Dopo le scoppole prese in Calabria e nelle Marche e lo stillicidio di sondaggi che ormai da anni certificano l’alta popolarità inossidabile di Giorgia Meloni, dalle vittorie in Campania e in Puglia è arrivato un segnale incoraggiante per Elly Schlein. Lì dove la premier aveva messo la faccia, con comizi e balletti sul palco, arrivando a promettere il condono edilizio per tentare di acchiappare qualche voto in più, il centrodestra è uscito con le ossa rotte. Tant’è, che la segretaria del Pd è corsa a celebrare: “Uniti non solo si vince, si stravince. Il riscatto parte da qui”.
Eppure, la partita di Elly si annuncia tutt’altro che facile. Battere Meloni, che tra l’altro si appresta a modificare la legge elettorale per provare a garantirsi la vittoria alle elezioni politiche in programma nella primavera del 2027, sarà addirittura più difficile di quanto fu per Romano Prodi sconfiggere Silvio Berlusconi nel 1996 e nel 2006.
Per prima cosa, rispetto al Cavaliere, la leader di Fratelli d’Italia ha dalla sua una coalizione compatta. Non deve fare i conti, al contrario di Silvio buonanima, con gente come Umberto Bossi, Gianfranco Fini o Pier Ferdinando Casini, che indebolì o contrastò fino a farlo cadere, il padre padrone di Forza Italia. Matteo Salvini e Antonio Tajani, a parte qualche bizza, sono alleati fedeli e disciplinati che non mettono in discussione la premiership di Meloni. E poi, sempre al contrario di Berlusconi, la presidente del Consiglio non ha sul groppone un ciclopico conflitto d’interessi. E non è demonizzata, con girotondi e accese tifoserie, come lo fu il proprietario di Mediaset.
Non solo. Può suonare strano, se non addirittura paradossale, ma Meloni gode di un sostegno mediatico ben più vasto di quello di cui godette il Cavaliere. Certo, il leader forzista era proprietario di tre televisioni e mise le mani anche su Rai 1. Ma a viale Mazzini e a Saxa Rubra il dissenso non fu schiacciato come accade ora sotto Tele-Meloni. Il Tg3 era una voce di sinistra e nella tv pubblica avevano programmi Michele Santoro ed Enzo Biagi. Insomma, in televisione non veniva propagandato, come avviene adesso, solo e soltanto il pensiero unico meloniano. In più, dalla sua Berlusconi aveva solo il Giornale (di famiglia). Tutti gli altri quotidiani, compreso il Corriere della Sera, erano schierati all’opposizione. Ora, invece, contro Meloni ci sono solo i quotidiani del gruppo Gedi (Repubblica e Stampa) e il Fatto quotidiano, oltre a piccole testate come Domani, Manifesto e Unità.
Da non sottovalutare, per Schlein, anche un altro aspetto. Meloni, al contrario di Berlusconi, è molto meno divisiva. Non ha contro vaste schiere di odiatori come accadeva al Cavaliere. E, sempre a confronto del fondatore di Forza Italia, non si ritrova come nemico l’establishment. La statista della Garbatella è ben accetta dal “partito romano”, cioè da quel coagulo di interessi, poteri, corporazioni, cordate e amicizie che legano apparati dello Stato, burocrazia, professioni. Berlusconi, il bauscia con residenza e villone ad Arcore, il riccone, da quel mondo era visto come un extraterrestre, un usurpatore. E non fu mai digerito, tant’è che quel mondo romano benedì e sostenne i vari governi istituzionali che ne presero il posto, quando il Cavaliere cadde in disgrazia.
C’è infine il nodo della compattezza della coalizione che dovrebbe sostenere la Schlein nella sfida contro Meloni nel 2027. Si diceva, la premier ha dalla sua un’alleanza compatta che, tra alti e bassi, va avanti dal 1994. Oltre trent’anni. Che non sono pochi. Quello che viene chiamato Campo largo, invece, è ancora un’incognita. Giuseppe Conte a volte si dipinge come un alleato convinto e fedele, altre volte terremota l’alleanza con sortite che fanno venire un sospetto sempre più ricorrente: i 5Stelle stanno a sinistra per convenienza e non per convinzione. Sono numerosi, infatti, i punti di contatto tra Conte e Salvini. A partire dal “no” al sostegno all’Ucraina, le simpatie per Vladimir Putin, l’euroscetticismo.
E che dire del Centro? Senza una forte gamba moderata e riformista, Schlein non riuscirà a battere Meloni. E chi sta costruendo questa gamba, come Matteo Renzi, quando pensa al voto del ’27, progetta le primarie di coalizione e candida la sindaca di Genova Silvia Salis. Un modo neppure tanto cortese per far sapere a Elly di non ritenerla idonea a sfidare la leader di Fratelli d’Italia. Altra grana. Altro inciampo. Altra ragione che fotografa le difficoltà della segretaria dem, nonostante le convincenti vittorie in Puglia e in Campania, a porsi come la sfidante della premier. Il punto di svolta si avrà a inizio marzo: se il fronte del “no”, in occasione del referendum confermativo, dovesse affossare la riforma costituzionale con la separazione delle carriere dei magistrati, per Schlein la partita potrebbe essere più semplice. A questo punto si tratta di aspettare.
Alberto Gentili
























