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Home - Approfondimenti - Interviste - Mario Ricciardi, Dobbiamo ricostruire la fiducia tra Stato e cittadini

Mario Ricciardi, Dobbiamo ricostruire la fiducia tra Stato e cittadini

di Massimo Mascini
30 Giugno 2020
in Interviste

I cittadini non si fidano dello Stato, lo Stato non si fida dei cittadini. Nasce da questo corto circuito buona parte dei problemi della pubblica amministrazione. Perché la sfiducia dello Stato verso i cittadini fa aumentare in maniera vistosa quanto intollerabile il numero delle leggi, degli adempimenti, delle dichiarazioni necessarie per qualsiasi atto. Questa superfetazione legislativa aumenta il potere della burocrazia e la sfiducia dei cittadini. Le riforme si susseguono ma si infrangono sulla resistenza della politica e della burocrazia. A questa situazione difficile si aggiunge l’inefficienza dei dipendenti pubblici, troppo anziani, poco formati, scelti in base a concorsi mai attenti all’effettiva preparazione delle persone. Un mix pernicioso che mette in pericolo qualsiasi tentativo di riportare in crescita la nostra economia. Eppure Mario Ricciardi, che per decenni ha insegnato diritto del lavoro e relazioni industriali a Bologna, grande esperto di amministrazione pubblica, guarda con qualche ottimismo alla possibilità di invertire questo trend. Se la politica, afferma, capisse che si deve investire molto, moltissimo, sui pubblici dipendenti, soprattutto per formarli, mettendoli in grado di seguire la tecnologia che avanza, qualche risultato si potrebbe raggiungere.

Ricciardi, quali sono i punti dolenti della pubblica amministrazione, capaci di causare problemi di fondo alla nostra economia?

La pubblica amministrazione è una realtà molto complessa, composta da 3 milioni e mezzo di persone con dentro settori immensi come la sanità e la scuola, che è difficile etichettare come palle al piede dell’economia. Settori che sono stati oggetto di continui e gravosi tagli di risorse in questi anni ma che nonostante ciò hanno fatto grandi sforzi durante la pandemia per aiutare il paese in un momento critico.

Nessuno mette in dubbio la disponibilità dei pubblici dipendenti. Ma le inefficienze della burocrazia esistono. Dove è necessario mettere le mani?

Per non restare nel generico è opportuno distinguere le diverse realtà del mondo della burocrazia. Per lo più quando si parla di difficoltà ci si riferisce ai servizi amministrativi, al lavoro nei ministeri e negli enti locali. E lì dei nodi irrisolti ci sono, dei malfunzionamenti, ma è necessario individuare le ragioni profonde che hanno causato questi problemi.

Quali sono queste ragioni profonde?

La prima che emerge, importante, è la reciproca sfiducia dei cittadini verso lo Stato e dello Stato verso i cittadini. Una sfiducia che porta alla moltiplicazione, perniciosa, delle dichiarazioni, degli accertamenti, dei documenti. Una realtà che non è stata intaccata dai tentativi, che pure ci sono stati, di semplificazione, e nemmeno dai processi, anche questi ingenti, di digitalizzazione, che alla fine si sono rivelati insufficienti sia per l’amministrazione che per i cittadini. I tentativi di ricorrere ai servizi della pubblica amministrazione attraverso Internet si sono rivelati sempre troppo parziali.

Cos’altro pesa?

Un secondo fattore che determina questi problemi è l’eccessiva cultura giuridica formale dei livelli medi e alti della pubblica amministrazione e la scarsa cultura manageriale di una sua buona parte. E’ sempre eccessiva l’attenzione ai processi formali e scarsa l’attenzione invece ai meccanismi che devono portare alle decisioni definitive. Questi due fenomeni poggiano su una produzione legislativa troppo grande, pletorica, malfatta, che allarga gli spazi interpretativi, quindi la discrezionalità dell’amministrazione. E questo a sua volta alimenta il contenzioso e la difesa della burocrazia che tende quanto più è possibile ad attenersi alle norme. E così l’azione della pubblica amministrazione si blocca. Ma ancora esiste un problema di difficoltà del ricambio generazionale.

E’ troppo lento?

L’età media dei pubblici dipendenti è molto alta, sopra i 50 anni, causata per lo più dalla limitatezza degli accessi. Si fanno pochi concorsi e quei pochi che si fanno sono sempre pletorici, svolti con meccanismi approssimativi, spesso ricorrendo a quiz, strumento che andrebbe bene per un programma televisivo, non per selezionare personale nella sanità o nella scuola.

Perché si fanno concorsi importanti con i quiz?

Perché, proprio perché se ne fanno pochi, quando si bandisce un concorso il numero dei partecipanti è altissimo, e allora per una prima selezione si ricorre a questi sistemi eterodossi, senza guardare alla effettiva preparazione delle persone, alle loro competenze.

Tre problemi difficili da superare.

Quello della fiducia reciproca tra cittadini e Stato è ineludibile. E’ una storia antica, le cui radici affondano nel passato. Lo stesso per il nodo delle leggi. Bisognerebbe farne poche, chiare e semplici, senza richiami ad altre cento leggi, che per l’attuazione non richiedano troppe circolari amministrative che complicano il quadro generale. E altrettanto complesso è il nodo generazionale. Servirebbe tantissima formazione, inserire nella pubblica amministrazione capacità nuove, che aiutino a risolvere i problemi. Ma non se ne fa o se ne fa troppo poca.

Che risultati hanno avuto i numerosi tentativi di riforma avviati in questi anni?

