Ministri e ministeri erano stati avvisati: tagli lineari ai finanziamenti di chi non è stato in grado di spendere le dotazioni assegnate. Risorse che confluiranno nella manovra e serviranno a rendere meno corta la coperta. Ma tra le tante polemiche che ammantano la bozza della legge di bilancio – che approderà in Parlamento verosimilmente questa settimana – la sfalciata al fondo audiovisivo ha colto un po’ tutti di sorpresa: meno 196milioni nel 2026 e ulteriore sottrazione da 240milioni nel 2027. Il fondo – istituito nel 2016 dall’allora ministro Dario Franceschini -, dopo la poderosa iniezione di risorse per sostenere l’industria durante la pandemia con un acme da 885milioni, è stato portato a 746milioni nel 2023, per poi scendere a 696milioni nel 2024-2025. Salvo modifiche, dunque, per il 2026 i lavoratori dell’audiovisivo dovranno accontentarsi di 500milioni.
Una notizia che, contemporaneamente, gela e surriscalda gli animi del comparto, già esasperato da quasi due anni di blocchi per la dibattuta riforma del Tax Credit avviata dall’ex ministro Gennaro Sangiuliano e completata dall’erede Alessandro Giuli. I nuovi criteri, riformati con l’obiettivo di perseguire maggiore trasparenza ed evitare sprechi e truffe – su cui, tra l’altro, la procura di Roma sta indagando -, gli ostacoli per l’accesso al credito d’imposta per le PMI sono aumentati, mettendo a rischio la sostenibilità delle produzioni indipendenti. E se la sottosegretaria leghista con delega all’audiovisivo, Lucia Borgonzoni, è stata alfiere della prima ora di questa “rivoluzione” del cinema, la reazione ai tagli annunciati dal compagno di partito Giancarlo Giorgetti è stata di segno opposto. Borgonzoni, infatti, ha inviato una lettera accorata alla premier Giorgia Meloni, a Giorgetti stesso e al suo capo Giuli chiedendo – come riportato dall’HuffPost – di non intervenire ulteriormente sulle risorse per l’audiovisivo per evitare di mettere a rischio il 60% delle produzioni e la sicurezza di 120mila lavoratori complessivamente impiegati. Il cinema, arringa, non è un costo ma motore di cultura.
Mossa, quella della sottosegretaria, non apprezzata dalla politica. “Siamo allo scaricabarile estremo”, commenta tranchant a capogruppo democratica in commissione Cultura alla Camera, Irene Manzi. “Invece di assumersi responsabilità reali, Borgonzoni scrive lettere di protesta. In un momento in cui il cinema italiano è già al collasso, la sottosegretaria preferisce rivolgersi a Meloni, Giorgetti e Giuli, invece di fare ciò che sarebbe logico: dimettersi”. E aggiunge: “Basta con questa sceneggiata molto simile ad un film di serie B: nessuna responsabilità nella maggioranza, solo accuse reciproche e teatrini interni. La cultura italiana non merita questo trattamento. Il cinema italiano è un’eccellenza mondiale, un patrimonio artistico e industriale che sostiene l’economia e la reputazione del Paese. Questo governo sta giocando con il futuro di migliaia di lavoratori, produttori, autori e maestranze. La sforbiciata va immediatamente cancellata, prima che il settore collassi definitivamente”.
Mentre il capo del Mef tira dritto, il settore entra in sommossa. Agici (Associazione generale industrie cine-audiovisive indipendenti), Apa (Associazione dei produttori audiovisivi) e Cna- Cinema e audiovisivo si rivolgono direttamente ai vertici di Stato per fermare la deriva, mentre il presidente nazionale di Confartigianato Cinema, Corrado Azzollini, non esita a comunicare le sue preoccupazioni per la tenuta delle imprese. Dal lato sindacale, a far sentire la sua voce è la segretaria nazionale della Slc-Cgil, Sabina Di Marco, che si sofferma sul crollo occupazionale “più volte e da più parti annunciato”. Con le misure in manovra, infatti, si aggraverebbe la flessione dell’occupazione che già nell’ultimo anno è stata di circa il 20%: “Un calo sicuramente imputabile a diversi fattori di ordine strutturale, ma anche ai colpevoli ritardi del Governo nel legiferare ed erogare gli stanziamenti per il tax credit”. Piuttosto, rivendica Di Marco, il settore della cultura avrebbe bisogno di ulteriori investimenti anche a fronte della ventennale riduzione di fondi destinati allo spettacolo. Inoltre, aggiunge, “l’aumento della disoccupazione, facilmente prevedibile se i tagli verranno confermati, rappresenterà un costo significativo in termini di misure di sostegno a carico dell’Inps. Misure già oggi inadeguate a dare risposte alle lavoratrici e ai lavoratori del settore”.
Ribadendo, in un certo qual senso, che gli investimenti sul lavoro non sono mai un costo. “Se il Governo intende riformare il settore del cine audiovisivo, cosa a nostro avviso necessaria e da anni richiesta dal sindacato, non può farlo in maniera surrettizia togliendo fondi, ma deve trovare un dialogo costruttivo che dia risposte e implementi lo sviluppo. A partire dal lavoro”, prosegue Sabina Di Marco
“È poi improcrastinabile rafforzare e adeguare al lavoro del mondo dello spettacolo le misure necessarie a garantire sicurezza sociale costante che nel Codice dello spettacolo sono ancora solo abbozzate e in alcuni casi distorte. Su questi temi – conclude la dirigente sindacale – i sindacati sono ancora in attesa di essere convocati dal governo, nonostante gli impegni presi per costruire un sistema di welfare che sia efficace e risolutivo per le lavoratrici e i lavoratori del settore. Lo spettacolo tutto, “dal vivo” e “cine audiovisivo”, rappresenta una grande risorsa per il Paese e richiede investimento pubblico, trasparente e controllato, per evitare abusi e mala gestione. Ma richiede un approccio mirato alla sua crescita e non al suo impoverimento”.
E sarà anche per i lavoratori e le lavoratrici dello spettacolo che la Cgil sarà in piazza sabato prossimo, “per chiedere una manovra che punti allo sviluppo e non sia di soli tagli”.
Elettra Raffaela Melucci