La liturgia della contrattazione. E’ uno dei mali del nostro secolo, che dovremo conoscere di più per poterlo combattere. Qualche giorno fa Pierangelo Albini, nel corso di una conversazione alla scuola di relazioni industriali di Telecom, che sta diventando un cenacolo di grande interesse per chi di lavoro tratta, ha detto al riguardo delle cose molto interessanti, sulle quali occorre fermarsi. I contratti vanno rinnovati, ha detto, ma non necessariamente. Troppe volte, ha aggiunto, incontro qualcuno che mi dice di aver raggiunto il miglior contratto possibile. Bene, ha aggiunto il responsabile delle relazioni sindacali di Confindustria, questo non dovrebbe più accadere.
Dicendo queste cose Albini ha toccato qualcosa di fondamentale, che attiene alla struttura della contrattazione, al cedere della nostra economia, al precipitare del ruolo delle relazioni industriali e delle parti sociali. Un insigne giuslavorista qualche giorno fa mi ha detto una cosa che mi ha fatto ragionare, questo secolo, ha affermato, sarà purtroppo ricordato come il secolo no union, senza sindacato. Non perché sparirà, ma perché sarà sempre meno importante, figura laterale, mai più protagonista come è stato nel secolo scorso. Sindacati, beninteso, sia dei lavoratori che degli imprenditori.
Bene, per evitare che ciò accada è bene che le parti sociali badino un po’ di più a cosa fanno, ragionino sul loro ruolo e su come lo svolgono. E’ vero che un sindacato per essere tale deve firmare degli accordi, perché altrimenti non ha ragion d’essere, ma è altrettanto vero che non basta firmare degli accordi quali che essi siano, questi devono essere all’altezza della situazione, devono servire all’obiettivo che si sono prefissati, di solito, ma non necessariamente, il maggior benessere dei lavoratori e il miglior modo di lavorare, ma anche la competitività delle imprese.
Il ragionamento si attaglia alla trattativa appena partita per l’aumento della produttività. L’esito più probabile di questa trattativa è un documento più o meno vuoto di significato, nel quale magari si affermano alcune cose, ma che è probabile che vengano poi realizzate. E’ questo tipo di conclusioni che occorre combattere. Perché l’obiettivo del negoziato voluto dal governo è fondamentale, attiene al livello di benessere che il nostro paese può raggiungere, o mantenere, e le parti sociali, al di là se questo sia o meno esercizio di concertazione, devono tendere con tutte le loro forze all’accordo e all’accordo che effettivamente faccia crescere la nostra competitività.
Facile a dirsi, meno a tradurlo in atti concreti. Ma questo deve essere il ruolo delle parti sociali se vogliono davvero essere soggetti politici. Non è importante partecipare, magari in 35, alle riunioni nella sala verde di Palazzo Chigi, è importante firmare un accordo che serva al paese, alle imprese, ai lavoratori. Si deve riacquistare il senso del proprio ruolo, che si è perso. Non è facile, perché alla fine è un problema di classe dirigente e noi siamo molto carenti al riguardo, ma se non ci si riuscisse saremmo costretti a rassegnarci a vivere nel secolo no union.
Massimo Mascini