Scarsissimi esiti, anche perché ci si è provato troppe volte. Sono decenni che si prova a rimediare a questi guasti. Ricordo che negli anni 60 il ministero competente si chiamava proprio ministero della Riforma burocratica. Poi è cambiato il nome, ma il problema è rimasto. Diversi i motivi. Il principale forse è nella durata dei governi in Italia, mediamente un anno, troppo poco per avviare una seria riforma. E poi pesa la mancanza di continuità tra una riforma e la successiva.

Che tipo di continuità servirebbe?

Un ministro che subentra alla guida di un dicastero importante e con tanti problemi dovrebbe studiare, applicare, gestire la riforma fatta dal suo predecessore, e poi se del caso intervenire. L’abitudine invece è quella di gettare al macero tutto quello che è stato fatto prima.

Questo è successo?

Basta ripercorrere gli ultimi anni. Bassanini alla fine degli anni 90 fece una riforma profonda della pubblica amministrazione. Qualche anno dopo arrivò Brunetta e cambiò tutto dando un’impronta aziendalistica all’amministrazione. Nel 2017 la Madia ha cambiato tutto un’altra volta. Dopo due soli anni, nel 2019 la Bongiorno avvia un’altra riforma, che non applica solo perché intanto cade il governo. Ma così non funziona nulla, anche la semplificazione resta una parola.

A pesare in questa situazione c’è anche il problema del timore di incappare in un procedimento per danno erariale. Perché nel dubbio per un funzionario è più facile astenersi che intervenire.

Io credo che sia giusto che esista la possibilità di sollevare l’esistenza di un danno erariale. I comportamenti sbagliati dei dipendenti pubblici devono poter essere sanzionati. In tanti anni però ho visto espandersi il concetto stesso di danno erariale. E questo non aiuta, anche perché interi studi legali si sono specializzati proprio nelle cause contro gli errori dei pubblici dipendenti. Si è verificato in questo modo quel corto circuito nel rapporto fiduciario tra cittadini e Stato di cui parlavamo prima.

Un fenomeno diffuso?

Nella sanità c’è stata una crescita abnorme di ricorsi contro medici che avevano commesso degli errori o che avevano avuto comportamenti che qualcuno riteneva lesivi. Questo ha provocato atteggiamenti difensivi da parte dei medici, che hanno cominciato a prescrivere decine di analisi per essere sicuri di non sbagliare o hanno preferito non tentare degli interventi che presentavano una dose di rischio proprio per non incappare in un’ipotesi di danno.

Anche nella scuola il clima è peggiorato notevolmente.

Si sono moltiplicate le aggressioni, non solo verbali, da parte dei genitori nei confronti di docenti accusati di aver dato un brutto voto o aver bocciato un ragazzo. Comportamenti violenti che hanno minato la volontà dei docenti di giudicare gli alunni secondo normali criteri. Un danno serio, così si mina il rapporto con lo Stato, dimenticando che medici e insegnanti rappresentano un punto di forza nella nostra vita, e che in questa emergenza pandemica hanno dimostrato con forza la loro capacità e la loro dedizione.

Problemi ce ne sono e anche tanti. Ma si può sperare di uscirne?

Perché no? Ma occorre un impegno convergente. Non si può non tener conto del blocco contrattuale che è durato dieci anni, del fatto che le retribuzioni sono molto basse, specie in alcuni settori come gli anti locali e la scuola. Io credo che sia necessario rimotivare le persone, ricostruire un rapporto forte tra i cittadini e lo Stato. E lo si può fare agendo sulle retribuzioni ma soprattutto rinnovando i contratti. Due anni fa la Corte costituzionale ha detto che i contratti andavano rinnovati, ma non è stato fatto. Tanto è vero che adesso è in corso una trattativa per rinnovare il contratto dei dirigenti degli enti locali, scaduto nel 2018.

Serviranno forti investimenti?

Sì, molto ingenti. È necessario investire in maniera massiccia nella pubblica amministrazione, dirottando in questi settori una parte ingente delle risorse che arriveranno per affrontare la crisi economica incombente. Con aumenti retributivi, con incentivi, dando spazio a una dirigenza attenta non solo agli aspetti giuridici formali, ma a far funzionare il sistema. E anche sanzionando gli atteggiamenti difformi, che non possono essere tollerati da un’amministrazione che funzioni come dovrebbe.

Il livello qualitativo degli impiegati pubblici italiani è più alto o più basso di quelli degli altri paesi?

Difficile fare una media su milioni di persone. Ma i riscontri ci sono. Basta pensare ai tanti italiani che vanno in giro nel mondo e si fanno apprezzare per la loro capacità e la loro preparazione. Un peccato per noi che perdiamo quelle forze, ma questo sta a dimostrare che l’ambiente scolastico e formativo nel quale quelle persone si sono formate era efficiente. Un altro esempio gli enti di ricerca, abbiamo delle vere eccellenze. Ma tutto sempre dipende dagli investimenti che la politica decide di fare. I paesi nostri concorrenti, Germania e Francia prima degli altri, investono nella pubblica amministrazione molto più di noi. Non è un caso se nell’amministrazione italiana lavorano tante persone con un contratto a tempo indeterminato, ma anche moltissimi precari, metà nella scuola, l’altra metà in giro per gli uffici. E sui precari non si investe, non si fa formazione. Ma è così che le strutture decadono.

La vedo moderatamente ottimista.

A patto che la politica capisca che si deve intervenire e non solo a parole.


Massimo Mascini

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