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Home - Approfondimenti - La nota - Bonomi rilancia: un patto sociale basato sul taglio del cuneo

Bonomi rilancia: un patto sociale basato sul taglio del cuneo

di Nunzia Penelope
12 Aprile 2022
in La nota
carlo bonomi

In audizione alla Bilancio il presidente di Confindustria dice no all’aumento del costo del lavoro, e offre la sua soluzione per i salari. Costo per lo Stato: 16-18 miliardi. Ma no anche allo scostamento di bilancio: “le risorse ci sono”.

 

Un nuovo- vecchio patto sociale, che consenta di difendere  le buste paga senza innescare una spirale salari- inflazione. Nuovo, perché sollecitato dalle contingenze attuali, a partire dalla crisi energetica che grava sulle imprese manifatturiere in misura tale che entro giugno si rischia che una su due sia costretta a fermare, o ridurre, la produzione. Vecchio, perché è da tempo – per l’esattezza da settembre scorso – che il presidente di Confindustria insiste sulla necessita di una intesa ad ampio raggio tra imprese, sindacati e governo. Concetto che Carlo Bonomi ha ripetuto questa mattina, in audizione presso le commissioni Bilancio di Camera e Senato riunite per  ascoltare le valutazioni delle parti sociali sul Def. “Non si può chiedere alle imprese di aumentare il costo del lavoro”, ha detto Bonomi; imprese che in questo momento, oltretutto, sono sotto botta a causa dei prezzi dell’energia, le cui conseguenze sul sistema manifatturiero sono micidiali.

“Da una nostra indagine svolta su un campione di imprese associate emerge che oltre il 16% delle imprese ha già ridotto la produzione. E oltre 1/3 indica di poter continuare soltanto per 3 mesi senza sostanziali sospensioni. Quindi, a giugno, quasi 1 impresa su 2 avrà ridotto la produzione. Riteniamo quindi sia indispensabile partire dalla sterilizzazione degli aumenti dei prezzi di gas e petrolio per imprese e famiglie, da inquadrare in una risposta di sistema, un patto a tre con Governo e sindacati. Perché se non si interviene sui rincari, le imprese saranno costrette a fermarsi, e questo comporterà inevitabili costi sociali. Il momento richiede responsabilità e spirito di coesione. Questo dobbiamo averlo presente tutti”.

Ma se lo scenario economico attuale è dominato dalle estreme tensioni e incertezze generate dall`invasione russa in Ucraina, Bonomi ricorda che i primi segnali di difficoltà risalgono a novembre 2021: “è allora che si è interrotto il percorso della crescita”. Il perdurare della pandemia, le pressioni al rialzo sui prezzi di varie commodity, la difficoltà di reperimento di materie prime e materiali, i colli di bottiglia in alcune catene di fornitura globali, sono state altrettante palle al piede, dimostrate dai dati sulla produzione industriale: in negativo a gennaio, con un piccolo rimbalzo a febbraio, e quindi pronta al crollo di marzo, a causa dell’ulteriore impennata dell’energia legata alla crisi ucraina.

E non è finita. I rincari di petrolio e gas, secondo il leader di Confindustria “stanno facendo crescere i costi delle imprese con un aumento della bolletta energetica italiana che, ai prezzi attuali, sarebbe di 5,7 miliardi su base mensile, 68 miliardi su base annua. Le imprese hanno finora in gran parte assorbito nei propri margini, fino ad annullarli in alcuni casi, questi aumenti dei costi”. Ma  non può durare a lungo, dunque occorrono interventi decisi, che al momento però non si vedono: Bonomi ricorda che la Germania sta stanziando 100 miliardi di euro “per sostenere le imprese attraverso linee di credito emergenziali, noi con il Def stanziamo 5 miliardi”. Anche una eventuale soluzione a breve del conflitto avrebbe l`effetto di attenuare gli impatti ma non di azzerarli: “Ed è per questo che continuiamo a ritenere insufficiente l`approccio di brevissimo periodo sinora seguito dal Governo. Serve una risposta più robusta, di sistema e soprattutto duratura”.

Il quadro macroeconomico del Def, che delinea una crescita tendenziale del Pil al 2,9% nel 2022 appare, a Bonomi, “ottimistico: sembra non cogliere le straordinarie difficoltà dell`attuale situazione”. Il Centro Studi di Confindustria stima  infatti per quest`anno un incremento del Pil del +1,9% “ma la variazione positiva – ha spiegato Bonomi – è interamente dovuta a quella già acquisita a fine 2021, pari a +2,3%, grazie all`ottimo rimbalzo dell`anno scorso. Qualsivoglia variazione del Pil inferiore al 2,3% annuo significa che quest`anno saremo in recessione”.

Il Csc, “sulla base di ipotesi che non sono da considerare pessimistiche” (ossia la fine della guerra e la riduzione dei suoi principali effetti a giugno, l`assenza di un razionamento dell`energia elettrica per il settore produttivo, il crollo dei contagi e dei suoi effetti e l`attuazione del Pnrr) stima che nei primi due trimestri l`economia italiana entri in una recessione tecnica, -0,2% e -0,5% rispettivamente, che non sarà compensata dalla lieve ripresa attesa nella seconda metà dell`anno. E, a marzo, un`ulteriore caduta della produzione industriale pari al -1,5%.

E’ in  questo quadro fosco che piombano i prossimi rinnovi dei contratti. Spazi per aumenti che inneschino la solita spirale con l’inflazione, avverte Bonomi, non ce ne sono. E tuttavia è chiaro che una risposta ai salari va data. Per cui, ecco la soluzione del taglio al cuneo fiscale, da dividere “in due terzi a favore dei lavoratori e un terzo a favore delle imprese”. Il costo per le casse pubbliche, secondo i calcoli di Confindustria, “oscilla tra i 16 e i 18 miliardi”; ma non occorre uno scostamento di bilancio (al quale Bonomi si dichiara contrario, con i tassi in crescita non è sano, afferma, contrarre nuovo debito): “basterebbe il maggior gettito, fiscale e contributivo, previsto dal governo per quest’anno, che ammonta complessivamente a 38 miliardi”.

Per Bonomi questa è l’unica soluzione che consenta di mettere ”soldi in tasca” ai lavoratori senza aggravare la situazione delle imprese e dell’inflazione. La revisione dell’Ipca non sarebbe utile, spiega ancora il presidente di Confindustria perché ”anche l’eventuale non calcolo dell’energia importata pesa solo per l’ 1,6%”. Così come non sarebbe risolutiva la detassazione degli aumenti definiti dai contratti: ”non possiamo certo pensare di fare contratti importanti, quindi la detassazione non avrebbe effetti importanti sulle buste paga”. Quanto ai sindacati, conclude, “spero capiscano che occorre responsabilità da parte di tutti”.

Nunzia Penelope

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