Dopo averne detta una giusta, ossia che i professori devono evitare di infliggere compiti agli studenti la sera prima dell’interrogazione o durante le vacanze, il ministro della Pubblica istruzione è immediatamente tornato a essere sé stesso. E ha varato un disegno di legge, insieme a tutto il governo, che istituisce corsi di educazione sessuale nelle scuole ma solo se gli insegnanti avranno ottenuto prima il consenso delle famiglie: “Il provvedimento – ha spiegato Giuseppe Valditara – prevede che i genitori siano pienamente informati sulle iniziative didattiche che affrontano temi delicati come la sessualità. Se il consenso viene negato, la scuola dovrà offrire agli studenti un’attività formativa alternativa”. I ragazzi della scuola primaria invece non avranno neanche questa possibilità di scelta, a loro verrà insegnata solo la biologia.
I più grandi invece, ovvero quelli che frequentano le superiori, dovranno avere l’autorizzazione dei genitori per poter imparare una materia che in molti casi già praticano ma che magari praticano male e in modo rischioso (malattie o gravidanze indesiderate), evidentemente il ministro non si fida dei suoi insegnanti, e teme che le loro lezioni sul sesso possano turbare gli studenti. Meglio che la famiglia sappia, controlli ed eventualmente autorizzi, come se non fosse ormai chiaro a tutti che spesso e volentieri le famiglie sono reticenti a parlare di sesso con i propri figli, lasciandoli così nell’ignoranza. Oppure che gran parte degli abusi sessuali avviene proprio in famiglia, spesso perpetrati dai padri nei confronti delle figlie. Ma va premiata la famiglia, quella tradizionale ovviamente, dogma ideologico del governo attuale. A cominciare dalla sua premier Giorgia Meloni, che evidentemente teme il confronto con una trattazione non dogmatica e magari più empirica della questione: meglio appellarsi ai papà e alle mamme per arginare la presunta “deriva morale” in corso d’opera nel nostro e in molti altri paesi occidentali, come spesso ripete il ministro Matteo Salvini.
Bisognerebbe allora – seguendo il “ragionamento” di Valditara – sottoporre al controllo familiare tutto l’insegnamento scolastico: la storia può essere interpretata in un modo o nell’altro, quale sarebbe quello giusto per il governo? Stesso discorso per le scienze, discusse pubblicamente sui giornali, in televisione e al bar (basta pensare al Covid e ai vaccini) e in evoluzione continua, così come l’arte e la letteratura. I quadri che raffigurano donne e uomini nudi sono osceni per il ministro? E le novelle del Decamerone di Giovanni Boccaccio? Che si fa, si sottopone tutto l’insegnamento al controllo preventivo dei genitori? Tanto varrebbe abolire la scuola e lasciare che ogni ragazzo resti chiuso dentro casa e impari quel che i genitori intendano insegnargli, qualora ne fossero in grado. Bisognerebbe però abolire i cellulari e tutti gli apparecchi informatici che consentono di entrare nelle Rete, lì dentro le mamme e i papà non ci sono, mentre è proprio lì che si annida il peggio del peggio dal punto di vista sessuale, a cominciare dai video degli stupri che gli stessi stupratori diffondono fieri della loro porcata e a seguire con i famigerati revenge porn, ovvero la messa in pubblico di foto e video che una ragazza ha inviato al fidanzato (o presunto tale) il quale ha poi “girato” il tutto ai suoi amici. Provocando la vergogna della ragazza che a volte è anche sfociata nel suo suicidio.
La filosofia (chiamiamola così) che sostiene l’iniziativa di Valditara va ben oltre la questione sessuale, è l’ideologia generale della destra che vede nella sfera privata la parte migliore della società a scapito di quella pubblica, quando invece la cronaca ma anche la storia dicono esattamente il contrario. Eppure dovrebbe essere ormai evidente anche ai più ottusi che “c’è solo la strada su cui puoi contare, la strada è l’unica salvezza, c’è solo la voglia e il bisogno di uscire, di esporsi nella strada e nella piazza. Perché il giudizio universale non passa per le case, le case dove noi ci nascondiamo…”. E’ una canzone scritta e cantata di Giorgio Gaber nel 1974, vale la pena leggere tutto il testo per capire che la scuola è un pezzo della strada e per “conoscere chi siamo”.
Riccardo Barenghi