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Home - Approfondimenti - Analisi - Portare le competenze manageriali nelle PMI

Portare le competenze manageriali nelle PMI

di Maurizio Quarta
6 Giugno 2022
in Analisi
Cida, solo dalla formazione un vero aiuto ai giovani

Si è tenuto a Milano un importante convegno su come portare competenze manageriali nelle PMI, settima tappa di un roadshow partito nel 2020-21 e organizzato da ANDAF e IIM Institute of Interim Management Italy, con la partecipazione di AIDP-PMI, la collaborazione di BFF Bank e la moderazione di Sergio Luciano.

Punto di partenza del convegno, una recente indagine Unioncamere – Centro studi Guglielmo Tagliacarne, che rimarca come solamente un’impresa su tre sia pronta a tradurre in progetti concreti  le risorse finanziarie del PNRR (l’80% di PMI non ha a piano di utilizzare le risorse allocate).

Alla base, scarsa informazione e sensibilizzazione, ma anche un fatto strutturale: la sottomanagerializzazione delle nostre PMI. Il rafforzamento delle competenze manageriali viene continuamente ripreso, alla luce delle tante  aree su cui le PMI dovrebbero operare: digitalizzazione, economia circolare, ottimizzazione della gestione finanziaria, internazionalizzazione, gestione del capitale umano, aggregazioni e reti d’impresa. In questo contesto, il temporary management (di seguito TM)  viene sempre più apprezzato dalle PMI come uno  strumento per certi versi ottimale per portare in casa competenze di alto livello, non altrimenti disponibili, immediatamente operative e capaci di operare in contesti straordinari con il risultato di accrescere le capacità delle persone, che alla fine di un intervento/progetto saranno in grado di fare le stesse cose meglio di prima oppure di farne di nuove.

La conoscenza che le PMI hanno del TM è cresciuta nel tempo ed è oggi ad un buon livello: circa il 60% delle aziende più piccole (sotto i 20 milioni di fatturato) lo conosce, con un utilizzo che si assesta intorno al 10-12% a seconda delle classi di fatturato. Dato che vale anche per aziende molto piccole: nella fascia tra 2 e 5 milioni di euro di fatturato, infatti, la conoscenza dello strumento è pari al 63% con un utilizzo pari all’8%,  soprattutto per progetti di lunga durata (es. 24 mesi), ma gestiti a tempo parziale.

Parlando di aree di intervento in azienda, rileviamo come l’imprenditore tenda a vedere e a privilegiare quelle con un più immediato impatto sul conto economico (es. supply chain, produzione, area commerciale, internazionalizzazione), trascurando almeno in parte le aree finanza e risorse umane, in cui sarebbe peraltro possibile generare rilevanti risparmi e ritorni di efficienza. Su queste aree, è tuttora necessario un grande lavoro di stimolo nei confronti dell’imprenditore: sulla finanza, per fargli superare l’ostacolo, soprattutto psicologico, legato al fatto di dare accesso ai propri conti – e non tocchiamo il tasto delicato del rapporti con gli altri professionisti presenti in azienda), e sulle risorse umane per fargli  comprendere il valore economico di una loro gestione in chiave professionale.

Il TM può aiutare a superare altri gap “culturali” delle PMI, ad esempio:

  • dalla digitalizzazione «forzata» a quella «ragionata» , con Il 47% delle imprese (analogiche + timide) che devono fare il salto
  • dal concetto di esportazione a quello di internazionalizzazione
  • arrivare ad concetto operativo di rete che vada oltre la semplice aggregazione.

Anche le imprese molto piccole (es. sotto i 5 milioni) attingono in misura crescente al bacino di competenze manageriali disponibili attraverso progetti fractional/part time, particolare declinazione del TM nata proprio sulla spinta della domanda da parte di queste organizzazioni, per le quali il classico temporary manager full time potrebbe risultare ridondante, sia in funzione dei tempi che dei costi.

In questo modo, è anche possibile dispiegare sul campo team di temporary manager e veri e propri CdA virtuali, come già in uso da anni nei mercati stranieri (es. negli USA).

Sono molti oggi i manager disponibili sul mercato (e molti di più saranno nei prossimi mesi) e le competenze manageriali teoricamente disponibili, ma esiste ancora un disallineamento qualitativo tra le competenze necessarie per lavorare con le PMI e quelle di molti manager che provengono soprattutto da grandi gruppi. A questo si abbina un disallineamento ideologico tra chi porta avanti un discorso, totalmente legittimo peraltro, di ricollocamento di dirigenti in mobilità e di status dirigenziale e imprese, specie PMI, che hanno bisogno di competenze manageriali, flessibilità e possibilità di operare più che mai a costi variabili.

