Un «impulsivo libretto»: è così che Antonio Padellaro definisce la sua nuova uscita editoriale Antifascisti immaginari (PaperFirst, 96 pagine, 10,00€). E se “libretto” lo è per l’esiguo numero di pagine, piuttosto che di “impulsivo” si potrebbe parlare di provocazione intellettuale intorno allo svuotamento di significato dell’antifascismo, l’ombrello sotto cui la coalizione (o, per chi vuole, l’ammucchiata) a sinistra del parlamento si ripara sostanzialmente per mancanza di riflessione, autocritica e di idee.
Antifascisti immaginari è un j’accuse dall’interno da parte di un autore-giornalista-cittadino francamente di sinistra dichiaratamente refrattario ai manierismi dei “compagni” che nei salotti televisivi, sempre più arene da combattimento con armi per lo più spuntate, si stracciano le vesti nel dare l’allarme sui fascismi di ritorno; quelli che alla prima occasione – una manifestazione di piazza, una diretta, un’audizione, una cena – cantano Bella ciao con lo stesso ritmo con cui si recitano le tabelline; quelli che sotto sotto sperano in una nuova secessione dell’Aventino o un confino a Ventotene, stavolta però su comodi canapè, per difendersi da nemici immaginari. Perché l’antifascismo contro cui si scaglia Padellaro è immaginario a fronte di un fascismo che lo è altrettanto, ai quali “je piacerebbe” (espressione plastica di una tensione velleitaria) essere assimilati in qualche modo alla tragica serietà della Storia. Avendo, però, rossi e neri, dragato la sostanza delle idee – in buona o cattiva fede -, si sono ridotti a una patetica mimesis, allo scimmiottamento di quella Storia senza nemmeno provare a scriverne un nuovo corso.
E se pure Padellaro non lesina in un giudizio travestito da analisi (come francamente non manca di ammettere) contro la destra-destra al governo, il vero bersaglio di questo pamphlet (venato di quella stessa ironia che dice mancare agli altri) è la sinistra. La destra giornalistica e televisiva, scrive, ha affermato «non a torto, che la sinistra ha trovato il suo nuovo federatore: Benito Mussolini. Davvero il solo modo per cementare una coalizione divisa su quasi tutto consiste nell’esorcizzare una dittatura che non c’è più tentando di infilare a viva forza stivaloni, fez e camicia nera agli avversari che li hanno battuti nelle urne del 2022?». Pigrizia intellettuale, la loro? Mancanza di acume? No: totale assenza di visione storica. Dimentichi totalmente del sacrificio di coloro i quali resistettero e contribuirono alla disfatta della dittatura, l’«antifascismo da parata» dei sedicenti partigiani del nuovo secolo non c’entra niente con gli italiani che versarono il loro sangue per restituirci la libertà – «costoro sembrano ignorare la complessità di scelte di vita, giuste o sbagliate, che si contorcono nel dubbio e nella contraddizione» – profondendosi in esibizioni controproducenti che piuttosto avallano l’altrettanto ridicola postura delle controparti a braccia tese.
Ma non una prospettiva inedita. «Non abbiamo fatto nulla perché i fascisti non ci fossero. Li abbiamo solo condannati gratificando la nostra coscienza con la nostra indignazione. E più forte e petulante era l’indignazione, più tranquilla era la coscienza. In realtà ci siamo comportati con i fascisti (parlo soprattutto di quelli giovani) razzisticamente: abbiamo cioè frettolosamente e spietatamente voluto credere che essi fossero predestinati razzisticamente a essere fascisti, e di fronte a questa decisione del loro destino non ci fosse niente da fare. Li abbiamo subito accettati come rappresentati inevitabili del Male». A parlare è Pier Paolo Pasolini. Isolandoli e quasi mitizzandoli, gli antifascisti dell’ultima orahanno dato loro nuova linfa cristallizzandoli in un’ideale sorpassato ma forse mai digerito (e con il quale i fascisti, e gli italiani in generale, non hanno fatto ma davvero i conti). Ed è qui che sta il punto della breve trattazione: «Cosa direbbe Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo se nella cella di via Tasso avesse potuto immaginare lo spettacolino che sarebbe stato prodotto, ottant’anni dopo, con l’uso posticcio e desolante di un’epopea, la Resistenza al nazifascismo?». E ancora: «Che pena rileggere questi ritratti del coraggio”, quelli dei veri eroi della resistenza, “mentre in qualche studio televisivo o in qualche piazza risuonano le grida indignate dell’antifascismo immaginario che percuote verbalmente un nemico altrettanto immaginario».
Per Padellaro, in buona sostanza, l’antifascismo delle «facce da Ventotene» (felice espressione di Marco Travaglio, autore della prefazione) è una pressapochista rappresentazione scenica volta a infondere sostanza alla paura degli autoritarismi che si pretende stiano resuscitando («Ripetere stereotipi però non fa bene, se tutto è fascismo niente più è fascismo», ha dichiarato in un’intervista al Corriere), ma dal suo punto di vista strumentalizzare il valore della Resistenza è una bestemmia da esorcizzare e dinanzi alla quale non si può tacere per il solo timore di una bolla di revisionismo (come accadde, sostiene Padellaro, a Giampaolo Pansa con il volume Il sangue dei vinti). Occorre riprendere i valori dell’antifascismo: capirli, farli propri e metterli da parte, ma soprattutto rispettarli e usarli non come jolly per tentare di mettere in scacco l’avversario – come, ad esempio, pretendere l’abiura da Meloni&co, che sarebbe sostanzialmente pretendere una menzogna.
Certo è difficile non farsi irritare (o irretire) dalla posizione di Padellaro, che sembra davvero fuori sincrono rispetto ai dissesti di questa epoca – e forse per questo inopportuna – e il riferimento a Pansa, piuttosto straniante, appare come una sorta di secessione all’incontrario per accreditarsi come vittima del pensiero dominante (woke, visto che va tanto di moda). Ma non bisogna perdere di vista alcuni passaggi: il sacro dovere del pluralismo che in questo caso non è ideologico, quanto piuttosto analitico; il fatto che Padellaro sia un fine osservatore, che pure alla mediaticità bistrattata partecipa e conosce i meccanismi dell’infotainment; l’urgenza non più derogabile di smettere di sottovalutare l’elettorato, molto più accorto di quanto si creda e per questo disamorato della (e dalla) politica. Più che una critica alla sinistra, quindi, il libro di Padellaro può essere inteso come un manuale di auto-aiuto per i rappresentati dell’opposizione e un invito loro rivolto a dismettere la cultura del piagnisteo per cercare soluzioni di onestà storica ed efficacia presente.
Elettra Raffaela Melucci
Titolo: Antifascisti immaginari
Autore: Antonio Padellaro
Editore: PaperFirst
Anno di pubblicazione: 2025
Pagine: 96 pp.
ISBN: 979-1255430841
Prezzo: 10,00€