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Home - Rubriche - Il guardiano del faro - Weimar, la popolana e il ruolo delle minoranze

Weimar, la popolana e il ruolo delle minoranze

di Marco Cianca
3 Settembre 2018
in Il guardiano del faro
Weimar, la popolana e il ruolo delle minoranze

Ha paura, l’anziana donna. Ha paura dell’irrazionalità al potere. Ha paura del risentimento e dell’invidia. Ha paura della stupidità e dell’arroganza che ci governano. Ha paura dell’odio sociale che ottenebra le menti e uccide le coscienze. Ha paura delle folle inferocite. Ha paura della paura.

E’ una popolana, come si sarebbe detto una volta, dalle fiere origini contadine, con una robusta cultura da autodidatta. E se le parlano di popolo e di populismo, non capisce bene cosa significhi. Pensa a masse indistinte, cementate dall’egoismo e fomentate da apprendisti stregoni.  Non naviga sui social e questo la rende immune dalla peste informatica. Le mani sono forti, abituate al lavoro della terra e alle faccende domestiche. Le ha viste di tutte i colori, dalla fine della guerra, ma sempre con l’ottimismo di un futuro migliore. E’ stata anche impegnata ma poi ha prevalso la convinzione che le cose avessero preso la piega giusta e che non ci fosse più bisogno di militanza e di sacrifici per la collettività. Ricorda che quando la figlia studiava, la andò a trovare all’università e si sentiva felice vedendo tante scritte e tanti manifesti inneggianti alla libertà e all’uguaglianza. Ora ha i brividi, osservando quel che accade intorno a lei, in una società pervasa dal rancore e dalla ricerca di un nemico da abbattere. Aria di pogrom, di caccia all’untore. E come Luigi Pintor affermava di non voler morire democristiano, lei confessa di non voler morire grillin-leghista. Siamo stati per troppo tempo inerti, rimprovera. Voglio tornare alla lotta, promette.

Questa immagine femminile, forse uscita da un vecchio documentario in bianco e nero, forse desiderata, forse sognata, è uno dei pochi segnali confortanti nella devastazione politica, culturale e morale che inquina il presente e rende fosco il futuro.  Il parlamentarismo vacilla, è diventato sinonimo d’incapacità decisionale, di corruzione, di privilegi. Il ringhio dell’òrda prevale su ogni tentativo di spiegazione. Persino il crollo del ponte Morandi, a Genova, è stata l’occasione per rimestare nel pentolone dell’indistinto borbottio. L’Europa è la strega cattiva, gli immigrati il grande male, i vincoli economici un’invenzione delle banche, della finanza internazionale e dei parassiti.  Guido Tabellini ha riproposto, in questi giorni, l’inquietante parallelo con l’ascesa del nazismo nella Germania di Weimar. Sfasciamo tutto, questo è il grido di battaglia. Tanto peggio, tanto meglio. Sì, c’è da aver paura.

Del Pd e della sua garrula insipienza, non vale nemmeno la pena di parlarne. La Cgil oscilla in modo ambiguo. Sono gli industriali ad invocare il ricorso alla piazza. Nel frattempo hanno manifestato in tanti, a Milano, contro l’abbraccio sovranista tra Matteo Salvini e Viktor Orban. Il primo ministro ungherese ama muri e frontiere chiuse ed ha in uggia ciclisti e vegetariani.  L’intolleranza al potere genera divieti. E allora tornano in mente Costa Gavras (proprio in questi giorni il regista ha dovuto smentire la notizia della propria morte diffusa da un macabro buontempone) e il suo film del 1969 sul colpo di Stato in Grecia.

 I colonnelli proibirono, tra l’altro: “ I capelli lunghi, le minigonne, Sofocle, Tolstoj, Mark Twain, Euripide, Aragon, Trotskij, gli scioperi, la libertà sindacale, Lurcat, Eschilo, Aristofane, Ionesco, Sartre, i Beatles, Albee, Pinter, scrivere che Socrate era omosessuale, l’ordine degli avvocati, la libertà di stampa, la sociologia, Beckett, Dostoevskij, Checov, Gorky, la musica popolare, Theodorakis, la matematica moderna, i movimenti per la pace, la lettera Z, che vuole dire, in greco antico, è vivo”. L’elenco può essere allungato e rinfrescato. Non c’è più bisogno di golpe militari, basta la ferrea legge della maggioranza. Democrazia e dittatura, la democratura. Tra un mi piace e l’altro, in rete mieterebbe consensi persino la proposta di un ritorno della pena di morte. Quante volte l’abbiamo sentito dire al bar? E ora è il bar a comandare.

Carla Gobetti, a proposito degli esuli in Francia, ai tempi del Fascismo, ha scritto: “Una minoranza che si è fatta strada, fra luci ed ombre, errori ed iniquità, ma non ha mai abdicato, nella situazione di forte emarginazione nella quale si è venuta a trovare, ad alcuni irrinunciabili principi morali, smarriti dall’immensa maggioranza del popolo italiano”. Come ai tempi del Risorgimento, del Ventennio e della Resistenza, la fiaccola è nelle mani di una minoranza. E la vecchia popolana lo sa. 

Marco Cianca

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