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Home - Inchieste e Dibattiti - Call center, inferno o paradiso? Il caso Vodafone - Buone relazioni industriali e motivazione, cosi’ il call center diventa “palestra’’

Buone relazioni industriali e motivazione, cosi’ il call center diventa “palestra’’

20 Maggio 2010
in Call center, inferno o paradiso? Il caso Vodafone

Almaviva Contact  conta 7 sedi operative in 5 città e 4 regioni, 4.200 posti operatore, 8.000 dipendenti; l’87% del business è inbound, il resto tra outbound e attività di back office. Tra i primi 10 clienti ci sono Wind, Vodafone, Sky, Tim ed Alitalia, il solo comparto Telco cura il 70% dei volumi gestiti. Un gigante del settore, dunque, che recentemente è stato riorganizzato completamente.

Un processo iniziato circa due anni fa, quando ci siamo resi conto che all’interno della Divisione CRM si presentava di fatto un dilemma. Da un lato, andava offerta una risposta organica e sistematica ai bisogni completamente nuovi di un’azienda che stava rapidamente cambiando natura. Le circa 5.000 stabilizzazioni di lavoratori portavano l’ organico a 8.000 persone, da sostenere, indirizzare e motivare in modo nuovo. Dall’altro, si imponeva la necessità che questa risposta fosse progettata all’interno di un piano di business e di budget particolarmente stringente. Affrontare le due dimensioni del problema non era semplice, anche solo su un piano cognitivo. Poiché in un’azienda complessa e human intensive il “rilancio motivazionale” richiede risorse e investimenti importanti. Ci è stato chiaro da subito che una simile complessità non poteva che essere affrontata in un quadro complessivo di “change”. Un percorso deciso e di lungo respiro, basato su due principali componenti: le relazioni industriali e una rigorosa ristrutturazione manageriale e organizzativa.

In primo luogo era necessario dare vita a un sistema di relazioni industriali più coerente con la nuova natura aziendale, dove il dialogo, attraverso un continuo e sistematico confronto, affrontasse i nodi cruciali e gli interventi strutturali inderogabili nel CRM in outsourcing. In altre parole, in un business in cui la gestione del tempo  delle telefonate è cruciale, qualsiasi situazione di conflitto diventa letale per il business. La ricerca della pace sociale è un fine ineludibile. Occorreva ridefinire il rapporto con i dipendenti in una logica fiduciaria e di lungo periodo anche attraverso relazioni sindacali ribilanciate e rilanciate.
Questa determinazione, che ha orientato le azioni del confronto con il sindacato, ha fatto recuperare spazi di condivisione su tante dimensioni rilevanti.

Altrettanto decisivo è stato un netto reshuffling manageriale, effettuato ricorrendo alla valorizzazione delle risorse interne, riaggregando opportunamente competenze ed esperienze manageriali presenti nel gruppo. In parallelo, abbiamo riorganizzato i siti operativi accorciando la catena del comando, che si presentava del tutto inadeguata ad avvicinare il governo delle persone al vertice dei vari centri.
Abbiamo introdotto una nuova figura, il business manager, per garantire un maggior controllo end-to-end delle singole commesse. In questa ristrutturazione, è stata creata una dinamica finalmente virtuosa delle due responsabilità manageriali del call center manager e dello human resource manager. In passato, lo sbilanciamento della dialettica era evidente, e tale da privilegiare il ruolo della responsabilità operativa rispetto a quella di HR. Al responsabile del personale del Centro, infatti, veniva ritagliato un ruolo residuale a garanzia dei soli adempimenti normativi o poco più. Un fenomeno comprensibile in una realtà ante stabilizzazione, ma del tutto inefficace nel nostro progetto.

Siamo intervenuti anche sul modello gestionale. La sistematica presenza del vertice nei vari siti operativi ha consentito il necessario allineamento delle figure chiave del processo di cambiamento verso le sfide cogenti, in una logica di prospettiva che mette al bando ogni deriva autarchica.
Obiettivo: coniugare il “glocal” – ogni sito sul territorio è una realtà a sé sul piano antropologico, culturale, professionale e di business – con la necessità di ridefinire elementi di trasversalità e omogeneizzazione di linguaggi e processi nel rispetto delle peculiarità locali.

