Il mio maestro, Gino Giugni, grande giuslavorista, soleva dire che la contrattazione era un vero passepartout, apriva qualsiasi porta, consentiva di puntare in alto con buone speranze di riuscire. Per tanti anni è stato così, con la contrattazione sono stati colti risultati importanti, a volte esaltanti. La pazienza, la propensione al dialogo, l’ottimismo ci hanno accompagnato per lunghi momenti felici. Da un po’ di tempo sento però che qualcosa non funziona più, come se il meccanismo si fosse inceppato, ci fosse un po’ di ruggine, una desuetudine di qualche operatore. I risultati sono meno brillanti, più rari, le aree felici si sono rimpicciolite. Il quadro si fa nero.
Forse è solo un po’ di stanchezza, ma qualcosa sembra non funzionare più come dovrebbe. Le difficoltà a qualche tavolo di trattativa appaiono più ostiche del normale. Forse è un’impressione, ma persistente, e spaventa. Che i metalmeccanici siano arenati da sei mesi o più, che la trattativa per il rinnovo del loro contratto nazionale di lavoro sia bloccata può anche essere normale, si tratta di una vertenza molto difficile e la situazione economica e produttiva del settore è in cattive acque.
Ma lo stesso questo ci sembra un campanello di allarme che non dovremmo ignorare e nemmeno sottovalutare. Anche perché oggettivamente attorno non si vedono panorami felici, come ha sottolineato il Presidente Sergio Mattarella alla vigilia del Primo Maggio. La precarietà non arretra, semmai guadagna terreno. I salari arrancano, perdono terreno nei confronti di quelli di altri paesi. L’occupazione aumenta, ma si avvicina alla povertà anche chi lavora. Cresce soprattutto l’insicurezza, che è il male peggiore perché rende impotenti, impedisce di programmarsi la vita, di puntare a qualcosa di migliore. E si spegne la speranza, l’ottimismo, a catena anche la voglia di fare, di sperimentare.
Eravamo in crisi all’inizio di questi anni 20, la pandemia ci ha dato un brutto colpo, sostanzialmente non ci siamo ripresi. La condizione del lavoro peggiora rapidamente e non ci sembra onestamente che qualcuno tenti di fare qualcosa. Tentativi di reazione ci sono, è vero, qui e lì, ma isolati, fuori contesto, non in grado, purtroppo, di cogliere risultati di rilievo. I soggetti deputati a questo compito latitano.
Il governo, questo governo, non ci prova neppure. Ha pochi margini di manovra, ma non li sfrutta, non tenta nulla. Ha altre priorità, guarda altrove. La concertazione è sparita, non si vedono nemmeno forme di dialogo sociale, gli annunci di cambiamento lasciano il vuoto. Le aree che l’esecutivo vuole evidentemente proteggere sono altre. I partiti dell’opposizione sono divisi, tentano di prendere qualche iniziativa, fanno dei tentativi, ma l’impressione è che siano loro per primi a non crederci fino in fondo. Continuare a dire che la somma delle forze che si oppongono alla destra è superiore al 50% non porta a nessuna parte, perché saranno anche di più, ma non riescono a unirsi, a trovare, anche solo a cercare un programma comune sul quale costruire alleanze stabili, soprattutto durature.
Le parti sociali non consolano. I sindacati sono divisi anche loro e non fanno nulla per annullare le distanze. L’immagine del Primo Maggio con i tre segretari generali di Cgil, Cisl e Uil in tre piazze distanti tra loro, senza nessun vero collegamento ideale, è stata sconfortante. Erano tutti uniti nella battaglia contro gli incidenti sul lavoro, ma i cuori erano altrove, pericolosamente. Gli imprenditori non sembrano in grado di imprimere una svolta a questa linea. La decisione di Confindustria di tenere l’assemblea annuale non a Roma come negli ultimi 80 anni, ma a Bologna, guest star Giorgia Meloni, la dice lunga sugli obiettivi che la confederazione degli industriali si è data e sulle alleanze alle quali punta. Difficile anche dargli torto, perché il panorama non spinge all’ottimismo, fare programmi capaci di incidere su questa realtà appare impegno vuoto, inutile.
Il rischio che il paese corre è che queste insicurezze, queste insufficienze sociali e politiche si sommino e si rafforzino vicendevolmente. Perché sarebbe allora in pericolo la coesione sociale, la disgregazione potrebbe generare disastri che nessuno sarebbe in grado di gestire. Forse il panorama non è così fosco, forse il paese è ancora in grado di produrre una svolta, forse questo è solo lo sfogo di un momento di incertezza, importante però è non abbassare la guardia, essere vigili e accorti.
Massimo Mascini