A dieci anni esatti dall’entrata in vigore delle cosiddette Tutele crescenti e del Jobs Act, in un continuo tira e molla tra Legislatore e Magistratura, il futuro della disciplina dei licenziamenti e del contratto a termine passa alla consultazione popolare con l’appuntamento dei prossimi 8 e 9 giugno.
“I quesiti referendari in materia di lavoro sottoposti ai cittadini – spiega Giovanni Costantino, giuslavorista, responsabile dell’Ufficio Lavoro e Relazioni sindacali dell’Aris (Associazione Religiosa Istituti Socio Sanitari) – mirano sostanzialmente a cancellare gli interventi normativi adottati dal Legislatore nell’ultimo decennio in nome di una maggiore flessibilità in ingresso nel mondo del lavoro, per i contratti a termine acausali, e in uscita, per quanto concerne la disciplina delle tutele crescenti, al fine di favorire l’occupazione”.
Secondo il giuslavorista si tratta in realtà di provvedimenti normativi che hanno raggiunto solo in parte lo scopo dichiarato, non avendo determinato la ripresa dell’occupazione che ci si sarebbe aspettati e avendo subito successivi interventi da parte della Magistratura che ne hanno, in parte, depotenziato l’efficacia.
“Ad oggi – prosegue Costantino – dell’originaria disciplina dei licenziamenti introdotta nel 2015 rimane ben poco, a causa della costante opera di smantellamento attuata negli anni dalla Corte costituzionale, che ha finito per riconoscere ai lavoratori assunti con il Jobs Act tutele molto vicine a quelle previste dall’art. 18 Stat. Lav. dopo il 2012. Viene quindi da chiedersi se abbia ormai effettivamente senso mantenere l’applicazione di due regimi di tutela diversi per i lavoratori o se non sia, invece, il caso di unificare l’intera disciplina, allineandosi però a quanto disposto dalla maggior parte dei Paesi europei, che già prevedono tutele indennitarie più contenute rispetto all’Italia e considerano la reintegrazione in servizio una tutela eccezionale, da riservare nelle ipotesi di nullità del licenziamento”.
Uniformare la disciplina dei licenziamenti a livello comunitario è, infatti, necessario per consentire alle aziende italiane di concorrere in un mercato del lavoro sempre più globalizzato, ma non è sufficiente. I dati dimostrano, infatti, che la vera spinta all’occupazione è rappresentata dalla riduzione del costo del lavoro, come dimostrano i dati Inps, in cui emerge con evidenza come l’incremento delle assunzioni a tempo indeterminato, effettivamente registrato nell’anno di approvazione del decreto per l’introduzione delle tutele crescenti, sia stato favorito dal concomitante sgravio triennale, in vigore proprio a partire dal 1° gennaio di quell’anno per le nuove assunzioni a tempo indeterminato e per le trasformazioni effettuate nel 2015, più che dal nuovo regime dei licenziamenti. Inoltre, servono misure stabili e certe per incentivare la produttività di lavoratori e imprese, da accompagnare con un adeguato piano industriale.
Per Costantino non è da sottovalutare anche la possibile portata del quesito referendario finalizzato a eliminare il tetto massimo dell’indennità risarcitoria prevista per i licenziamenti intimati da aziende che occupino fino a quindici dipendenti. “Viviamo in un Paese – precisa – in cui oltre il 90% delle imprese occupa meno di 15 dipendenti, per cui l’abrogazione di tale limite massimo potrebbe incidere pesantemente persino sulla loro sopravvivenza. È certo che – conclude Costantino – soprattutto dopo la recente pronuncia della Corte costituzionale che ne ha paventato l’illegittimità, un intervento sulla disciplina dei licenziamenti nelle imprese sotto-soglia appare ormai improcrastinabile, ma la mera abolizione del limite massimo non può essere la soluzione, essendo necessaria una riforma modulare che, con regole certe, tenga conto delle diverse realtà”.