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Home - Approfondimenti - Analisi - Con stretta del credito a rischio radici dell’industria italiana

Con stretta del credito a rischio radici dell’industria italiana

14 Giugno 2013
in Analisi

Il problema, naturalmente, sono i soldi. Più esattamente, quelli che non arrivano alle imprese, prolungando la recessione. E’ la stretta al credito che colpisce in modo più duro proprio i paesi più deboli, oggi, dell’eurozona, come Italia e Spagna. Perché Italia e Spagna sono i paesi dove è determinante la presenza della piccola e media impresa e perché, tradizionalmente, queste imprese si finanziano con il credito bancario che, proprio nei due paesi, si è prosciugato. In Italia, ad esempio, il 90 per cento delle imprese si finanzia ricorrendo alle banche, piuttosto che al mercato dei capitali (cioè con azioni e obbligazioni), ma, dalla fine del 2011 ad oggi, le banche hanno tagliato i prestiti di oltre 60 miliardi di euro. Come colmare il buco? Nelle scorse settimane, era stata fatta circolare un’idea assai coraggiosa. Nelle discussioni degli esperti, i meccanismi di questa idea si sono precisati, ma si è anche capito che si tratta di una prospettiva lontana, troppo, probabilmente, per le esigenze di oggi.

Perché coraggiosa? Perché ci vuole coraggio a riesumare lo strumento che ha fatto precipitare la crisi che ha inghiottito la finanza nel 2008: gli Abs, “asset-backed securities, i Cdo, insomma, i titoli-salsiccia. L’idea, infatti, è che una banca raccolga i prestiti effettuati alle piccole e medie imprese in una obbligazione che, in sostanza, trasferirebbe la titolarità di centinaia di piccoli prestiti dalla banca agli investitori sul mercato (preferibilmente, secondo i proponenti, le stesse banche centrali). Il rischio di fallimento di un debitore verrebbe ammortizzato dalla presenza di altre centinaia di debitori ancora solventi. Contemporaneamente, il flusso dei pagamenti degli interessi e dei rimborsi compenserebbe gli investitori, mentre le banche, avendo trasferito altrove il rischio su quei prestiti, si vedrebbero liberate risorse da impiegare in nuovi prestiti, con un circolo virtuoso di rianimazione del credito. Naturalmente, è esattamente il meccanismo che, nel 2008, con i titoli-salsiccia zavorrati dai mutui subprime, ha affondato la finanza mondiale. Anzi, in questo caso, anche peggio, perché se il comportamento dei mutui è, in qualche modo, statisticamente standardizzabile e prevedibile, quello delle singole imprese non lo è affatto, rendendo difficile stabilire prezzi e rendimenti di quel titolo. L’idea, infatti, è praticamente affondata, quando Mario Draghi ha fatto capire che la Bce non intendeva essere direttamente coinvolta in questo intervento a favore delle piccole imprese. Anche se non pare spendibile nel breve termine, tuttavia, l’idea di un titolo-salsiccia a misura di Brambilla è oggi meglio definita. Per aggirare dubbi e riserve, potrebbero essere Banca europea degli investimenti e singole banche a coprire i titoli con la loro garanzia e la destinazione dei titoli, più che il mercato, potrebbe essere presso la Bce, che li accetterebbe come pegno per i prestiti alle banche.

Paradossalmente, è più facile che l’idea prenda corpo quando arriverà la ripresa, piuttosto che in tempi di recessione, quando un’ondata di fallimenti potrebbe far saltare i titoli-salsiccia. Ma, allora, come trovare oggi i soldi, visto che le banche tendono a negare prestiti anche alle aziende sane? A sorpresa, la crisi e la stretta al credito stanno spingendo le aziende italiane verso quel mercato dei capitali, che hanno sempre accuratamente evitato. Nei giorni scorsi, la Caar Spa, una piccola azienda dell’indotto automobilistico e aerospaziale, ha cominciato a collocare sul mercato obbligazioni per un totale di 3 milioni di lire, al tasso del 6,5 per cento. Spiccioli, si direbbe. Ma la Caar fattura, in tutto, 5 milioni di euro l’anno. E la Caar è solo l’ultimo esempio. Negli ultimi mesi, almeno dieci aziende hanno raccolto, in questo modo, sul mercato, quasi 3 miliardi di euro. Dietro questo inaspettato fenomeno, due recenti innovazioni, passate quasi inosservate. La prima è una legge del governo Monti che consente alle aziende di detrarre dalle tasse gli interessi pagati sulle proprie obbligazioni. La seconda è la creazione, presso la Borsa di Milano, di un apposito borsino che consente ad investitori istituzionali, come banche e assicurazioni, di investire nelle obbligazioni, anche di aziende non quotate in Borsa. Potrebbe non finire qui. C’è chi pensa a creare fondi di investimento, mirati specificamente alle piccole aziende. La grande crisi di questi anni potrebbe modificare in profondità le radici dell’industria italiana.

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