Dice un noto politologo che il vero simbolo della democrazia non è sugli scranni dei parlamenti e, tanto meno, nelle rotative della stampa. Il nocciolo fondante della democrazia è sui muri dei tribunali, sulla parete dove c’è scritto “la legge è uguale per tutti”. E, dunque, chi la legge interpreta e applica è il custode di quella democrazia: un terzo potere, distinto da governo e parlamento, ma – insisteva Montesquieu – separato e pari. Ecco perché, in tutto il mondo, le forze insofferenti alla democrazia (in questo periodo storico, la destra, da Orbàn a Erdogan a Trump) si sforzano di scavalcare questa separazione, che impedisce di piegare la legge a loro piacimento, subordinando la magistratura al loro potere.
La battaglia sulla separazione delle carriere nella magistratura (con ciò che la riforma comporta in termini di autogoverno ecc.) è la rappresentazione plastica dell’ambizione della destra italiana di unirsi a questa vocazione della destra mondiale per subordinare un potere impervio ai sommovimenti contingenti dell’opinione pubblica. E il motivo lo abbiamo sotto gli occhi ogni giorno. Non l’opposizione, soggetta alla dittatura della maggioranza, ma la magistratura e la difesa della legge sono stati gli scogli contro i quali si è infranta l’offensiva politica della destra: dalle sterzate sull’immigrazione alla mitica narrazione del Ponte sullo Stretto. E ora, le banche: l’inchiesta della magistratura sta smascherando il recente risiko bancario (Unicredit – Bpm – Mps – Mediobanca – Generali) come uno spregiudicato assalto politico alle leve della finanza nazionale.
Che nelle vicende di questi mesi siano stati effettivamente commessi reati è – per quanto riguarda il giudizio politico – tutto sommato irrilevante. Quello che è emerso è già sufficiente per confermare alla luce dei fatti l’ipotesi di una consapevole strategia di assalto, conquista e subordinazione di snodi cruciali dei flussi di risparmio e di investimento del paese. Una strategia schietta, brutale, in qualche modo anche rozza, come sono rozze le mosse di chi punta ad assicurarsi, come che sia, tutta la posta. Alla luce di quanto emerge nel caso Mediobanca, si capisce, ad esempio, al di là di ogni dubbio, la forzatura dei principi del “golden power” messa in campo per impedire la scalata di Unicredit a Banco Bpm. Qui si trattava di impedire ad un attore troppo grosso per essere subordinato e troppo indipendente, per respiro internazionale, di consolidarsi e rafforzarsi nel paese. Oltre a mandare un messaggio per le manovre future, visto che la stessa Unicredit è anche un importante azionista di Generali.
Nella vicenda Unicredit, la magistratura non c’entra. Ma anche qui, è un potere terzo – la Commissione di Bruxelles – a svelare l’uso spregiudicato degli strumenti a disposizione per piegare la situazione a proprio vantaggio. È solo il guanto di velluto che Ursula von der Leyen pensa di dover usare per non creare difficoltà ad una Giorgia Meloni che le serve per gli equilibri a Bruxelles ad aver messo la sordina agli interventi comunitari. Ma ci sono pochi dubbi sul giudizio severo che la Commissione darà sul golden power e la vicenda Unicredit.
Il mancato matrimonio Unicredit – Bpm – e le sue ragioni – vanno viste, dunque, insieme alla scalata a Mediobanca per capire la campagna a 360 gradi della destra di governo per affermare la propria egemonia sui grandi canali finanziari. Palazzo Chigi e Via XX Settembre si sono sbarazzati subito delle buone maniere e l’etichetta dei duelli a colpi di fioretto dei tempi di Cuccia e del confronto finanza laica – finanza nera. Reati o no, il governo ha fatto tutto quello che poteva (e, probabilmente, anche quello che non poteva) per rovesciare gli assetti di Mediobanca e Generali, cioè due delle maggiori istituzioni finanziarie nazionali. Per consegnarle in mani (Caltagirone e Delfin) amiche e certamente grate, oltre che sicuramente compiacenti.
È facile trovare una analogia con la contemporanea campagna della destra per ridisegnare la mappa (istituzionale) della cultura italiana. Cinema, teatri, musei, orchestre, fondazioni. E, naturalmente, quel motore centrale di informazione e cultura (buona e cattiva che sia) che è la Rai, di cui, oggi, la destra controlla ogni ramificazione. Con risultati, peraltro, ristretti e deludenti. Se la Rai meloniana è lo specchio di ciò che aspetta la nuova Mediobanca, la destra ha da prendersela solo con sé stessa.
Maurizio Ricci

























