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Home - Approfondimenti - Interviste - Azzola (Cgil), le nostre condizioni per salvare l’Atac

Azzola (Cgil), le nostre condizioni per salvare l’Atac

di Alessia Pontoriero
6 Settembre 2017
in Interviste
Azzola (Cgil), le nostre condizioni per salvare l’Atac

La crisi dell’Atac e’ diventata nelle ultime settimane il simbolo della crisi, ben piu’ ampia, che riguarda Roma. Il diario del lavoro ha intervistato il segretario generale della Cgil Roma e Lazio, Michele Azzola per fare chiarezza sulle condizioni dell’azienda del trasporto pubblico locale più grande d’Italia e sulle possibili ripercussioni del concordato, ma anche, piu’ in generale, sulla crisi complessiva in cui versa la Capitale d’Italia.


Azzola, la crisi dell’azienda di trasporto romana non inizia certo oggi, ma e’ precipitata negli ultimi mesi. Da cosa dipende, dal suo punto di vista?

Il problema di Atac è che è stata usata per un lunghissimo periodo come un bacino elettorale da tutte le giunte che si sono alternate. Veniva usata per creare consenso con due meccanismi classici: le assunzioni, compresa la ‘’parentopoli’’ di cui tutti hanno parlato, e la gestione degli appalti.  Non bisogna dimenticare, infatti, che Atac è una delle aziende appaltanti più grandi del territorio, e più volte sono stati  sollevati dubbi su come venivano gestiti questi appalti. Anche la magistratura ha indagato, e sta indagando, in merito. Tutti sapevano, ma si è deciso di non intervenire perchè l’Atac, con i suoi 12.000 dipendenti diretti e con altrettanti dipendenti indiretti legati alle manutenzioni, all’indotto, all’approvvigionamento di materiali, faceva comodo. Era un bacino elettorale potente che la politica ha usato per lungo tempo. Risultato: negli ultimi 15 anni un’azienda che fa trasporto pubblico non ha più investito nell’acquisto di nuovi mezzi, perché le risorse calavano, ma  ha continuato a portare avanti una gestione “allegra” sia del personale sia degli appalti.  Si è arrivati così a un disastro come quello attuale.

Secondo lei ci sono responsabilità dirette anche della attuale giunta Raggi? Si e’ insediata solo da un anno, in realta’.

La giunta Raggi non ha una responsabilità sul passato ma sull’oggi, proprio perchè sono passati 12 mesi. Per un anno si è smesso di governare Atac perchè sono stati cambiati i vertici dell’azienda e gli assessori con una velocità impressionante, perché si è fatta una battaglia politica all’assessore al bilancio e a quello dei trasporti, e perchè i vertici di Atac hanno smesso di occuparsi del funzionamento dell’azienda. Oggi è facile dire che i dipendenti non lavorano, ma se non lavorano è perchè  siamo di fronte a un’azienda completamente paralizzata. L’amministrazione Raggi ha, di fatto, aggravato la situazione: la qualità del servizio e la gestione del pagamento dei biglietti sono peggiorate. Ha accelerato una crisi che ormai è di difficile risoluzione.

Dopo mille polemiche, alla fine il Comune ha deciso per il concordato preventivo. Lei come valuta questa scelta?

Il concordato è uno strumento e gli strumenti per definizione sono neutri. E’ come il martello: se lo uso per  piantare un chiodo è un buono strumento, se me lo dò su un dito è un cattivo strumento. Il problema perciò è come verrà usato. La giunta Raggi conta di usare il concordato preventivo per riorganizzare Atac? Se è così, è un buono strumento. Uno dei rischi che vediamo, però, e’ che venga usato solo per prendere tempo.

Cosa intende dire?

