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Gli scioperi a catena della Svezia contro Musk

Maurizio Ricci
Novembre13/ 2023

È un conflitto minuscolo e lontano, ma chiama in causa un enorme bagaglio culturale e storico, con ripercussioni sulle due sponde dell’Atlantico. Protagonista forse il più brillante, certo il più detestato fra i grandi leader dell’economia di frontiera, tutt’altro che restio a mettere i piedi nella politica e, ora, impegnato a vincolare il presente, per cancellare il passato e ridisegnare il futuro. In termini meno roboanti e più comprensibili: riuscirà Elon Musk, il demiurgo della Tesla e di Twitter, a rovesciare le regole del gioco sindacale in un bastione delle prerogative della classe operaia, come la Svezia, imponendo, invece, la fabbrica all’americana, rifiuto del sindacato compreso?

Alla Tesla di Svezia, che non fabbrica auto, ma le vende e le assiste, i dipendenti hanno scelto di aderire all’IFMetall, il locale sindacato dei metalmeccanici. Ma Musk non tratta con i sindacati: nessuno dei suoi 127 mila dipendenti, sparsi per il mondo, è coperto da un contratto collettivo di lavoro. Dunque, la TM Sweden (come si chiama la Tesla in Svezia) ha rifiutato di sottoscrivere l’abituale contratto, valido in tutte le fabbriche e gli uffici del paese.

A fine ottobre, di conseguenza, i dipendenti di TM Sweden si sono messi in sciopero. Sono solo 130, ma, in Svezia, i contratti sono una cosa seria. Subito i 470 meccanici che assicurano l’assistenza hanno annunciato che non avrebbero più lavorato sulle auto di Musk. Ma non finisce qui. A Musk non sfugge che firmare il contratto di lavoro in Svezia significa creare un precedente, in grado di ripercuotersi su tutte le sue fabbriche nel mondo, a cominciare dagli Stati Uniti, dove proprio il sindacato dell’automobile è reduce da importanti, recentissime, vittorie. Ma, ancor più, a nessuno in Svezia sfugge che è in ballo un principio basilare della società svedese, un nodo centrale nel tessuto sociale del paese: il 90 per cento dei lavoratori svedesi è coperto da un contratto collettivo e gli stessi imprenditori lo ritengono una garanzia contro tentazioni di concorrenza sleale.

E così, la resistenza a Musk si è estesa a macchia d’olio.

Una settimana dopo l’inizio dello sciopero alla Tesla, i portuali hanno annunciato che non avrebbero più scaricato le auto di Musk nei porti di Malmoe, Goteburg, Trelleborg e Soedertalje, i quattro principali di Svezia. Con minaccia acclusa: se la Tesla non cede entro venerdì prossimo, il blocco sarà esteso a tutti i porti del paese. Visto che fabbriche, in Svezia, non ci sono, questo vuol dire niente più Tesla in arrivo. Tanto per chiarire che cosa c’è in ballo, il relativo sindacato in Norvegia ha detto di essere pronto allo stesso boicottaggio: niente Tesla neanche passando da Oslo.

Poi, sono scesi in campo gli elettricisti: se la Tesla non ci ripensa e non firma il contratto, sempre da venerdì prossimo, niente manutenzione sulla rete che serve 10 officine e 213 stazioni di ricarica Tesla. “Se qualcosa si rompe, nessuno la aggiusta”, ha chiarito il sindacato degli elettricisti. Problema non piccolo, in un paese in cui il 63 per cento delle auto nuove è elettrico e la Tesla Y è uno dei modelli più venduti.

Gli annunci di solidarietà sindacale si sono susseguiti a raffica. Niente pulizie negli uffici e nelle officine Tesla e, da lunedì 20, niente posta, lettere e pacchi: i postini boicotteranno Musk. E le officine di verniciatura respingeranno le Tesla. La protesta si è estesa anche al di fuori del mondo sindacale: i tassisti di Stoccolma non compreranno macchine Tesla, fino a quando la vertenza non si risolve.

L’azienda non parla (“decidono in America”, hanno fatto sapere) ma, intanto, Musk reagisce, rispolverando gli strumenti base della lotta antisindacale all’americana. Nessuna legge svedese lo obbliga a firmare i contratti e, secondo molte voci, l’azienda sta già ricorrendo ai crumiri. Se la solidarietà tiene, tuttavia, neanche questi mezzi estremi saranno sufficienti: neanche Musk può infilare crumiri alle poste. Nel 1995, in una situazione analoga, il gigante Usa dei giocattoli, Toys-R-Us, cedette dopo tre mesi di sciopero, firmando il contratto.

Come finirà? Molti pensano che, pur di non mollare, Musk preferirà andarsene dalla Svezia. Tuttavia, potrebbe non bastare. Il problema si ripresenterà, tale e quale, in Germania dove i 12 mila (e non 130) addetti alla sua nuova fabbrica di batterie hanno scelto di aderire all’IG Metall, il potente sindacato tedesco dei metalmeccanici. Difficilmente, l’IG Metall accetterà di farsi aggirare. Il braccio di ferro fra le regole europee e il Far West americano è appena cominciato.

Maurizio Ricci

Maurizio Ricci

Giornalista