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Home - Approfondimenti - Interviste - Rota (Fai-Cisl), i dazi di Trump ci riportano nel secolo scorso. Colpita la spina dorsale del nostro export, temiamo gli effetti sul lavoro

Rota (Fai-Cisl), i dazi di Trump ci riportano nel secolo scorso. Colpita la spina dorsale del nostro export, temiamo gli effetti sul lavoro

di Tommaso Nutarelli
14 Marzo 2025
in Interviste
Rota (Fai-Cisl), i dazi di Trump ci riportano nel secolo scorso. Colpita la spina dorsale del nostro export, temiamo gli effetti sul lavoro

ONOFRIO ROTA SEGRETARIO GENERALE FAI-CISL

Vino, formaggi, pasta. Questi i prodotti dell’agroalimentare made in Italy più colpiti dai dazi di Trump. Una scure che potrebbe farci perdere 1,6 miliardi di euro di esportazioni. Uno scenario che per Onofrio Rota, segretario generale della Fai, la categoria della Cisl che rappresenta i lavoratori agroalimentari, richiede interventi rapidi e comunitari, magari dirottando i fondi della Pac a sostegno dei produttori, e cercando nuovi approdi commerciali. La stima reciproca tra Meloni e Trump potrebbe essere un’arma a doppio taglio. Per Rota non possiamo isolarci commercialmente e politicamente dai nostri partner europei.

Segretario Rota quali saranno le filiere più colpite dai dazi di Trump?

Viticoltura, prodotti lattiero-caseari, conserve animali come gli insaccati, pasta. È su queste realtà che i dazi imposti dall’amministrazione Trump si faranno sentire maggiormente e che costituiscono la spina dorsale delle nostre esportazioni verso il mercato a stelle e strisce, che vale l’11,6% del totale del nostro export agroalimentare. Parliamo di prodotti come il pecorino romano, vini come Montepulciano, Barbera, Prosecco, ma anche il sidro di mele. Secondo i dati Nomisma, Sardegna e Toscana sono le regioni più esposte. Il 49% dell’agroalimentare sardo è destinato agli Usa. I prodotti lattiero-caseari occupano una fetta significativa, il 74%, e non bisogna dimenticare che il 90% del pecorino romano è prodotto sull’isola. Dalla Toscana è diretto negli Stati Uniti il 28% della produzione agricola, con l’olio e il vino che ricoprono il 42 e il 33% delle esportazioni. Ma verso Washington è destinato anche il 58% dell’olio laziale, il 28% di pasta e prodotti da forno abruzzesi e il 26% dei vini campani.

Ci saranno effetti sulla tenuta occupazionale?

È una paura che abbiamo e per questo chiediamo alle aziende di mettersi in moto per evitare che siano i lavoratori a dover pagare il peso dei dazi, tutelando l’occupazione e guardando ad altri mercati.

La ricerca di nuovi mercati di sbocco è una strada percorribile rapidamente o richiede più tempo?

L’Unione europea da tempo ha avviato rapporti di scambio commerciale con i paesi del Mercosur, che comprende buona parte degli stati del Sud America. Quello che noi chiediamo è che ci sia reciprocità in questi rapporti e il rispetto di una clausola sociale, sul modello della Pac, per evitare, come avvenuto con la pesca, che importiamo cibo da paesi che non rispettano il lavoro e l’ambiente. Non dobbiamo dimenticare che esportiamo prodotti di qualità ad alto valore aggiunto che necessitano di un mercato maturo e strutturato, dove ci sia capacità di spesa da parte dei consumatori.

Il fatto di esportare prodotti di qualità non ci dovrebbe mettere a riparo dai dazi? In linea di principio un consumatore americano che è disposto a comprare una bottiglia di vino che vale 200 o 300 euro non dovrebbe avere problemi ad acquistarla anche se costa un po’ di più.

Questo può essere vero per alcuni dei nostri prodotti, ma non scordiamoci che esportiamo anche Prosecco a 35 euro la bottiglia, rivolto a un pubblico medio che in presenza di forti rincari potrebbe optare per altro.

Come filiera che interventi chiedete?

Come nel 2019 vogliamo interventi rapidi e strutturati sul piano comunitario. Dazi come quelli del 2019 potrebbero farci perdere 1,6 miliardi di export. L’Europa deve mettere in campo sussidi e forme di sostegno al reddito ora, quando c’è ancora un’economia da difendere e non quando potrebbe essere ormai troppo tardi. Con la situazione attuale si potrebbe pensare di rivedere anche i fondi della Pac, spostandoli dagli investimenti per aziende e infrastrutture per aiutare i produttori.

Un canale privilegiato tra la presidente del Consiglio Meloni e il presidente Trump potrebbe aiutare il nostro paese?

Con i dazi ripiombiamo nel secolo scorso. Mettere barriere commerciali è una situazione che alla lunga non fa bene a nessuno, sia a chi le impone sia a chi le subisce. Così nessuno vince. Quello che non dobbiamo fare come Europa è dividerci, pensando che ogni paese possa trattare separatamente con Trump. Dobbiamo evitare che un rapporto più stretto tra Meloni e Trump possa metterci in cattiva luce con i partner europei. Teniamo sempre a mente che verso la Francia esportiamo il 6,7% del nostro agroalimentare, il 4,7% verso la Spagna e il 2,5% è destinato alla Germania. Quello che non possiamo permetterci è di essere isolati in Europa sul piano politico e commerciale, anzi, mai come ora abbiamo avuto bisogno di rilanciare il sogno degli Stati Uniti d’Europa.

Tommaso Nutarelli

Tommaso Nutarelli

Tommaso Nutarelli

Giornalista de Il diario del lavoro.

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