Quando si inoltra la domanda di concordato al tribunale, nessun creditore può chiedere l’istanza di fallimento. Dopo di che scattano 120 giorni per presentare il piano di rientro prorogabili di 60 giorni. A quel punto il giudice dovrà convocare decine e decine di creditori per chiedere loro se sono d’accordo sul piano di rientro. Tutto questo comporterà un anno di tempo. Noi speriamo che tutto questo non serva per sorpassare le elezioni previste per il 2018 perchè se fosse così, quella scelta comporterebbe il rischio vero del fallimento. Chi subentrera’ dopo le elezioni politiche con un concordato fasullo dovrebbe solo gestire la chiusura di Atac. Un dramma per questa città. Quindi, riassumendo: non critichiamo il concordato, ma vogliamo sapere dall’assessore Meleo le modalità con cui questo strumento verrà applicato. Se e’ finalizzato a cambiare l’azienda il sindacato sarà con l’amministrazione. Ma sapendo che servono anche altri grandi passi  per cambiarla realmente.

Secondo alcuni, per risanare Atac sarebbe anche necessario ridimensionare il personale. Lei crede che una delle possibili manovre nel piano di rientro riguarderà i dipendenti?

In realtà nessuno ha mai detto che c’è del personale in più, anzi, gli autisti sono pochi. Si è parlato in questi giorni dell’esigenza di farli lavorare di più e meglio: ebbene, nel 2011 il sindacato ha firmato un accordo con  l’allora direttore generale Francesco Micheli per alzare la produttività dell’azienda. Ma dopo la firma Micheli è stato mandato via, e l’accordo e’ rimasto inapplicato. È evidente che un’azienda che non applica un accordo siglato per far lavorare meglio i dipendenti e’ un’azienda malata. Contestiamo il fatto che non si è mai pensato di farla funzionare bene. I dipendenti devono lavorare meglio ma non sono assolutamente troppi. Il numero di lavoratori è in linea con le altre aziende di trasporto pubblico locale. Forse c’è un eccesso di personale impiegatizio, che andrebbe spostato, andrebbe riorganizzato per migliorare la qualità. Inoltre, si potrebbe risparmiare riportando all’interno dell’azienda tutte quelle attività che sono state esternalizzate, nonostante in Atac esistano competenze, professionalità e personale capace. Appaltiamo all’esterno e i dipendenti non lavorano. Perchè si fa questo? Perchè l’appalto porta consenso.

Si parlava anche di intervenire, almeno queste sono dichiarazioni della giunta, sul salario accessorio…

Io credo che sarebbe una scelta sbagliata. Il problema non è il salario accessorio che, oltretutto, è fuori linea rispetto agli accordi che altre aziende hanno. È un salario previsto da un accordo aziendale con una retribuzione di 300 euro in più al mese ed è legato alla produttività dell’azienda. Io credo che quell’accordo dovrebbe incentivare a lavorare di più o meglio. Il problema non è ridurre lo stipendio, è far lavorare meglio i dipendenti e in condizioni migliori. Ho letto alcune dichiarazioni in cui la sindaca assicura che non saranno tagliati gli stipendi del personale e credo che sia una scelta sensata.

Ci sarà un incontro con il Campidoglio nei prossimi giorni: quali saranno le vostre richieste?

Noi incontreremo giovedì l’assessore Meleo. Forse, secondo indiscrezioni, ci sarà il nuovo assessore al bilancio. Sonderemo la reale volontà di risanare l’azienda. Atac lavora attraverso un contratto di servizio con il comune di Roma che scade nel 2019. Secondo noi, o la scelta del concordato preventivo sarà accompagnata dalla decisione politica di allungare il contratto di servizio, per esempio al 2024 o al 2025, o è evidente che nessun tribunale italiano autorizzerà un concordato preventivo. Gli effetti del contratto devono oltrepassare il 2019 altrimenti non ci potrà essere la certezza delle entrate nelle casse di Atac. E la portata del debito non consente il concordato. La giunta Raggi dovrà quindi dirci se è intenzionata ad allungare il contratto di servizio, altrimenti stiamo parlando di aria fritta e la scelta del concordato sarà solo un modo per prendere dieci mesi di tempo e scavallare le elezioni politiche. Un atto di irresponsabilità che condanneremo pesantemente. In due anni non si fa un piano di rientro. Un piano di rientro credibile ha bisogno di 5/7 anni e non è neanche ipotizzabile senza l’allungamento del contratto di servizio.

