“L’occupazione, come recita l’art.36 della Costituzione, deve assicurare ad ogni lavoratore ‘una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa’”. E anche se “la dinamica salariale negativa dell’ultimo decennio vede ora segnali di inversione di marcia” la questione “non può essere elusa perché riguarda in particolare il futuro dei nostri giovani, troppi dei quali sono spinti all’emigrazione”. È ancora il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a suonare la sveglia alla politica italiana e stavolta lo fa mettendo al centro il lavoro, valore fondativo della nostra Repubblica. In occasione della cerimonia di consegna delle stelle al merito del lavoro per l’anno 2025, il Capo dello Stato ha ricordato un principio evidentemente trascurato: i salari sono “lo strumento principe nel nostro Paese per ridurre le disuguaglianze”. E il pensiero va in particolare ai tanti giovani costretti ad emigrare “per la difficoltà di trovare lavoro e, sovente, a causa del basso livello retributivo di primo ingresso nel mondo del lavoro”.
Un problema che ha conosciuto una recrudescenza durante la ripresa post-pandemia. Mattarella ricorda che anche in Italia, infatti, come segnalato dalla Banca Centrale Europea, “alla robusta crescita dell’economia che ha fatto seguito al Covid, non è corrisposta la difesa e l’incremento dei salari reali”. Piuttosto, a conoscere un impennata di risultati positivi azionisti e dirigenti. Un’iniquità, inoltre, alimentata anche dal fatto che sono le entrate fiscali provenienti da dipendenti pubblici e privati, dai pensionati “a fornire allo Stato, attraverso le imposte, il maggior volume di risorse”. E sulle ricette per porvi rimedio si rivolge alle parti sociali e alle istituzioni: “non deve consistere nell’inseguire politiche assistenziali quanto, piuttosto, essere scelta di sviluppo e, quindi, di lungimirante coesione sociale”.
Richiamando poi i risultati di una recente indagine di Confcommercio, il Presidente della Repubblica solleva l’allarme sulla proliferazione dei ‘contratti pirata’, ritornati al centro del dibattito pubblico dopo la legge che delega il Governo in materia di retribuzione, contrattazione collettiva e procedure di controllo e informazione. “Oltre mille i contratti collettivi nazionali di lavoro depositati al Cnel: duecentocinquanta nei soli settori del turismo e del terziario. Tra questi, vi sono contratti firmati da rappresentanze sindacali e datoriali scarsamente rappresentative, con vere e proprie forme di dumping contrattuale che hanno l’effetto di ridurre i diritti e le tutele dei lavoratori, di abbassare i livelli salariali, di provocare concorrenza sleale fra imprese”.
Con consueta fermezza, dunque, il Mattarella tratteggia lo stato di salute del lavoro in Italia. Che sì “sta cambiando” e nei cambiamenti occorre sapersi inserire, ma che mai può essere scisso dal “rispetto di ogni persona”. Rispetto che passa innanzitutto per salute e sicurezza. Durante la cerimonia, sono state conferite stelle alla memoria di Angelo Catania, Maurizio Curti, Loris Nadali, caduti sul lavoro. “Non ci stancheremo di ripeterlo: lavoro non può significare rischio di vita. Angelo, Maurizio, Loris, oggi dovrebbero essere qui, con noi”. Ma anche per l’abbattimento di crescenti disparità salariali che allargano la forbice tra gli strati sociali. Esiste, ricorda il Presidente, “una struttura di categorie salariali che vede, nei cosiddetti piani alti dell’occupazione, lavoro prestigioso, appagante, ben remunerato e, nei cosiddetti piani bassi, forme di precarietà non desiderate, subite, talvolta oltre il limite dello sfruttamento”.
Il lavoro, avverte dunque Mattarella, va ricomposto. Un’azione che fa parte “di un processo di equità, che richiede una crescita di consapevolezza, e anche un’opera paziente di carattere culturale”. Ma nel nostro Paese, “sembra, talvolta, che non ci si renda appieno conto degli effetti negativi che possono derivarne nel tempo sulla serenità della vita sociale”.
A questo fine, occorre sempre ricordare che il lavoro “costituisce elemento permanente del nostro modello di comunità, rappresentando, al tempo stesso, un diritto e un dovere, perché realizza le aspettative di crescita delle persone ed esprime i doveri di solidarietà della coesione sociale del Paese. Un’etica civile, quella del lavoro, che ha permeato e permea la nostra società”, ha aggiunto. Quel diritto-dovere che è stato “uno dei fattori più potenti della crescita economica, sociale, civile del nostro Paese”, sostenuta dal “senso unitario dell’apporto delle cittadine e dei cittadini allo sviluppo del Paese”, che “ha avuto una funzione determinante nel generare partecipazione, diritti, benessere”.