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Home - Approfondimenti - Interviste - Berta, risparmio privato e conoscenza, ecco le due strade per tornare a crescere

Berta, risparmio privato e conoscenza, ecco le due strade per tornare a crescere

di Nunzia Penelope
31 Ottobre 2014
in Interviste
Berta, risparmio privato e conoscenza, ecco le due strade per tornare a crescere

Uscire dal ristagno degli investimenti, creare iniziative di sviluppo attraverso una nuova politica industriale,  è possibile: basterebbe smettere di piangere sulle casse pubbliche vuote e provare a guardare oltre. Per esempio, ai ricchi conti correnti degli italiani, che malgrado sette anni di crisi restano, ancora, tra i primi per risparmio in Europa. Ma attenzione, qui non si parla di patrimoniale, anzi: qui si parla di rilanciare gli investimenti produttivi e di farlo in un modo del tutto nuovo. Lo spiega al Diario del lavoro Giuseppe Berta, docente di storia industriale alla Bocconi di Milano.

Insomma Berta, ci sentiamo poveri in canna invece siamo un paese ricco?

Il dato è questo. In Italia i depositi bancari sono ancora molto elevati: basti dire che abbiamo un risparmio pro capite che ammonta a 61 mila euro, contro i 55 mila della Germania.

E allora com’è che non riusciamo a crescere e gli investimenti sono fermi?

Perché i soldi sono bloccati sui conti. Gli italiani non sanno come muoversi, in questa situazione di incertezza economica preferiscono non rischiare investimenti.

Dunque, capitali imbalsamati?

Esattamente. Non guadagnano e non perdono. Siamo in quella che Keynes chiamava la trappola della liquidità. Le misure di Draghi non sono servite a granché, e l’80% dell’economia reale ne è comunque rimasta esclusa. Servono meccanismi nuovi.  E allora la proposta è: perché non trasformare tutto questo risparmio in investimento?

In che modo?

Invece di lamentarci che non abbiamo le risorse per fare politica industriale, si potrebbe studiare un meccanismo che non sia sia affidato solo alle mani del sistema bancario, né alla buona volontà di qualcuno, ma che sia in grado di creare un ponte per incanalare il risparmio privato verso destinazioni produttive. Si potrebbero, per esempio, creare delle specifiche piattaforme produttive locali, anche attraverso le multi utilility: ce ne sono alcune che hanno un indebitamento pari a zero.

Pensa che gli italiani ci starebbero?

Se offrissimo titoli garantiti al 2,5 o 3% a chi destina una parte dei propri soldi in tipologie precise di investimento sul proprio territorio, si: sempre meglio che  tenerli imbalsamati sul conto.  Ma per fare questo, occorre un quadro normativo e giuridico che oggi manca.

E basterebbe questo per rilanciare l’economia?

No, c’è un altro fondamentale elemento su cui fare leva, ed è il capitale umano. Mi spiego meglio.

Oggi una impresa, una impresa sana, cosa fa? produce buoni manufatti e servizi di accompagnamento. Ma la terza cosa che deve produrre è la conoscenza.

Mi faccia un esempio concreto.

Quello della linea di produzione della Maserati di Grugliasco, che conosco bene. Funziona così: se il team leader riscontra un problema, ferma tutto e cerca di trovare una soluzione. Se non ce la fa da solo, si rivolge ai cosiddetti ‘’formatori’’, presenti sulla linea, che lo aiutano a risolvere il problema. La soluzione individuata viene poi immediatamente diffusa a tutto il processo produttivo. Questa è la grande novità: il momento formativo èinserito nella produzione stessa.  Ma sono ancora esperienze limitate a poche imprese: o molto grandi, o con poco personale ad altissimo livello. Funziona così alla Pirelli, alla Tenaris, e poche altre. Insomma, è ancora un patrimonio limitato, mentre dovrebbe essere di tutti.

In pratica, ai lavoratori si chiede più sapere e più responbsabilità? E il sindacato che ne pensa?

Il sindacato, a questo processo innovativo, è del tutto  estraneo. La Fiom ha fatto la sua battaglia con la Fiat senza chiedersi se oggi, in Fiat, si lavora meglio o peggio. E senza accorgersi che sì, oggi si lavora meglio. Questo è un tema che pone il problema della conoscenza, dell’innalzamento della competenza, e dovrebbe essere, quindi, un tema partecipato anche dal sindacato.

Ma di questi tempi il sindacato ha altro a cui pensare. Tamponare le gravissime crisi industriali, per esempio. Idem per quanto riguarda il Governo, che più che alla politica industriale è costretto a occuparsi di far quadrare i conti.

Il governo, ma anche le stesse parti sociali, dovrebbero non limitarsi a tamponare le crisi, ma anche pensare allo sviluppo. Diversamente, non andremo da nessuna parte. Il governo, in particolare, potrebbe assumersi il compito di fornire quel quadro di norme di cui parlavo prima, e che consentirebbero di ricorrere al risparmio come volano per lo sviluppo. Non  credo che tutto dovrebbe sempre arrivare dal centro: in Piemonte, per dire, ci stiamo già muovendo, autonomamente, in questa direzione. Ma un quadro normativo che faciliti simili nuove iniziative è indispensabile, ed è compito di governo e parlamento. Questo intendo, quando dico “fare politica industriale”.

Di Nunzia Penelope

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