Che risposte state organizzando sulla questione Atac come sindacati? Pensate a uno sciopero?

Abbiamo avviato le procedure ma non lo abbiamo ancora proclamato. I sindacati autonomi l’hanno proclamato per il 12 settembre. La nostra decisione dipenderà dalle risposte che il comune ci darà e, ripeto, se ci sarà una volontà reale di cambiare le sorti dell’azienda trovando gli investimenti necessari per rinnovare il parco mezzi. Il sindacato è pronto a fare la sua parte, ma non ci presteremo a diventare una pedina in mano alla politica, non tollereremo che si prenda tempo per non risolvere il problema.

C’e’ anche un forte dibattito se mantenere Atac pubblica o renderla privata. I Radicali hanno anche raccolte le firme per un referendum sulla liberalizzazione. Con il concordato la direzione sembra quella di mantenerla pubblica. Lei cosa ne pensa?

Mi dispiace che ci sia tanta disinformazione e che si facciano battaglie ideologiche. In realtà il 20% del trasporto pubblico locale di superficie è già gestito da un’azienda privata, Roma tpl, che è esattamente quello che chiedono i Radicali. Ebbene, il servizio gestito da Roma tpl è il peggior servizio in assoluto di questa città e in più i lavoratori di quell’azienda non percepiscono lo stipendio. Se quello è il modello del trasporto pubblico locale noi siamo contrari. Io credo che il tpl debba restare pubblico.

Tuttavia l’Atac pubblica non ha dato brillanti risultati.

No, infatti. Bisogna trovare degli amministratori capaci di amministrare l’azienda come fosse privata. Le scelte politiche vanno fatte dalla politica, le scelte aziendali devono essere fatte dall’azienda. Il direttore generale Micheli, che è stato in Atac 4 mesi e ha provato a dirigere l’azienda, se n’è andato perchè la politica non gli ha permesso di fare il suo lavoro. La politica deve avere il coraggio di chiamare un manager per far funzionare l’azienda, per vendere i biglietti, per organizzare meglio i turni, per organizzare meglio il servizio. Non è un caso che in Atac i dirigenti della prima linea siano ancora gli stessi. Si sono susseguite 5 giunte e loro sono inamovibili. Se si vuole rilanciare l’azienda, devono essere mandati a casa. Se la giunta Raggi non farà questo, dubito si avrà un vero cambiamento.

Dal punto di vista occupazionale, Roma ha visto l’ultima assunzione di massa proprio in l’Atac. Come sosteneva lei, questo è avvenuto come scambio di voti; però all’oggi non c’è più una possibilità di occupazione all’interno di questa città. La mia è una domanda provocatoria chiaramente. Oggi siamo in una situazione di stallo, dovuta alla lunga crisi economica, dovuta alla crisi del comune di Roma e al suo debito. C’è una forte disoccupazione giovanile, le persone emigrano al nord, a Milano oppure in altri paesi e, infine, si sta verificando una grossa fuga delle aziende. Insomma: prima c’era il voto di scambio, che comunque generava occupazione, oggi c’è il deserto?

E’ vero che in quel momento apparentemente stavamo meglio ma stavamo in realtà solo ipotecando il futuro delle persone. Io non credo che Roma non possa essere attrattiva. Credo che su Roma pesi una congiuntura politica tale  che le istituzioni stanno decidendo di non intervenire. Si può creare tanta occupazione, si possono creare tanti posti di lavoro ma questo dipende dalle scelte politiche. Tutte le grandi aziende pubbliche italiane stanno abbandonando la città,  Eni ed Enel,  Sky e Mediaset, per esempio. È una scelta politica od organizzativa? È ovvio che se io volessi creare dei posti di lavoro in questa città dovrei chiamare le grandi aziende pubbliche e chiedere loro di investire su questa città, mettendo a disposizione risorse pubbliche su basi che siano mirate. L’Italia va male in generale ma Roma ha degli indici di occupazione che sono devastanti. Quasi l’80% delle nuove assunzioni non supera i tre mesi. Si tratta dunque di lavoro precario.

