Marine Le Pen potrebbe essere il prossimo presidente francese. E l’ombra di Salvini incombe su qualsiasi governo della Repubblica. Politicamente, può piacere o meno. Ma, per l’economia, nonostante le fanfare populiste sullo sviluppo, la vittoria di leader come Le Pen o Salvini è quasi certamente un disastro: l’economia populista, dice l’esperienza storica, è una economia a scendere. Più o meno, secondo una recente ricerca, un 1 per cento di Pil in meno l’anno. E non è casuale: alla base, dice un’altra ricerca, c’è un deficit culturale, intrinsecamente legato alla natura stessa del populismo.
Chi sono i populisti? Un gruppo di studiosi tedeschi li definisce come movimenti che si basano sulla contrapposizione fra “noi” (il popolo) e “loro” (le élites), un tema fondamentale nella propaganda, ad esempio, di Salvini come della Le Pen. Su questa base, individuano 50 governi che si sono succeduti nel mondo fra il 1900 e il 2018: ci sono Trump, Bolsonaro, Berlusconi. Non Reagan e Putin. Come è andata l’economia sotto questi governi? Quasi sempre male. In media, un governo populista si traduce nella perdita di un punto di Pil l’anno, rispetto al trend precedente l’avvento del governo populista e anche al trend contemporaneo dell’economia mondiale. Non è una frenata brusca e temporanea, ma una corrosione lenta e duratura, che si prolunga per anni e che intacca in misura significativa le potenzialità del paese: la perdita di velocità del Pil è pari al 10 per cento nell’arco di 15 anni.
Secondo la ricerca, pubblicata su Voxeu, è la ricetta economica del populismo, fondata su un mix di protezionismo, alto debito e inflazione (come confermano le idee con cui gli economisti della Lega salutarono la nascita del primo governo Conte) a indebolire l’economia. Ma, secondo un’altra ricerca, anch’essa apparsa su Voxeu, questa volta di studiosi italiani della Bocconi, c’è un motivo che va più in profondità nella natura del populismo. Quella fondamentale contrapposizione fra popolo ed élites, una volta al potere, si traduce, infatti, nella diffidenza verso gli esperti: il leader populista cerca i suoi collaboratori con il metro della lealtà, non della competenza.
Questa seconda ricerca mette a confronto Comuni italiani in cui i populisti hanno vinto di misura, con Comuni in cui i populisti hanno perso per pochi voti. Realtà, insomma,, socialmente ed economicamente confrontabili. E cosa succede quando, al municipio, arriva la giunta populista invece di quella non populista? C’è la purga dei burocrati e l’assunzione di personale meno qualificato e competente, ma più disponibile a seguire, senza discutere, le direttive dall’alto.
Quando si insedia il sindaco populista, dicono i dati raccolti da Massimo Morelli e dagli altri ricercatori, il turnover della burocrazia comunale si accelera del 9 per cento, rispetto al Comune in cui i populisti, invece, hanno perso. Uno svecchiamento accelerato? Nient’affatto. Piuttosto una epurazione che vede la sostituzione di personale esperto con neoassunti, senza specifica esperienza, più frequente nell’11 per cento dei casi. La controprova? Le qualificazioni professionali. Il numero di impiegati laureti diminuisce bruscamente, rispetto a quanto fanno gli altri Comuni non populisti: 7,6 per cento di laureati in meno. Paga questa sostituzione di burocrati competenti con burocrati militanti? A quanto pare no. Rispetto alle entrate programmate, gli introiti delle amministrazioni populiste risultano inferiori dell”1,1 per cento.
Di questo deficit di competenza, l’Italia ha avuto ripetuti esempi, a livello nazionale, con i governi Berlusconi e i numerosi provvedimenti arenatisi per una redazione confusa e contradditoria. Ma i ricercatori indicano un’altra debolezza della cultura populista di governo: la mancanza di competenza e di risultati positivi si traduce, abitualmente, in un eccesso di interventi legislativi. In altra parole, le amministrazioni populiste tendono a reagire all’inefficacia di provvedimenti mal disegnati e alla scarsità di risultati, moltiplicando interventi e direttive, con il risultato di aggravare gli ingorghi burocratici e limitare ulteriormente l’efficacia di governo.
Maurizio Ricci