Abbiamo avviato una campagna di colloqui, sia per favorire la coesione dei gruppi che coordinano i centri sia per recuperare quell’attenzione individuale importante per chi è chiamato a operare con livelli di tensione rilevanti. Dobbiamo sempre tenere presente che le nostre strutture operative governano qualcosa come 110-115 milioni di transazioni all’anno. Per transazioni intendo i contatti portati a buon fine. Si può capire come un numero di contatti simile, pur raggiunto da un buon numero di persone, ci racconti di una pressione quotidiana davvero sfiancante. Il tutto è stato gestito in un’ottica integrata. La nostra strategia prevede meccanismi di inclusione, per coinvolgere i sindacati nella gestione, in piena trasparenza e lealtà. Non a caso il 2008 non ha registrato un solo giorno di sciopero contro l’azienda, fatta eccezione per qualche evento episodico all’inizio dell’anno.

In questo nuovo contesto, ha assunto una posizione determinante la figura del team leader. E alle persone che ricoprono questo ruolo, pur in assenza di grandi margini di investimento, abbiamo dedicato un’attenzione tutta particolare. Dalla loro qualità personale deriva la qualità del lavoro svolto nei Centri. L’importanza di questi ruoli intermedi è comune a tutti i processi industriali, ma nel nostro mondo i team leader sono davvero la cerniera insostituibile fra il momento strategico e la declinazione operativa, sono loro che mediano ogni giorno il rapporto fra azienda e dipendente. In passato, la crescita delle figure di team leader in azienda si potrebbe definire alluvionale. In una progressiva stratificazione regolata solo dalla bisogna, senza alcun percorso strutturato: cooptazioni successive senza rispondenza a esigenze specifiche, filiazioni di chi vive alla giornata … Ovviamente era una modalità coerente con il contesto industriale e operativo caratterizzato dal lavoro a progetto.
Il processo di change ha coinvolto ben 270 team leader attualmente in organico, in un progetto di sviluppo delle competenze core del ruolo. In prima battuta, ci ha consentito di mappare e identificare le professionalità e le esperienze distintive presenti in Azienda rispetto a un profilo atteso. L’obiettivo è quello di sostenere un ruolo organizzativo particolarmente critico ma decisivo nel consolidare motivazione e senso di appartenenza nei nostri lavoratori. Il destino lavorativo e la qualità della vita personale di ogni lavoratore è troppo fortemente connessa alla “sensibilità” del proprio capo. E nei call center il capo è il team leader. Ciascun team leader sta partecipando a un percorso formativo mirato di due giornate residenziali, che abbiamo progettato all’interno e che sta conducendo una società esterna accreditata nel mondo del customer care.  Ma nel sistema ci sono reali opportunita’ di crescita anche per gli operatori. In un contesto sociale che oggi generalmente non favorisce questo tipo di esperienza, il call center diviene il luogo dello “stare insieme”, un “open space” anche della mente dove si condividono piani di vita, esperienze ed aspirazioni. Il call center è anche il luogo della solidarietà organizzativa, perché consente di sperimentare, come pochi altri ambienti, la dimensione sociale del proprio lavoro.

Va detto che Almaviva ha la dimensione e la cultura “giusta” per realizzare la sua crescita anche per linee interne. Nell’ambito del piano di assunzioni del gruppo, che sta affiancando giovani talenti dotati di potenziale e motivati al patrimonio di competenze e professionalità presenti nelle linee, resta centrale il bacino rappresentato dai call center di tutta Italia. Ma il riscatto collettivo è tutt’altra cosa.

Io sono convinto – e nella mia storia professionale ci sono tanti episodi che lo dimostrano – che il call center  presenti alcune caratteristiche che ne fanno un luogo ideale per chi si affaccia al mondo del lavoro. Una eccellente palestra di formazione al lavoro. Il call center presenta un’organizzazione “uno a molti”, un modello piramidale opposto e quasi anacronistico rispetto a quello reticolare che si è progressivamente consolidato nelle realtà aziendali contemporanee. Se questo modello, con le sue rigidità, può alla lunga frustrare la realizzazione di se stessi, è altrettanto vero che è una palestra straordinaria nei primi anni di lavoro, perché fornisce una struttura di riferimento certa e solida che insegna a stare dentro un’organizzazione complessa, come pochi altri luoghi. Mi piace dire che il call center, in quest’ottica, è il luogo della cittadinanza organizzativa.

 

Pier Luigi Simbula, direttore risorse umane di Almaviva Contact

Tags: Tlc
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