Nonostante la pandemia abbia picchiato duro, il confronto serrato tra tutti gli attori coinvolti e un sistema di relazioni industriali all’insegna della partecipazione, sono state per Filippo Pieri, segretario generale della Cisl dell’Emilia-Romagna, gli argini che hanno mitigato gli effetti del covid. Il Patto per il lavoro e il clima, spiega Pieri, ne è una prova.
Pieri, lo slogan scelto da Cgil, Cisl e Uil per la festa dei lavoratori è “L’Italia si cura con il lavoro”. Che Primo Maggio è stato, e in che condizioni è il lavoro nella sua regione?
Come quello dell’anno scorso, anche questo è stato un Primo Maggio anomalo. La pandemia ha reso impossibile le grandi manifestazioni, come del resto per la festa della Liberazione, ma siamo comunque riusciti a organizzare eventi in luoghi simbolo, come ospedali, hub vaccinali o realtà segnate da gravi incidenti sul lavoro, sempre nel rispetto dei protocolli di sicurezza. La nostra regione è stata una delle più colpite dal covid, e questo ha avuto ripercussioni anche nel tessuto produttivo. La prima ondata ci ha colto impreparati, sinceramente, nei primi giorni, nessun sapeva cosa fare, anche se poi siamo riusciti a mettere in campo strumenti di sostegno sempre più efficaci. Durante la seconda ondata abbiamo visto alcuni settori più colpiti di altri, anche a causa dello scoppio di focolai, come quello della logistica e della lavorazione delle carni, dove siamo intervenuti con screening massivi per limitare il contagio.
Il settore del turismo, tra più danneggiati dalla pandemia, guarda con grande attenzione alle riaperture e alla prossima stagione estiva, per la quale si parla della creazione di isole covid free, che il governatore della sua regione, Bonaccini, non ha apprezzato. Lei che cosa ne pensa?
La riviera romagnola è un territorio unico, senza confini, che addirittura si prolunga anche in altre regioni. Da noi è impossibile realizzare località covid free. La campagna di vaccinazione è essenziale per far ripartire tutta l’Italia. In Emilia-Romagna abbiamo sempre rispettato i criteri nazionali, dando la precedenza agli anziani e ai soggetti a rischio. Solo una volta conclusa la vaccinazione dei più fragili, potremo guardare oltre, come le aziende.
Dopo il Patto per il lavoro del 2015, la sua regione ha dato vita, lo scorso dicembre, al Patto per il lavoro e il clima, anticipando, di fatto, alcune delle questioni al centro del Recovery Plan.
Assolutamente sì. Non è un semplice patto di legislatura, ma ha un obiettivo decennale, che guarda al 2030. Come ha giustamente detto, il documento anticipa nei contenuti il Recovery nazionale. È il frutto di un lavoro condiviso, che ha visto la luce grazie al contributo dei sindacati, delle parti datoriali e delle istituzioni, senza dimenticare il ruolo delle università, del sistema bancario, delle camere di commercio e del terzo settore. Insomma un testo che guarda al futuro, a un nuovo modello di sviluppo sostenibile e solidale. Un patto che possiamo anche definire generativo.
Che cosa intende?
È un patto “generativo” per due motivi. In primo luogo ci aspettiamo che nascano altrettanti patti a livello locale per intercettare le singole differenze territoriali. Inoltre ci auspichiamo che con le stesse modalità possano nascere altri patti su tematiche diverse, come peraltro già previsto nel Patto per il Lavoro e per il Clima.
Nello specifico quali?
Stiamo per concludere un Patto per la semplificazione, rivolto alla Regione e agli enti locali, per rendere più efficienti gli ingranaggi della macchina pubblica e spendere al meglio i fondi del Recovery, nel rispetto della legalità e delle tutele dei lavoratori. Grazie alle nostre proposte, è in cantiere anche un Patto per le competenze, a cui collaborano anche gli ITS e le università della regione, con al centro il tema della trasformazione digitale, che dovrebbe essere terminato in autunno.
Dunque il dialogo con le istituzioni può dirsi positivo?
Certamente. Tutti questi “patti” ne sono una testimonianza, anche se non mancano visioni diverse come è giusto che sia.
Quale è lo stato di salute delle relazioni industriali nella sua regione?
Positivo e con una lunga e consolidata tradizione. Molto spesso si parla della necessità di un nuovo Patto sociale per il paese, ma posso dire che in Emilia-Romagna c’è già. Infatti nemmeno la pandemia ha scalfito il riconoscimento reciproco tra le associazioni sindacali e le aziende che da sempre caratterizza le nostre relazioni industriali. Anche durante il lockdown non ci siamo mai fermati, e abbiamo saputo trovare immediatamente strumenti innovativi, come accordi per lo smart working. Anche da noi ci sono state delle difficoltà, si sono persi posti di lavoro, ma la nostra capacità nel gestire le crisi aziendali, in modo partecipativo, ci sta aiutando nel limitare al massimo i contraccolpi sul tessuto economico e sociale.
Secondo lei perché non si riesce a realizzare questo nuovo patto sociale, nonostante se ne parli da tempo?
Sino ad ora abbiamo avuto esecutivi che hanno impegnato gran parte delle loro capacità di mediazione nel sedare le tensioni tra le varie forze di maggioranza. Questo fa sì che lo spazio per il dialogo rivolto ai sindacati, parti datoriali e enti locali sia poco e di scarsa qualità.
Come giudica il governo targato Draghi? Crede che possa realizzare questo patto sociale e dare all’Italia ciò di cui ha bisogno?
Il giudizio al governo Draghi è sicuramente positivo. Il precedente era arrivato al capolinea. Nonostante i buoni propositi, poi tutto veniva fagocitato dalle contraddizioni interne. Con l’attuale esecutivo abbiamo subito iniziato con il piede giusto, come dimostra il Protocollo per il pubblico impiego. Ma per il futuro ci aspettiamo un maggior coinvolgimento, su tanti temi cruciali per il futuro del Paese, come ad esempio le pensioni. Se la compagine governativa non è affiatata, è arduo pensare a un patto sociale. Ci auguriamo che con la ripartenza e una ripresa generalizzata vengano meno anche le tensioni interne alla maggioranza. Ci serve una visione per i prossimi anni. Il Recovery Fund è un’occasione che in molti non si aspettavano, e dobbiamo sfruttarla al meglio con il coinvolgimento degli enti locali e delle parti sociali.
Eleonora Terrosi