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Home - Primo Piano - Le relazioni industriali alla sfida delle grandi transizioni

Le relazioni industriali alla sfida delle grandi transizioni

20 Febbraio 2023
in Seminari
Treu, l’ “autoriforma” era inopportuna, ora ci ripenseremo insieme alle  parti sociali

Il Diario del lavoro ha organizzato un seminario di studi al Cnel per analizzare il problema delle transizioni che stanno impegnando fortemente il nostro paese. Quella ecologica e ambientale per prima, la più profondo e incidente per le ricadute nel campo energetico, ma anche quella digitale, demografica e, più in generale, quella economica, che sta mettendo in discussione parametri e assetti che fino a poco tempo fa sembravano stabili. Le relazioni industriali sono fortemente impegnate in questa revisione, e tal fine è stata stimolata una discussione tra un accreditato gruppo di esperti.

In apertura dei lavori Tiziano Treu, presidente del Cnel, ha precisato come la parola transizioni sia un eufemismo per indicare un periodo di grandi stravolgimenti dal percorso e gli esiti incerti. Oltre a quella tecnologica ed energetica non bisogna dimenticare quella demografica. La dead line sulla quale si muove ora il nostro paese è l’attuazione di tutto il Pnrr. Il nuovo decreto sulla governance, ritiene Treu, lascia più di qualche interrogativo perché accentra molto, dal punto di vista decisionale, quando, invece, siamo ora in una fase che richiede il coinvolgimento di molte realtà. All’interno del Piano nazionale di ripresa e resilienza si snodano tutte queste transizioni, che richiedono, per la messa a terra delle risorse e dei progetti, non solo un forte protagonismo della pubblica amministrazione, che ha visto negli ultimi anni uno svuotamento delle professionalità, senza una corposa rigenerazione, ma anche da parte delle imprese. Oggi, prosegue Treu, il concetto di responsabilità sociale dell’azienda assume una valenza molto meno evanescente rispetto al passato, perché le direttive europee e internazionali richiedono azioni concrete da parte delle imprese per dimostrare il loro rispetto dell’ambiente e anche dei diritti delle persone. All’interno di questo scenario, bisogna chiedersi quale sia il grado di protagonismo delle relazioni industriali.

Ernesto Martinelli, Head of Global Industrial Relations, Welfare & Wellbeing in Enel, parte dalla premessa che la transizione è trasversale, coinvolge aziende e realtà di diversi settori. Le relazioni industriali non devono essere relegate unicamente alla dimensione contrattuale, ma devono accompagnare e gestire queste modificazioni. Come si preparano i lavoratori all’avvento dell’intelligenza artificiale e del metaverso? Un altro punto è come le relazioni industriali devono fare i conti con la transizione demografica, offrendo rinnovati strumenti di conciliazione vita-lavoro, per evitare l’inverno delle nascite? Per questo serve un nuovo corso delle relazioni industriali, trasversale e non più settoriale, che metta al centro le persone. Enel, assieme ai sindacati, ha dato vita allo Statuto della persona, con lo scopo di salvaguardare il benessere degli individui, valorizzare le competenze di ognuno.

Per Bruno Serra¸ responsabile delle relazioni industriali in Eni, la prima transizione che sta vivendo la sua realtà è quella energetica, con l’obiettivo nel 2050 di essere del tutto indipendenti dal carbone. Per Eni, dice Serra, la transizione deve declinarsi con il concetto di giusta transizione, che metta al centro le persone non solo a parole ma anche con i fatti. In piena pandemia, l’azienda con i sindacati hanno messo nero su bianco un nuovo modello di relazioni industriali dal nome “Insieme”. L’intento è stato quello di realizzare un sistema partecipativo, che in modo preventivo affrontasse i problemi per trovare soluzioni condivise. Uno dei primi aspetti a cui guarda questo protocollo è il ricambio generazionale. La soluzione, continua Serra, è stata trovata nel contratto di espansione, perché consente l’ingresso di nuove competenze e mindset, favorisce i processi di upskilling e reskilling del personale presente, e governa i prepensionamenti, che sono su base volontaria. Nel protocollo “Insieme” sono stati anche rinnovati tutti gli strumenti per il worklife balance. Ancora, lo scorso dicembre, Eni con i sindacati hanno siglato un nuovo protocollo, “Noi”, incentrato sul benessere delle persone, aiutando il dipendente a cercare casa, favorendo la natalità, garantendo l’iscrizione gratuita al fondo previdenziale per i più giovani.

