La sinistra stordita e incerta di questi anni ha i suoi problemi. Ma anche la destra rampante ha il mal di testa. Alla sinistra europea mancano una bussola e una mappa, per decidere cosa vuole e cosa fare. La destra ha le idee chiarissime su cosa vuole e cosa fare e non le mancano nè bussola, nè mappa. Il problema è che non ne ha una, ma due e queste bussole e queste mappe e indicano due percorsi diversi, anzi opposti.
Il mal di capo della destra si chiama Trump. Per un verso, è una sorta di trionfo per procura. Ecco il leader della maggior potenza occidentale, per decenni presa a modello e ad esempio, che proclama fieramente il suo nazionalismo, la sua spregiudicata voglia di affermazione, l’ambizione di cambiare regole e riti del globalismo. La guerra delle culture diventa una marcia inarrestabile che travolge ogni ostacolo: immigrati arrestati e deportati senza troppi scrupoli, liberali in castigo, democrazia irregimentata, grandi centri di resistenza come università e media messi nell’angolo. Fino al cuore del populismo: l’investitura della maggioranza elettorale come carta bianca per l’esercizio senza vincoli del potere. Tutto quello che i populisti nostrani vorrebbero fare, ma sono attardati da troppi inciampi. Basta politicamente corretto, sensi di colpa per il passato, espiazioni antirazziste, trans, Me too. Quanto in Europa – dove, in Italia, in Francia, in Germania, la leadership di destra è in mano a donne come Meloni, Le Pen, Alice Weidel – sia chiaro che l’impronta è bianca, maschile e patriarcale, tre componenti indissolubilmente e volutamente legate l’una all’altra, non risulta immediatamente evidente. Ma, per ora, non rappresenta un ostacolo. Mentre con unanime entusiasmo la destra europea accoglie il rifiuto netto e pregiudiziale dell’ambientalismo e dei sacrifici che esso comporta.
Insomma, MAGA – Make America Great Again – forever. Ma come si declina lo stesso slogan di qua dell’Atlantico? Qui le cose si complicano. Trump ha un profondo disprezzo, anzi, rancore verso l’Europa, le sue istituzioni e ciò che rappresentano in materia di globalismo, di multilateralismo, di attenzione ai diritti, di difesa dell’ambiente. E’ il riassunto di tutto ciò che lui vuole l’America non sia. E, anche qui, incontra l’entusiastico consenso del populismo di casa nostra, da sempre euroscettico e che, anche se il disastro Brexit ha placato ogni istinto di scissione, continua a premere per un drastico ridimensionamento dei poteri e delle competenze di Bruxelles. Meno Europa, dunque. Ma il rancore di Trump verso l’Europa ha anche radici molto concrete: il surplus commerciale, frutto di una maggiore capacità industriale. Più la tenace campagna Ue per frenare – anche a suon di dolorose multe – lo strapotere nel mondo digitale di Silicon Valley e dintorni, ovvero di quelli che sono diventati i migliori amici del presidente, da Bezos a Zuckerberg, da Apple a Google. Due spine anche più indigeste, perché l’Europa, nel suo insieme, è un interlocutore che pesa, nell’economia globale, quanto l’America e fare la voce grossa non basta.
E allora? Il Trump dei dazi universali è lo stesso Trump che deporta gli immigrati, ma questo qui mette le mani nei portafogli europei. Il protezionismo degli altri – come poteva essere evidente anche prima – è una minaccia letale per una economia che ha costruito la sua prosperità sulle esportazioni. E le leader della destra non possono aggirarlo. “Scelta sbagliata” quella di Trump, dice Giorgia Meloni. “Queste tariffe sono troppo aggressive e controproducenti” rincara Alice Weidel, che guida l’AfD tedesca. Germania e Italia – i due paesi che guidano l’industria manifatturiera europea – sono le più colpite dall’offensiva di Trump sui dazi, ma il problema riguarda tutta Europa. I ricaschi sull’economia di una riduzione dell’export verso l’America vanno, infatti, a colpire specificamente fasce di elettori che forniscono un contributo significativo alle fortune politiche dei partiti di destra.
Il loro rischio è che l’impopolarità che Trump si guadagna con i dazi si rifletta su tutta la piattaforma populista. Le incursioni di Elon Musk e J.D.Vance a favore delle formazioni di destra europee rendono ancora più difficile separare trumpismo e suoi effetti economici. Ma non saranno i buoni rapporti personali a stoppare l’ossessione doganale del presidente americano. MAGA, alle dogane, si ferma solo con MEGA – Make Europe Great Again – ovvero con il potere contrattuale che dà all’Europa unita un’economia che pesa, negli scambi mondiali, anche più di quella americana. Il nazionalismo, oggi, non può non essere europeo: un paradosso duro da digerire per la destra. Certo, le tariffe di Trump non si fermano con MIGA – Make Italy Great Again. Lo sanno anche i populisti di casa nostra. Ma Bruxelles o rovina è l’ultimo degli slogan che la destra europea avrebbe voluto intonare.
Maurizio Ricci