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Home - Approfondimenti - Interviste - Santini, non dimenticare l’occupazione

Santini, non dimenticare l’occupazione

1 Agosto 2012
in Interviste

Santini come si presenta questa stagione contrattuale?
Potrebbe essere una buona stagione di contrattazione, ma vanno affrontati, e risolti, alcuni nodi politici.

Quali nodi?
Il primo è l’attuazione dell’accordo interconfederale del giugno dell’anno passato, che è rimasto in pratica lettera morta.

Non è stato applicato?
Purtroppo no.

Come mai?
Perché la crisi ha distolto tutta l’attenzione. E perché non c’è stata in questi mesi una forte contrattazione. Ma quell’intesa è fondamentale, indica come misurare la rappresentatività, come validare i contratti, soprattutto afferma la centralità della contrattazione di secondo livello rispetto a quella nazionale.

E voi adesso volete applicarla?
Per noi è fondamentale. Dobbiamo affrontare lo spostamento del baricentro contrattuale, appunto dal nazionale all’aziendale.

Il contratto nazionale deve sparire?
Assolutamente no, ma deve diventare una regolazione a tratto generale e la contrattazione di secondo livello deve essere il vero momento di regolazione dei problemi esistenti. Questo sarà il banco di prova per i nostri interlocutori imprenditoriali, capiremo se hanno introiettato quei principi oppure no.

La crisi economica peserà sui contratti?
E come altrimenti? Serviranno aumenti salariali in grado di far ripartire la domanda interna. Se così non fosse sarebbe un danno per i lavoratori, che non vedrebbero crescere le loro possibilità di spesa, ma anche per l’economia nel suo insieme. Deve ripartire la domanda interna, ma se lavoratori e pensionati vedono diminuire le loro disponibilità, i consumi non riusciranno mai a crescere.

Gli aumenti previsti dal calcolo dell’Ipca consentirebbero l’aumento della domanda interna?
Sì, se le previsioni dell’Ipca non subiranno modifiche dopo il ricalcolo dell’iva.

Le richieste salariali previste dalle piattaforme rivendicative finora messe a punto debordano dal mero calcolo dell’Ipca.
Sì, ma non è questo il problema, grosso modo ci saremmo, importante è che non ci siano decurtazioni. Poi tutto si baserà sulle forze in campo ai tavoli di contrattazione. Ma la crisi ci impone anche un altro impegno prioritario da non dimenticare al momento della contrattazione.

Quale?
Dovremo risolvere il problema dell’occupazione. Le aziende hanno un surplus di dipendenti che finora sono stati aiutati con gli ammortizzatori sociali, ma va trovata una soluzione.
In che termini?
Con politiche di reimpiego, con la riqualificazione professionale, con i contratti. E’ questo il nostro impegno. Non possiamo evitare di farci carico di questo problema. Dobbiamo trovare uno sbocco per questi lavoratori anche ricorrendo a tutte le strutture bilaterali che abbiamo messo in piedi in questi anni, mettendole alla prova, verificando la loro gestibilità.

La marcia indietro del governo sulla detassazione del salario d’azienda peserà negativamente?
Non potrebbe essere altrimenti. Il governo ha ridotto in maniera notevole la misura della defiscalizzazione e ha ristretto il campo di applicazione. Questo sarà oggettivamente un freno per la crescita della contrattazione di secondo livello e quindi peserà sul decentramento contrattuale per il quale ci stiamo battendo.
 

Le  forze imprenditoriali hanno fatto capire senza mezzi termini che i contratti si rinnoveranno se ci sarà un forte trade off, se cioè loro potranno avere delle disponibilità, delle collaborazioni per far crescere produttività e quindi competitività. Voi come rispondete?
Le aziende hanno avanzato delle richieste, insistendo molto sull’impegno dei lavoratori. Hanno parlato di calendari annui, facendo capire che serve un impegno diverso della forza lavoro. Ma bisogna intendersi. In Italia esiste un forte numero di aziende che  esportano e che devono essere messe in grado di rispondere meglio alle richieste che ricevono. Ma esiste anche un numero anche più alto di aziende che al contrario ha il problema di come saturare il lavoro dei propri dipendenti.

Nel senso che hanno esuberi?
E’ il problema di cui parlavamo prima. Non si può evitare di prendere in considerazione l’intero quadro generale della produzione. Per questo io credo che una soluzione generale sia inutile. Perché aumentare l’orario di lavoro per tutti se poi tantissime aziende devono al contrario ridurlo, magari ricorrendo a contratti di solidarietà?

Quale può essere allora la risposta?
Quella di puntare sul dialogo in azienda. E’ lì che questi temi vanno affrontati, perché lì possono trovare una risposta valida. Noi non ci siamo mai tirati indietro, siamo sempre stati disponibili a cercare con le aziende livelli più avanzati di produttività, ad aiutarle nella loro ricerca di maggiore competitività. E loro possono aiutare questo dialogo riconoscendo in termini materiali questo maggiore impegno che può essere chiesto ai lavoratori.

Questa  stagione contrattuale risolverà il nodo della Fiom?
Quel nodo solo la Fiom può scioglierlo. Con un atteggiamento più attento alla realtà.

L’applicazione dell’accordo del giugno 2011 potrebbe aiutare?
Se arrivassimo, come vorremmo, a soluzioni per il riconoscimento della rappresentatività al livello settoriale, questo sarebbe un elemento importante per sciogliere i nodi esistenti. Ma è la Fiom che deve cogliere l’occasione del fatto che il vecchio contratto del 2008 non c’è più e non sarà mai rinnovato. Dobbiamo guardare avanti, tutti.

Massimo Mascini

redazione

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