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Home - Rubriche - Poveri e ricchi - Il senso del governo giallo-verde per lo Stato

Il senso del governo giallo-verde per lo Stato

di Maurizio Ricci
24 Settembre 2018
in Poveri e ricchi, Analisi
Il senso del governo giallo-verde per lo Stato

È la citazione più nota di Luigi XIV. “Lo Stato sono io”  riassume la visione del mondo del Re Sole. Va tenuta a mente, quando si sente Luigi Di Maio esclamare trionfante, alla notizia delle dimissioni di Massimo Nava: “Adesso potremo mettere alla presidenza della Consob un servitore dello Stato”. Perché il problema è: chi è, esattamente, lo Stato, secondo Di Maio? Il rischio, consapevole o meno, è che, per Di Maio “lo Stato siamo noi”, quelli che hanno vinto le elezioni. L’infortunio di Rocco Casalino, con la sua fatwah contro i burocrati del Tesoro – al di là dei risvolti francamente comici, evocazione della privacy compresa – mostra che questo rischio è reale. Ma, così, la democrazia liberale muore.

L’idea che le competenze tecniche siano uno schermo di comodo, che tutto sia politico, legato indissolubilmente al consenso popolare, è il terreno di coltura del populismo di destra, come di sinistra (basta pensare agli slogan del ’68). Qualsiasi ombra viene mondata dalla purezza e dalla verginità dei leader. Sul terzo requisito, la trasparenza, dopo la vicenda Casalino è meglio stendere un velo. E anche gli altri due, dopo 100 giorni di governo, appaiono piuttosto appannati. Ma, qui, non è in discussione l’ipotesi di un complotto per abbattere la democrazia. Né Di Maio, né Salvini pianificano segretamente l’istituzione in Italia di una “democrazia illiberale” alla Orban. Il punto è che la pseudo democrazia orbaniana offre scorciatoie assai comode all’attivismo di governo e uno può essere tentato di imboccarle, anche inconsapevolmente, se non ha ben fermi alcuni principi.

Il primo è che la democrazia si regge sulla separazione dei poteri. In Italia, dove la distinzione fra Parlamento e governo, in virtù di una legge elettorale strumentale al potere delle segreterie di partito, è quanto meno labile, questa distinzione è ancora più importante. Le polemiche delle ultime settimane mostrano una diffusa insofferenza verso l’indipendenza della magistratura. Non è una novità, ma è la chiave di volta della democrazia liberale. Non è un mistero, però, che, nei cassetti della Lega, ci sia il progetto di eliminare l’obbligo di azione giudiziaria, su cui si regge l’indipendenza della magistratura. Un giudice è tenuto oggi a perseguire ogni reato di cui abbia notizia. Domani, il governo potrebbe chiedergli di concentrare la sua attività sulla lotta all’immigrazione clandestina, piuttosto che alla corruzione. È questo che vogliamo?

Lo stesso concetto di indipendenza si estende alle autorità di controllo. Il presidente della Consob deve essere al servizio dei risparmiatori, non dello Stato.  Perché lo Stato non è affatto un attore neutrale. Tanto più quando si parla sempre più spesso di nazionalizzazioni. Facciamo il caso che la Tim raggiunga con il governo un accordo su potenziamento e gestione della banda larga, e che, per finanziarli, lanci sul mercato un’operazione di dubbia solidità. La Consob, con l’orecchio attento ai programmi del governo, dovrebbe chiudere, invece, un occhio? È questo che vogliamo? Il concetto si estende a tutte le altre autorità indipendenti. Se, domani, l’Alitalia, che pare un’azienda prediletta dall’attuale governo (anzi, probabilmente, finirà per ricomprarsela) trovasse ossigeno nei propri bilanci, occupando, per dire, in  via esclusiva l’aeroporto di Malpensa, contro le proteste delle altre compagnie, l’Antitrust dovrebbe dare via libera? È questo che vogliamo?

Tocca ai politici avanzare i progetti e compiere le scelte finali. Sulla base della realtà che è stata prospettata dai tecnici. Su questa interazione ci sono mille sfumature, ma il principio che le decisioni devono essere basate sulla realtà è irrinunciabile. Vogliamo un direttore dell’Istituto superiore di Sanità che blocca i vaccini per compiacere fette importanti della maggioranza di governo? Un presidente dell’Istat che massaggia le statistiche per fornire un quadro più roseo (non si tratta di truccare i numeri, basta scegliere quali dare)? O, per stare al caso di questi giorni, un Ragioniere generale del Tesoro che dà il via libera ad una spesa con copertura finanziaria pericolante e posticcia? L’ultimo caso non è inedito. È esattamente quello che è successo in Grecia e che fu rivelato, nella sorpresa generale, nel 2009. Il resto lo conosciamo tutti.

 

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Maurizio Ricci

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