Amedeo Testa, segretario generale della Flaei-Cisl, afferma che siamo dentro a una rivoluzione molto forte e veloce, economica, energetica e culturale, più che a una vera transizione. Anche il comparto elettrico sta vivendo questa rivoluzione, che si snoda a più livelli, con l’ausilio di un documento molto importante che è lo Statuto della persona. In questo periodo di grandi trasformazioni, le relazioni industriali devono essere in grado di governarle, mettendo al centro la persona nella sua totalità. Il documento rappresenta l’evoluzione ideale dello Statuto dei lavoratori, perché si passa dalle tutele di un soggetto collettivo alla dimensione individuale del singolo lavoratore. La persona è tale nella sua totalità anche quando lavora. In questa rinnovata cornice la novità più significativa che aziende e sindacati devono realizzare, spiega Testa, è la partecipazione dei lavoratori, che è scritta nella Costituzione. Per farlo serve un cambio di paradigma nei modelli organizzativi.

Giovanna Bellezza, responsabile gestione del personale, costo del lavoro e pianificazione organici di Tim, spiega come nell’era della digitalizzazione e della trasformazione digitale, il collo di bottiglia nell’applicare le nuove tecnologie sia dato dalle competenze, dalle esigenze delle persone e dai modelli di lavoro. Servono, inoltre, anche le infrastrutture su dove far correre i dati, e su questo c’è uno squilibrio molto forte nel paese, con le aree metropolitane più servite rispetto ai piccoli comuni. Questo richiede una rinnovata politica industriale. Altro tema è quello dell’occupazione e, nello specifico, nel mismatch occupazionale e nella trasformazione di lavori che sono destinati a scomparire senza un’opera di reskilling e upskilling. Tutto questo rallenta la transizione digitale. Gli aspetti positivi, sostiene Bellezza, è che l’innovazione digitale sta dando un grande impulso alla ricerca e allo sviluppo e a nuovi modelli organizzativi.

Vincenzo Retus, responsabile delle relazioni di Cnh Industrial e Iveco Group, ha sottolineato l’importanza di relazioni industriali partecipative, capaci di governare le trasformazioni e ridurre il conflitto sterile. Il problema, sostiene Retus, è la mancanza nel dibattito pubblico di relazioni industriali di alto livello, dove interloquiscono governo e parti sociali. Serve, in aggiunta, una nuova cultura del lavoro, che deve essere tagliata su misura per ogni azienda. Per Cristina Cofacci, sempre di Cnh Industrial, non bisogna, tuttavia, dimenticare come molti lavori si muovono ancora su una prospettiva “analogica” e non “digitale”, e non sono remotizzabili, soprattutto nell’industria. Le parti sociali dovrebbero avere anche una parte formativa nei confronti dell’opinione pubblica su alcuni temi complessi, e che non possono essere derubricati con slogan semplicistici.

Filippo Contino, responsabile People Management & Compensation nelle Ferrovie dello Stato, sostiene che il processo di trasformazione tecnologica ed energetica è in atto da tempo. Le relazioni industriali devono guardare a questi cambiamenti con occhi nuovi. Le relazioni industriali, dice Contino, si devono sviluppare giorno dopo giorno, mettendo al centro le persone. Oggi la parola d’ordine è impiegabilità, grazie alla formazione e all’aggiornamento delle competenze. Le relazioni industriali devono essere frutto di scelte e responsabilità condivise tra azienda e sindacati, con l’obiettivo di anticipare i problemi e salvaguardare il benessere delle persone.

Per Emilio Miceli, segretario confederale della Cgil, l’analisi dell’intero sistema paese restituisce una fotografia non molto positiva, dove il sistema di relazioni industriali e contrattuale è in crisi. È molto probabile che nei prossimi anni ci sia, al livello globale, una polarizzazione tra energie rinnovabili e fossili. In questa divaricazione l’Italia rischia. Cosi come sembra che si vada verso una nuova stagione di protezionismo, e questo potrebbe determinare un impoverimento, un’involuzione del nostro paese. Occorre, inoltre, un ammodernamento del modello contrattuale, per coniugare la dimensione individuale con quella collettiva del lavoro. Per questo occorre rivedere sia il salario sia la gestione dell’orario. Infine la formazione, affinché possa essere efficace e inserirsi realmente nelle dinamiche dell’azienda, deve ritornare a essere oggetto di contrattazione tra imprese e sindacati.

Luigi Caronni, responsabile delle relazioni industriali di A2A, parte dalla premessa che le relazioni industriali, nell’epoca delle grandi transizioni, posso avere un’azione di indirizzo. Nel concreto la relazioni industriale devono investire nelle persone, nelle loro competenze e nella formazione continua, attraverso un rinnovato protagonismo della bilateralità. Altro punto cardine è quello della partecipazione. Ma, sostiene Caronni, oltre alla transizione tecnologica e digitale, c’è un’altra transizione che ha un impatto altrettanto importante sulle aziende, ossia quella demografica. È la prima volta che dentro le organizzazioni convivo quattro generazioni diverse, e questo impone la necessità di gestire questo scambio, anche nelle competenze. Altro aspetto, sul quale la contrattazione sta ponendo un crescente impegno, è quello della conciliazione tra vita privata e lavoro, sia nella genitorialità sia per i cosiddetti caregiver.

