Stefano Malorgio, segretario generale della Filt Cgil. voi siete stati i primi, e già da molto tempo, a bloccare i porti per impedire la partenza di navi con carichi di armi indirizzate a Israele. Eppure, oggi si parla soprattutto della mobilitazione dei sindacati autonomi, anche nei porti, terreno storico della Cgil. Che cosa succede?
Fin dal mese di luglio la nostra organizzazione ha lavorato per boicottare i carichi di armi dirette a Israele, mettendo in campo tutte le forze che la Cgil ha nel sistema portuale italiano: abbiamo bloccato carichi a Genova, come a Livorno, a Ravenna, lo stiamo facendo a Trieste e a Napoli. E questo, senza i portuali iscritti alla nostra organizzazione, non sarebbe stato possibile. In assenza di una legge sulla rappresentanza, ciascuno può dire ciò che vuole: ma basta leggere i dati delle iscrizioni e gli esiti degli scioperi per confermare che la Cgil è di gran lunga la principale forza sindacale nel sistema portuale italiano.
Però si è parlato, e si parla, soprattutto della Usb e della sua grande iniziativa del 22 settembre, uno sciopero generale con le piazze piene di gente come non si vedeva da tantissimo tempo, mentre il vostro sciopero del 19 ha fatto meno rumore.
Le piazze erano indubbiamente pienissime, e questo è un dato assolutamente positivo che segnala come sul genocidio in atto a Gaza si siano risvegliate forze e coscienze. Un movimento di opinione importante. Attenzione però. I dati di adesione agli scioperi del 19 e del 22 rimangono molto differenti da luogo a luogo (nei porti, il 19 era molto alta) e comunque mediamente bassi, e questo ci dice un’altra cosa: che esiste una forbice tra la reazione della società civile e quella del mondo del lavoro. Noi lavoriamo per colmare questa distanza, perché riteniamo indispensabile che anche il mondo del lavoro sia uno dei soggetti attivi di questa fase.
Sta dicendo che il mondo del lavoro è meno sensibile ai temi della pace, delle stragi a Gaza?
No. Credo che nessuna persona abbia potuto restare indifferente davanti alle immagini che vediamo ogni giorno, agli abusi, alle stragi, alla catastrofe umanitaria che sta accadendo nella Striscia. Ma ai lavoratori occorre dare una strada concreta, e forse ancora oggi non la vedono: altrimenti, come si spiegherebbe quel delta tra le piazze piene di gente e i dati bassi degli scioperi? Noi abbiamo questa evidenza, e pensiamo che il mondo del lavoro debba ancora essere portato a un maggior livello di consapevolezza su questi temi. Dobbiamo lavorare per far passare l’idea che ‘si può fare’ qualcosa davvero, e che uno sciopero può davvero indurre il governo italiano a cambiare il suo atteggiamento verso Israele.
Ha impressionato che una organizzazione cosi piccola come l’Usb abbia potuto smuovere cosi tanto, mentre voi, la grande Cgil, siete apparsi i un po’ in ritardo rispetto al sentimento popolare.
La Cgil è da sempre in prima linea su questi temi: il lavoro che stiamo facendo nei porti da mesi, le manifestazioni, il lavoro per costruire una posizione del sindacato europeo, lo sciopero del 19 contro questa guerra ignobile, contro il genocidio. Poi, certamente, siamo una organizzazione grande, e quindi capace di esercitare un peso, ma anche complessa, con tempi di reazione più lunghi di altri. Osservo però che l’invasione via terra di Gaza, e l’avvio della Global Summud Flotilla hanno dato una accelerazione alla reazione delle persone e risvegliato un enorme movimento di opinione. Che adesso però va riunito al mondo del lavoro, chiudendo la forbice che ancora li separa.
Si potrebbe dire che stiate inseguendo i movimenti.
I movimenti che stanno nascendo possono essere affiancati, ma nessuno è autorizzato a metterci il cappello. Poi, il fatto che certe tematiche, all’interno del mondo del lavoro, apparissero meno ‘’sentite”, può aver falsato anche la nostra sensazione, ma ora quello spazio va colmato, e noi siamo in grado di farlo. Riteniamo indispensabile che il mondo del lavoro faccia parte di tutto questo: perché solo così un movimento potrà avere la forza di pressione necessaria, ma anche per evitare pericolose fratture. Da segretario della Filt ho ancora negli occhi le immagini degli scontri del 22 a Milano. Nella stazione, dietro le cancellate, c’erano altri lavoratori, e poi i lavoratori degli appalti ferroviari a ripulire i danni dentro la stazione. Ecco. Questa divisione non possiamo proprio permettercela, va ricomposta.
Come pensate di farlo?
Intanto abbiamo già deciso che, nel caso di un attacco alla Flotilla, siamo pronti a indire immediatamente uno sciopero generale. Poi, parteciperemo come Cgil alla manifestazione per Gaza e per la pace indetta a Roma sabato 4 ottobre dai movimenti ProPal, sebbene con una nostra piattaforma. E ci prepariamo alla nostra manifestazione nazionale per il 25 ottobre: era nata su parole d’ordine molto sindacali, la manovra, l’economia, eccetera, ma adesso si sta trasformando: pace, lavoro, democrazia.
Pace, lavoro, democrazia, saranno queste le vostre parole d’ordine del 25?
Si. Pace per dire no al genocidio ma anche perché i venti di guerra che soffiano da Est sono sempre più forti, e il movimento sindacale deve chiedere che sia la politica la risposta ai conflitti. Non sarà facile, perché sulla aggressione russa dell’Ucraina c’è molta disinformazione e molta meno empatia, oltre alla necessità di costruire una posizione politica più complessa che guardi necessariamente al ruolo politico dell’Europa anche superando qualche oggettiva timidezza. Lavoro, perché coinvolgere i lavoratori significa legare i temi dell’economia, e cioè la vita concreta delle persone, al no all’economia di guerra che porta tagli alla spesa sociale. Democrazia, perché è in pericolo, e perché senza democrazia non c’è nessun futuro.
Nunzia Penelope