Il ruolo del CFO

Il ruolo del CFO sta cambiando velocemente: si allargano le aree di responsabilità, vengono richieste nuove competenze così come una maggiore interazione con le altre funzioni apicali. La finanza si sta sempre più digitalizzando, imponendo cambiamenti nei modelli di business di molte imprese; il CFO diviene spesso leader anche in quest’area. Così come l’importanza del modello ESG richiede spesso un coinvolgimento meno specialistico e più interdisciplinare del CFO.

Giancarlo Veltroni e Fabrizio Ceriotti (rispettivamente Vice Presidente Nazionale e Presidente Lombardia di ANDAF) sottolineano come “il CFO per ruolo, mindset, competenze e cassetta degli attrezzi quali-quantitativi, diviene attore chiave nell’impresa italiana, anche PMI, che vuole competere con successo nel presente ed elaborare ed eseguire una strategia vincente per il suo futuro. In tal senso ci colloca la licenza ottenuta dal MISE per rilasciare l’attestazione di qualità e qualifica professionale del ruolo nonché la certificazione del profilo professionale”.

E come il CFO possa essere motore di cambiamento, in abbinata virtuosa con un temporary manager, è stato spiegato da Silvia Ramalli, CFO di LILT, entità operante oltretutto in un comparto quale il Terzo Settore, che in Italia è ancora parzialmente pronto a recepire le grandi sfide che lo attendono.

Le reti di impresa e il supporto della finanza

Biagio Levrini (Rappresentante Lombardia di Assinrete) rileva come “tra le diverse tipologie di aggregazioni di imprese il modello della Rete sia quello più innovativo perché consente alle imprese di incrementare le proprie capacità, realizzare progetti e perseguire obiettivi condivisi e nel contempo mantenere la propria indipendenza, autonomia e specialità. Le reti sono in crescita come l’interesse da parte della PMI: +13,3% reti e +10% imprese in rete nel 2021, 42.232 imprese in rete per 7.541 contratti di rete (con in testa Lazio, Lombardia e Veneto), ma soprattutto con la tendenza a confermarne nel tempo l’utilizzo. Però per farle funzionare serve management: il successo di una rete si basa su fiducia e competenze che dipendono soprattutto dal Manager di Rete, un temporary che crea, gestisce e sviluppa il business. Il contratto di Rete, per esempio, prevede lo scambio di prestazioni, di informazioni e di risorse tra le aziende retiste, così come la gestione comune della forza lavoro (co-datorialità), molto utile nel caso di condivisione di uno o più temporary.”

Sul tema del “combinato disposto” reti-gestione finanziaria, Michele Antognoli (VP Factoring & Lending di  BFF Banking Group) sottolinea come “alla luce dell’evoluzione del contesto normativo e degli ingenti investimenti pubblici figli del PNRR, nei prossimi anni le imprese avranno sempre più necessità di supporto da parte del sistema finanziario, anche in termini di accesso ai servizi di factoring e di gestione dei crediti pubblici. In questo quadro, da un lato è fondamentale sostenere le imprese che lavorano con la PA con un approccio a 360°: dall’analisi delle esigenze, alla definizione di una value proposition personalizzata, dal supporto nel processo decisionale del cliente, fino al setup e all’implementazione della soluzione più efficace”.

Imprese familiari e risorse umane

Le imprese familiari italiane, come ricordato dal Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, denotano un’elevata incidenza della gestione familiare, anche nella selezione dei manager, facendo passare in secondo piano competenza e capacità manageriali:   secondo Matteo Manzardo (Vice Presidente Vicario Confimi Industria Gruppo Giovani), “da un lato le PMI devono prendere coscienza dell’importanza di essere affiancati da manager competenti, d’altro lato la classe manageriale deve uscire dalle teorie dei grandi manuali e calarsi nel modo sartoriale, diventare a misura di PMI.

Sempre critico il tema del passaggio generazionale come testimoniano le illuminanti  evidenze portate da Manzardo: “un giovane imprenditore su tre (il 33,9%) ha pensato di vendere o cedere l’attività, 1 su 4 lo farebbe se fosse l’unico titolare. C’è poi quasi un 40% (37,3%) che avrebbe effettuato una fusione. C’è poi chi (28% degli intervistati) ispirato a innovativi modelli di relazioni industriali ha pensato di creare una compartecipazione societaria con i collaboratori attualmente dipendenti.

