Gli esperti lo sanno. La discussione sullo smart working, causato in parte dall’aumento dei contagi della variante Omicron, è finito al centro del dibattito mediatico, perdendo il significato reale della sua funzione. Il tema – che per sua natura non è divisivo – sta polarizzando i partiti e l’opinione pubblica, confusa sull’essenzialità o meno di uno strumento organizzativo di lavoro che non può essere giudicato sulla base di quanto sperimentato nel corso del lockdown di quasi due anni fa.
Peccato che sia sbagliata l’impostazione del ragionamento: non si è pro o contro lo smart working, ma si è al passo con i tempi dell’evoluzione dei modelli organizzativi di lavoro e dell’innovazione tecnologica, o si resta indietro.
Forse è il caso di dire, con onestà, che sul lavoro e sull’applicazione dei nuovi modelli organizzativi come Paese in questi due anni abbiamo perso una grande occasione. L’occasione di far evolvere il lavoro, e di mettere a sistema i vantaggi che il digitale apporta nella trasformazione del lavoro, anche oltre la gestione dell’emergenza.
Partiamo con una constatazione: utilizzereste il telefono fisso Rotary o l’ultimo smartphone? Certo, qualche nostalgico avrà entrambi, ma l’evoluzione delle condizioni di vita ci portano inevitabilmente ad approcciare nuove realtà. Tutto sta a capire quanto e quando siamo pronti a confrontarci con il nuovo.
Lo stesso si può affermare del lavoro. Abbiamo vissuto epoche in cui il modello fordista era condiviso, dove le imprese erano strutturate in moduli verticali di azione, tra facenti funzioni e controllori. Struttura che ha avuto successo nei sistemi produttivi di tanti Paesi. Ma oggi è davvero così? O forse abbiamo vissuto un processo di evoluzione tecnologica che ci ha permesso di avere coscienza che il presente è diventato il passato e che le nuove tecnologie e il digitale possono servire per migliorare le condizioni produttive. Per constatarlo, basterebbe osservare i settori produttivi ad alto valore tecnologico che da anni hanno adottato lo smart working.
Come la filiera TLC che, ben prima della pandemia, incentiva il lavoro agile grazie a investimenti permanenti e significativi in formazione, nuove competenze, nuovi modelli di leadership per consolidare una nuova cultura del lavoro. Se oggi le Telecomunicazioni vantano il 90% di adesioni al lavoro agile, mantenendo alta la produttività, è perché hanno investito sulla trasformazione del lavoro con una visione di medio-lungo periodo: nel 2021 il 100% del personale delle TLC è stato formato per una media circa 4/5 giornate pro capite e nel 2022 il 100% per una media di quasi 9 giornate; investimento che proseguirà fino al 2025 mediamente 4/5 giornate pro capite.
Questo per dire che non è sufficiente dotare le persone di strumenti tecnologici, ma serve una cultura del lavoro sia all’interno delle imprese e degli enti pubblici, sia all’esterno verso interlocutori che assecondano e incentivano l’evoluzione e il cambiamento sociale sempre più orizzontale nelle funzioni di gestione e di comunicazione.
Avremmo dovuto avviare una riflessione generale nel Paese – e non solo in alcune filiere – su come il digitale può migliorare il lavoro, la produttività, la qualità della vita delle persone, su come fornire in fretta alle persone le competenze necessarie per un nuovo mondo del lavoro di cui tutti sentiamo oramai il bisogno, ma che non abbiamo il coraggio di progettare e costruire in maniera strutturale. Continuiamo a rendere insostituibile la presenza, perché non abbiamo il coraggio rinnovare e trasformare nel profondo il lavoro, consapevoli che il digitale accresce flessibilità e autonomia. Ma per fare accadere ciò, dobbiamo uscire da una logica meramente emergenziale e attivare il circuito virtuoso tra: competenze, innovazione, investimenti, nuove professioni, generazione di valore. Oggi più che mai è fondamentale sviluppare la capacità di ascolto, di contaminazione tra Filiere, Settori e generazioni.
Non è detto che tutto ciò basti, ma è auspicabile che si arrivi alla definizione di strumenti e modelli di lavoro che rispondano alle necessità locali e soprattutto globali e semplificano il vivere quotidiano delle persone. Possiamo dire che in parte lo smart working risponde a questa funzione. Domani è già tardi. Il momento è ora.
Laura Di Raimondo
Direttore Asstel – Assotelecomunicazioni