio a causa del progressivo invecchiamento della popolazione, dell’allungamento della vita media e dell’innalzamento graduale dell’età pensionabile, è interessante l’analisi del tasso di attività fino ai 75 anni che conduce l’Istat, allargando il bacino delle forze di lavoro oltre i canonici 15-64 anni. Infatti, se la popolazione di 15-64 anni è prevista in continua diminuzione fino al 2050, quella di 65-74 anni potrebbe crescere fino al 2039, quando si prevede sfiorerà i 9 milioni. L’Istat prevede, dunque, “un aumento della partecipazione al mercato del lavoro delle persone in età mature e anziane: tra il 2024 e il 2050- afferma- il tasso di attività tra i 55 e i 64 anni salirebbe dal 61% al 70%, e il tasso di attività nella fascia di età 65-74 anni potrebbe crescere dall’11% nel 2024 al 16% nel 2050”.

Nel dettaglio, l’Istat prevede che la popolazione di età 15-64 anni diminuisca del 21 per cento, da 37,2 milioni nel 2024 a meno di 30 nel 2050, con un calo più marcato per quella femminile: gli uomini passeranno da circa 18,7 milioni nel 2024 a 15,5 nel 2050 (-17%) e le donne da 18,6 a 14 milioni (-24,4%). All’interno di questo calo demografico, la popolazione attiva (occupati e disoccupati) subirà una riduzione più contenuta rispetto a quella complessiva: i maschi attivi scenderanno da 14,1 a 12,3 milioni, mentre le donne attive da 10,7 a 9,3 milioni (circa -13% per entrambi i sessi). A subire la diminuzione più pronunciata sarebbero quindi gli individui non attivi, soprattutto donne, la cui popolazione scenderebbe da 7,9 a 4,7 milioni (-40,3%). Tra gli uomini, invece, si prevede una riduzione di -29,6% tra gli inattivi che passano da 4,5 a 3,2 milioni.

Ma c’è un altro dato interessante: anche se la partecipazione femminile al mercato del lavoro rimarrà inferiore a quella maschile per tutto il periodo esaminato, “si prevede intorno al 2038 un sorpasso della popolazione femminile attiva su quella inattiva”. In altre parole: per portare le donne al lavoro, sembra di capire, occorrerà aspettare che siano più vecchie? D’altra parte, la speranza di vita alla nascita è prevista in aumento per entrambi i sessi: nel 2050 raggiungerà per i maschi 84,3 anni (dagli 81,7 del 2024) e per le femmine 87,8 anni (dagli 85,6 del 2024). Per di più, la speranza di vita a 65 anni nel 2050 potrebbe crescere per gli uomini a 21,5 anni (dai 19,8 del 2024) e per le donne a 24,4 anni (dai 22,7 del 2024). L’aumento della sopravvivenza, inoltre, “è generalmente affiancato a un miglioramento generale delle condizioni di salute”.

L’altro dato di cui tenere conto, parlando di scenari futuri, è quello sulle nascite. Nel 2024, comunica l’Istat, sono state appena 369.944, in calo del 2,6% sull’anno precedente. In termini numerici, sono diecimila nuovi nati in meno in un anno. una contrazione di quasi 10mila unità. Non va meglio nel 2025: tra gennaio e luglio le nascite sono già 13 mila in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con un calo del 6,3%. Il numero medio di figli per donna raggiunge un nuovo minimo storico: nel 2024 si attesta a 1,18, in flessione sul 2023. La stima provvisoria relativa ai primi 7 mesi del 2025 evidenzia una fecondità pari a 1,13.

Il nuovo record negativo per la natalità ‘’certifica uno scenario preoccupante’’, commenta la segretaria Cgil Daniela Barbaresi: “a tre anni dall’enfatica istituzione del Ministero della Natalità, l’inefficacia delle misure varate dal Governo è sotto gli occhi di tutti. Occorrono politiche strutturali, non slogan e bonus”. Secondo la dirigente sindacale “servono politiche a sostegno della natalità forti, capaci di garantire certezze: la certezza di un lavoro ben retribuito, la certezza di una casa, di una rete di asili nido diffusi nel territorio, accessibili e gratuiti, di congedi paritari e ben remunerati. E ancora, un Assegno unico da rafforzare e rendere davvero universale, superando esclusioni e discriminazioni, a partire da quelle che colpiscono coloro che risiedono in Italia da meno di due anni o hanno i figli all’estero. Peraltro – sottolinea – questo è ciò che ci chiede l’Europa, che per questa ragione ha attivato la procedura di infrazione contro l’Italia”.

In via prioritaria, per Barbaresi “è necessario garantire un’adeguata rete di asili nido e servizi educativi per la prima infanzia, recuperando rapidamente i troppi ritardi nella realizzazione dei progetti del Pnrr. A pochi mesi della scadenza del Pnrr infatti – ricorda la segretaria confederale – è stato speso solo il 34% dei 3,6 miliardi di euro di finanziamenti per asili nodo e scuole dell’infanzia; solo il 7% delle opere risulta completato e collaudato, mentre un quinto dei progetti presenta ritardi nella fase di esecuzione delle opere e 147 progetti fermi alla fase della progettazione esecutiva”.

Nunzia Penelope

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