Come sempre nello scontro tra generazioni le difficoltà non mancano: il riconoscimento della leadership da parte dei collaboratori, l’assenza di deleghe da parte dei predecessori e, su tutte, la mancanza di autonomia decisionale su quelle tematiche dove la cultura è maggiore rispetto ai familiari, come può essere il caso della tecnologia.

Ma non si tratta solo di avvicendamenti familiari: 9 giovani imprenditori su 10 ritengono che il passaggio generazionale sia da affrontare anche tra i dipendenti.

La crescita che ci si attende da parte delle piccole e medie industrie è che si arricchiscano di un sistema di deleghe chiaro, con comunicazione efficace e trasparente tra i vari livelli. In poche parole, che si strutturino su di un modello di managerializzazione delle stesse valorizzando però nel contempo le specificità delle PMI che sono la flessibilità e l’adattabilità alle esigenze del mercato, alle richieste dei clienti e agli shock del mercato.

Il temporary manager può essere la soluzione migliore per le PMI che hanno potenziale di crescita, ma non sono ancora sicure di investire in una risorsa a tempo pieno da inserire in organico”.

Sul tema HR, si è espresso Francesco Amendolito (Referente nazionale di AIDP-PMI e Presidente di AIDP Puglia): “il gruppo di interesse nazionale sulle PMI che guido, ha l’obiettivo di elevare cultura e sensibilità delle PMI sulla necessità di dotarsi di competenze manageriali per la gestione delle risorse umane e dare così al capitale umano il giusto e importante ruolo da protagonista, anche nelle organizzazioni aziendali più piccole. Portare competenze manageriali in ambito di gestione delle risorse umane nelle PMI ha una duplice funzione: instillare nella compagine aziendale, seppur piccola, la consapevolezza che una risorsa felice è una risorsa produttiva, che attenzionare i lavoratori significa diminuire l’assenteismo ed il turnover e, di conseguenza, poter prevedere maggiori guadagni per l’azienda; in secondo luogo, includere nella governance aziendale una profilata gestione delle risorse umane significa dare ascolto e risposta agli aneliti di work – life balance che emergono dai lavoratori. Per realizzare tutto ciò, auspico nell’immediato un cambiamento proattivo sia della mentalità sindacale (meno conflittualità e più coesione con le esigenze aziendali), sia della mentalità imprenditoriale (volta a realizzare il work-life balance) sia e, soprattutto, un cambiamento dell’approccio del legislatore nella normativa giuslavoristica e sindacale, che deve rispondere anche alle esigenze delle PMI (es. cassa integrazione, flessibilità dei contratti di lavoro,  tipizzazione dei nuovi lavori). In ambito HR, il TM, nelle versione fractional/part time per le imprese più piccole, può essere una soluzione ottimale ”.

Anche l’amministratore locale ne intravede i benefici: secondo Gianmarco Senna (Regione Lombardia Consigliere e Presidente Commissione Attività Produttive, Istruzione, Formazione e Occupazione): “nonostante in Lombardia ci siano anche segnali oggettivamente positivi, emergono notevoli difficoltà pe gli imprenditori come l’aumento spropositato dei costi energetici e delle materie prime. Si evince anche l’estrema difficoltà di reperire figure professionali (dai tornitori agli operai specializzati in 4.0), di avviare il ricambio generazionale e la inevitabile evoluzione verso la digitalizzazione. Oltre al legislatore che deve dal canto suo fare la sua parte (agendo ad esempio sul rapporto con i Sindacati), anche chi è a capo di una azienda ha il dovere e la possibilità di agire. Pensiamo alle immense risorse a disposizione attraverso i Bandi Europei: siamo la Nazione in Europa che usufruisce meno di questi denari, solo il 40%. Ciò significa che il restante 60% viene restituito e ridistribuito agli altri Paesi. Ecco perché ho deciso di organizzare incontri mensili con imprenditori del territorio e un europrogettista per raccontare meglio come avvicinarsi e poter usufruire di questa grande occasione. Per finire, l’inserimento di nuove figure professionali, come appunto i temporary manager, in grado di coadiuvare l’imprenditore a individuare soluzioni innovative o formule di business diverse, risulta una strada davvero interessante e assolutamente percorribile”.

Maurizio Quarta – Temporary Management & Capital Advisors

www.temporary-management.com

Maurizio Quarta

Maurizio Quarta

Managing Partner di Temporary Management & Capital Advisors

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