Il rischio c’era, ma, a quanto pare, non si è materializzato. Fra i meriti che il governo Conte2 prima e quello Draghi poi possono attribuirsi, nella difficilissima gestione di una emergenza inedita come la pandemia, c’è quello di avere evitato che l’economia italiana si trasformasse in un desolato panorama di aziende zombie. Cosa sono le aziende zombie? Imprese già cadaveri, di fatto fallite, ma tenute in vita da aiuti artificiali. L’Italia, dai lontani tempi della Gepi in poi, ne ha una lunga esperienza. Il parametro più semplice per misurarle sono i profitti: se non bastano a coprire gli interessi sui debiti, l’azienda è decotta e resta in piedi solo perché ci si rifiuta di certificarne il decesso. Difficile che, se non riesce, anno dopo anno, ad accumulare abbastanza soldi da rinnovare almeno i debiti, possa andare avanti. Anche se non impossibile: secondo Bankitalia, un terzo delle aziende classificate zombie tre anni dopo sono ancora lì e un terzo (non necessariamente le stesse) riesce a tornar sana. Questo dimostra la difficoltà di classificare le aziende come vitali o non vitali. Ma la scommessa sulla sopravvivenza delle aziende zombie non è di quelle raccomandabili. Tanto più in Italia, dove la loro incidenza è comparativamente alta. Secondo la Banca d’Italia, a fine 2019, fra il 3 e il 5 per cento di tutte le aziende era tecnicamente decotta, ovvero non aveva profitti all’altezza degli interessi sul debito, compromettendo fra il 2 e il 4 per cento dell’occupazione totale. Su questa falla si è abbattuta la tempesta della pandemia e l’asfissia di lockdown e quarantene. Il risultato immediato è stato un boom di aziende tecnicamente decotte nei settori più colpiti dalle conseguenze del virus. Lecito, dunque, aspettarsi un’ondata di fallimenti, che però non c’è stata, anzi, ci sono stati meno fallimenti del 2019. A stagnare l’emorragia è intervenuto, infatti, come in altri paesi, il governo, prima Conte, poi Draghi con aiuti, incentivi, soccorsi bancari, sostegni al credito. Un’imponente mole di aiuti, rosa dal tarlo del dubbio: quante delle aziende che stiamo salvando a caro prezzo meritavano, invece, di fallire e di non sottrarre preziosi aiuti ad aziende, al contrario, vitali? Un dubbio che è rimbalzato da una capitale europea all’altra, tutte impegnate nella stessa direzione, accompagnato dai moniti e dagli avvertimenti della Commissione di Bruxelles, come del board di Bruxelles: non congeliamo risorse in imprese senza speranza.
Ci siamo riusciti? I dati sui bilanci 2020 ancora non ci sono, ma, in questa delicatissima navigazione a vista i governi italiani sembrano essere riusciti ad evitare la trappola di salvare l’insalvabile. Secondo le analisi preliminari dei tecnici della Banca d’Italia, gli interventi a ripetizione a favore delle imprese (contributi a fondo perduto, garanzie bancarie ecc.) hanno, in effetti, limitato il numero dei fallimenti, ma i paletti posti nei vari decreti hanno di fatto impedito che le aziende zombie succhiassero, nonostante i contributi a pioggia, più risorse ai danni delle aziende sane. Quasi metà delle imprese esaminate da Via Nazionale ha ottenuto, ad esempio, contributi a fondo perduto. Ma le aziende zombie avevano fra il 16 e il 21 per cento di probabilità in meno, rispetto alle aziende sane, di mettere le mani su quei soldi. Per farlo, le aziende dovevano, infatti, dimostrare un calo di fatturato del 33 per cento, rispetto all’anno prima, che molte aziende già in difficoltà non sono state in grado di mostrare. Anche l’altro salvagente-chiave, la moratoria sui debiti, è risultato più elusivo per le aziende decotte, che risultano averne fruito fra il 4 e il 7 per cento in meno delle aziende sane.
Netto, nell’analisi di Bankitalia, il rifiuto dello Stato di fornire la propria garanzia sui debiti, che si è rivelata fra il 14 e il 22 per cento meno probabile per le aziende troppo deboli. Anche le linee di credito sono risultate più magre: i prestiti alle aziende probabilmente zombie sono mediamente più piccoli della metà rispetto a quanto ricevuto dalle aziende sane. Una cautela che appare più che giustificata, visto il comportamento delle banche, interessate a tenere in vita il più possibile le imprese debitrici, prima di essere costrette a definire i crediti inesigibili: dove la garanzia statale arrivava automaticamente al 100 per cento (per somme, però, inferiori a 30 mila euro) i prestiti delle banche alle aziende zombie risultato del 12 per cento superiori a quelli destinati alle aziende sane.
Maurizio Ricci