Nonostante l’aura di rispetto che circonda gli eredi del celebre Kgb, i servizi segreti russi si sono distinti, negli ultimi anni, soprattutto per imprese, come l’avvelenamento di nemici e oppositori, quasi dilettantesche, più per goffaggine, si direbbe, che per arroganza. Ecco perché viene oggi da chiedersi: che rapporti di intelligence aveva sulla scrivania Putin, al momento di decidere l’invasione dell’Ucraina? Roba da incompetenti, faciloni o, forse, preoccupati soprattutto – come spesso avviene nei regimi autoritari – dire al destinatario finale, pur pratico, come ex collega, della materia, quel che vuol sentirsi dire.
Forse, l’intelligence non aveva puntato sullo scenario 1. Neanche la tv russa, infatti, è riuscita a mostrare, in questi giorni, scene convincenti di giubilo, rose, baci, abbracci all’arrivo delle truppe russe. E’ probabile, dunque, che neanche Putin si aspettasse un esito così trionfale.
E’ probabile, invece, che quello prospettato al leader del Cremlino fosse un secondo scenario: collasso del governo di Kiev, resa dei militari, popolazione rassegnata o indifferente. L’operazione non dura più di due-tre giorni, l’occupazione militare si prolunga per il tempo necessario a installare un governo-fantoccio e le truppe russe si ritirano, se non oltre confine, in qualche località discreta.
Neanche questo scenario, però, si sta materializzando e Putin se ne trova di fronte un altro, il peggiore, su cui, magari, i servizi avevano sorvolato: una guerra vera. Perché Mosca una guerra vera la vince, ma, ragionevolmente, non può farla. Il dittatore russo rischia, quindi, di trovarsi bloccato in un vicolo cieco. Tattico-militare, prima ancora che politico.
Per vincere, deve conquistare le città, soprattutto Kiev, una metropoli con tre milioni di abitanti. Conquistare una città che resiste prevede una ricetta semplice. Basta guardare su Internet le foto di Aleppo, Homs, anche Damasco, le testimonianze della guerra in Siria. Bisogna bombardare, stremare la popolazione alla fame, radere al suolo, ancora bombardare. Poi, si prende quello che resta con l’impegno di tenerlo ben saldo in mano.
Ma si può permettere Putin un’occupazione militare, a tempo indefinito, di un paese non remoto, ma dietro la porta, dove i cittadini russi hanno miriadi di parenti e amici, i quali adesso, però, sono carichi di rabbia e di rancore verso chi gli ha distrutto la casa, ucciso genitori, figli, anche il cane?
L’alternativa è una operazione chirurgica. Tentare di prendere le città, lasciando un’impronta più lieve possibile. Niente bombardamenti aerei, niente missili, niente cannoni. Anche i cannoncini degli elicotteri e dei tank ridotti al minimo. Una conquista a piedi, metro per metro, fucile in mano, focolaio di resistenza dopo focolaio di resistenza.
Ma, tatticamente, questo significa accettare un confronto militare uno a uno con gli ucraini, in cui i russi rinunciano agli ovvi vantaggi del superiore armamento. Anche qui, possono vincere, ma a che prezzo? E quanto tempo deve passare, prima di poter dichiarare vittoria? Quanta pazienza può avere l’unico amico rimasto, in un isolamento internazionale quasi universale, ovvero la Cina?
Lo scenario 3 è quello che si sta materializzando in questo momento. Quanto sia solido lo vedremo nelle prossime ore. Putin può cercare di scardinarlo, pigiando sull’acceleratore delle bombe e dei missili. Oppure tentando di limitare i danni con una ardita mossa del cavallo. Lo scenario 4 – che certo nessuno, una settimana fa, avrebbe osato prospettare a Putin – prevede di fermare l’offensiva e chiedere una conferenza internazionale per ridiscutere l’assetto geopolitico dell’Europa ai suoi confini. Una proposta che può dividere l’Occidente, ma che, paradossalmente, armi in pugno eppur sconfitto, lo vedrebbe con minor forza contrattuale di prima.
In tutte le ipotesi, comunque, i tempi sono serratissimi. Sapremo come andrà a finire entro una settimana.
Maurizio Ricci