Con la sentenza n. 9612 del 30 aprile 2025, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, torna a occuparsi del delicato rapporto tra potere disciplinare del datore e diritto di sciopero dei lavoratori, riaffermando un principio cardine: è nullo il licenziamento intimato per la partecipazione ad uno sciopero, anche se questo è stato attuato senza formale proclamazione sindacale e al di fuori delle procedure previste dal contratto collettivo.
Il caso riguardava un lavoratore licenziato per aver partecipato, insieme a due colleghi, a un’astensione collettiva dal lavoro della durata di circa un’ora, motivata dalla contestazione del trattamento retributivo ritenuto inadeguato. Lo sciopero, avvenuto nel giorno in cui erano state distribuite le buste paga, non aveva causato danni, disservizi né interruzioni apprezzabili del servizio. I lavoratori avevano ripreso l’attività subito dopo l’intervento del responsabile aziendale.
L’azienda, ritenendo illegittima l’astensione per mancanza di proclamazione formale, preavviso e tentativo di conciliazione (come previsto dal CCNL di settore e dalla legge 146/1990 per i servizi pubblici essenziali), ha intimato il licenziamento.
Il Tribunale, la Corte d’Appello e infine la Cassazione hanno però dato torto alla società, dichiarando nullo il licenziamento per violazione dell’art. 15 della Legge 300/1970.
La Corte ha ribadito un orientamento consolidato: il diritto di sciopero, sancito dall’art. 40 della Costituzione, non necessita – al di fuori dei servizi pubblici essenziali – di proclamazione sindacale, né di preavviso, né di particolari formalità. Conta la sostanza: l’esercizio collettivo e solidale di un’astensione dal lavoro per la tutela di interessi comuni dei lavoratori.
Lo sciopero, scrive la Cassazione, è legittimo anche se deciso spontaneamente dai lavoratori, purché non sfoci in condotte penalmente illecite o tali da compromettere irreparabilmente l’attività produttiva aziendale.
Nel caso specifico, l’astensione:
- è avvenuta collettivamente (3 lavoratori su 5),
- aveva finalità salariali, legate a un interesse oggettivamente comune,
- si è protratta per meno di un’ora e
- non ha prodotto disagi, danni o pericoli.
Pertanto, non sono stati superati i cosiddetti “limiti esterni” al diritto di sciopero (ossia le soglie oltre le quali lo sciopero diviene illecito in quanto lesivo di diritti di pari rango costituzionale, come la sicurezza, l’incolumità, la libertà altrui o la sopravvivenza dell’impresa).
Il licenziamento intimato per motivo illecito e in violazione dell’art. 15 dello Statuto dei Lavoratori è da considerarsi nullo. La Corte precisa che ciò comporta l’applicazione dell’art. 2 del d.lgs. 23/2015 (contratti a tutele crescenti), che riconosce la reintegra piena e il risarcimento del danno.
Importante notare come, anche alla luce del nuovo regime dei licenziamenti introdotto dal Jobs Act, la nullità ex lege produce effetti pienamente reintegratori e non riducibili a sola tutela indennitaria.
La Cassazione, riprendendo principi già affermati in precedenti sentenze (Cass. 23552/2004, 4260/1984, 6177/1985), precisa che non rilevano:
- l’assenza di proclamazione sindacale,
- il mancato preavviso al datore di lavoro,
- la mancata attivazione di procedure conciliative,
- la pretesa “irragionevolezza” dello sciopero o delle sue rivendicazioni.
Anche una forma minimale e spontanea di sciopero è pienamente tutelata, se rispetta i limiti
La sentenza riafferma il valore civile e giuridico dello sciopero come strumento di autodifesa legittima. In un tempo in cui l’atomizzazione del lavoro e la precarietà inducono molti alla rinuncia del conflitto, questa pronuncia ricorda che i diritti fondamentali non si chiedono col cappello in mano: si esercitano.
Lo sciopero, finché resta nei suoi binari costituzionali, è una locomotiva. E il datore, se tenta di fermarla col licenziamento, è destinato a fermarsi per mano giudiziale.
Biagio Cartillone