Si dovrebbe creare occupazione chiedendo alle grandi aziende di investire nella città?

Siamo la Capitale della cultura: si potrebbe fare un bando, aiutati dall’Europa, che rilanci Cinecittà. Invece stiamo perdendo la produzione culturale che si sta spostando a Milano perchè Milano e la Lombardia hanno creato attrattività. Se ne vanno anche le televisioni. Sky lo ha già deciso, Mediaset vacilla, poi toccherà alla Rai. Bisognerebbe creare opportunità per le attività in cui la Capitale può eccellere: produzione culturale, produzione cinematografica. Regione, Comune e Governo dovrebbero progettare il rilancio di questa città.  Ma parliamo sempre di una congiuntura politica sfavorevole. Temo che il Governo gongoli nelle difficoltà di Roma perchè ci avviciniamo alle lezioni politiche del 2018. Il messaggio è chiaro: volete votare i 5 stelle? guardate come hanno ridotto Roma!

C’e’ chi sostiene che gliel’hanno fatte vincere per questo motivo le elezioni comunali, per screditarli.

Non è così lontano dalla verità, secondo me. Anche la scelta di candidare Milano e la Lombardia ad ospitare l’Agenzia del farmaco europea che se ne va da Londra è incomprensibile. Milano perderà, perchè l’Europa sceglierà un’altra capitale europea. Roma poteva avere delle chance ma non ci siamo neanche candidati. Non aver provato a mettere le basi per ospitare l’Agenzia del farmaco che crea migliaia di posti di lavoro comporterà un altro fenomeno devastante: le società farmaceutiche ubicate a Roma Sud e nel sud del Lazio inizieranno a trasferirsi in Lombardia, con il rischio di perdere migliaia di posti di lavoro. Il primo segnale lo avremo nei prossimi giorni. La scelta del Governo è una scelta politica o è una ritorsione verso Roma? Se si tratta di una ritorsione è una scelta miope perchè la battaglia politica la stanno pagando i cittadini. E credo che un politico che scarichi le proprie responsabilità sui cittadini non faccia bene il suo lavoro.

Che battaglia politica può portare avanti il sindacato?

Come Cgil, insieme a Cisl e Ui,l abbiamo cercato di mettere insieme Comune, Regione e Governo per far rinascere la capitale di Italia. La capitale di un paese non può essere ridotta in queste condizioni, quindi è necessario collaborare tutti insieme per farla funzionare. Occorre fare dei progetti. Il 24 giugno abbiamo organizzato un’iniziativa al Tempio di Adriano cui hanno partecipato la sindaca Raggi, il governatore Zingaretti, tutte le associazioni datoriali. Il Governo ha dato forfait il giorno prima. Abbiamo chiesto alle istituzioni di collaborare, di  far partire dei progetti che sono facili da costruire per dare un po’ di speranza a questa città, alle sue periferie, ai giovani. Il prossimo mese rilanceremo quei sette tavoli che avevamo individuato come necessari per far ripartire Roma.

In pratica, un po’ paradossalmente, sostituendovi alle istituzioni?


Se queste non lo fanno,  proveremo noi a mettere sul piatto le esigenze della città. Diversamente, il rischio concreto è che fino alle elezioni politiche la Capitale sia paralizzata. Se il presidente del Consiglio, il presidente della Regione e la sindaca di questa città accetteranno un gioco politico di tal sorta, scaricheranno su 4 milioni di romani un prezzo inaccettabile.

Pensa che il Governo c’entri qualcosa con la situazione di Atac?


Io credo che il Governo non abbia nessuna incidenza diretta su Atac e su quello che sta succedendo. Ma e’ responsabile di non aver rinegoziato il debito di Roma Capitale, un debito eccessivo su cui paghiamo degli interessi spropositati. La nostra città paga un interesse sul debito del 5%, credo che nessuna famiglia italiana paghi interessi così alti. E a chi li paga? Alla Cassa depositi e prestiti, che è lo strumento finanziario del Governo italiano. In questo si, il Governo ha delle responsabilità.

 

Alessia Pontoriero

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Alessia Pontoriero

Alessia Pontoriero

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