Per Mario Cardoni, direttore generale di Federmanager, i radicali e progressivi cambiamenti che le transizioni si portano dietro ci impongono una profonda revisione del modello e dell’approccio che la relazioni industriali e l’organizzazione del lavoro hanno avuto sin ora. La vera sfida, ritiene Cardoni, sulla quale, purtroppo, il nostro sistema è impreparato, è quella delle competenze. A questo si somma la carenza da parte della politica di un’idea di paese per il futuro. Bisogna anche valutare l’impatto e la capacità di resilienza delle piccole e medie imprese, che sono la spiana dorsale del sistema produttivo italiano, a queste transizioni. Serve una svolta nella cultura aziendale, che deve virare in un’ottica più strettamente manageriale. La classe imprenditoriale ha un’età non più giovanissima, serve un cambio di governance, uscendo da imprese con una forte matrice familiaristica, introducendo nuove competenze. Su questo punto Federmanager da tempo sta investendo in un welfare professionale per accompagnare le aziende.

Per Paolo Pirani, consigliere Uil al Cnel, manca, al di fuori degli ambienti specialistici, una vera attenzione al tema della transizione energetica e tecnologica e sulla governance del Pnrr. La zavorra principale che oggi ci portiamo dietro è l’assenza di una visione olistica del paese. La gestione di queste transizioni è lasciata alle singole imprese, che convergono sul fatto che tutte queste sfide devono essere affrontate attraverso la formazione, anche se questa non è ancora orientata sulle competenze che oggi sono ritenute necessarie, ed è priva di qualsiasi strumento di verifica. In definitiva, conclude Pirani, le innovazioni contrattuali da sole non possono andare troppo lontano senza una visione unitaria e una prospettiva di politica industriale del paese. Serve, dunque, un nuovo patto tra stato e parti sociali.

Laura Di Raimondo, direttrice di Asstel, ha messo in luce come oggi le relazioni industriali, e quindi gli attori che le animano, siano chiamate a gestire cambiamenti senza precedenti. Dalla contrattazione possono nascere molte soluzioni, per gestire le crisi o traghettare imprese e lavoratori verso un nuovo modello di lavoro, che, alla lunga, possono influenzare anche le scelte della politica. Nello specifico, il contratto delle Tlc ha visto un rinnovamento dei profili professionali, con le competenze che devono essere accompagnate dalla formazione specifica per svilupparle, e la nascita di un fondo di solidarietà per il settore. Nel complesso, spiega Di Raimondo, serve uno sforzo congiunto di tutti gli attori delle relazioni industriali, attraverso una contaminazione orizzontale tra settori, per presentare un’istanza condivisa al mondo della politica, e influire, positivamente, anche sul mondo delle piccole aziende, che sono il grosso del tessuto produttivo italiano.

Claudio Tanilli, responsabile delle relazioni industriali in Enav, parte dalla premessa che finché ci saranno le persone all’interno delle organizzazioni le relazioni industriali avranno un ruolo. I punti sui quali bisogna focalizzarsi sono due. Il primo riguarda i vari modelli contrattuali, che sono la sintesi della disponibilità delle parti che li realizzano e che, per loro natura, non possono comprendere tutto. Dunque vanno integrati con la bilateralità e una crescente cultura della partecipazione e condivisione. Il secondo punto riguarda quello delle sedi, dove gli attori che vi operano sono molto diversi. In Enav le organizzazioni professionali sono molto presenti. Il trasporto aereo, scandito dalle varie crisi del principale vettore di volo, ha visto la nascita di un fondo specifico, che eroga prestazioni accessorie in caso di crisi, con un’ulteriore sfida che è l’attuazione di una formazione specifica per il comparto.

Per Mimmo Carrieri, professore di sociologia economica e del lavoro alla Sapienza, tutte le transizioni che stiamo vivendo sono un momento di passaggio da un modello a un altro. Questa fase deve essere governata da vari attori, tra tutti lo stato, dal quale dovrebbero provenire degli indirizzi di politica industriale. Il primo punto debole di questa situazione, secondo Carrieri, è che ci sono, al momento, molte risorse, quelle Pnrr, ma pochi indirizzi. Un altro attore sono le parti sociali, che molto fanno al livello aziendale, ma meno sul piano sistemico. La domanda che ci dovremmo porre è se in questa fase lo spazio per le relazioni industriali sia maggiore o minore, e da quello che è emerso durante il seminario, la risposta sembra essere la prima. Restano aperti tutta una serie di problematiche da gestire. La prima riguarda quella dell’occupazione, non in termini di una sua diminuzione, ma di una polarizzazione tra chi ha alte competenze e chi ha skills esecutive. Chi si trova nel mezzo ha bisogno di formazione, e su questo devono agire le relazioni industriali, in una veste diversa dal passato. Occorre, così, una nuova sinergia tra governo e mondo del lavoro, anche se è chiaro che molto raramente seguono lo stesso percorso e gli stessi intenti. Dal conto loro le relazioni industriali possono rinnovarsi, attraverso la partecipazione.

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