Le privatizzazioni annunciate su Eni e Poste mettono d’accordo i sindacati che, per una volta, se la prendono col governo all’unisono, e senza alcun distinguo tra Cgil e Cisl. “Gli assett strategici si difendono, non si svendono. Non e’ dando via i gioielli di famiglia che si fanno quadrare i conti”, avverte Luigi Sbarra, chiedendo una immediata convocazione da parte del ministro Giorgetti: “Il ministro dell`Economia convochi subito le parti sociali e metta in chiaro cosa ha in mente: se come temiamo tutto si riduce a un`esigenza di bilancio, suggeriamo noi a Giorgetti dove prendere le risorse: dall`aumento della tassazione sulle grandi rendite immobiliari e finanziarie, da un contributo di solidarietà su extraprofitti delle multinazionali, dagli sprechi della spesa pubblica ad un riordino degli incentivi dati a pioggia alle imprese, dal recupero dei fiumi di denaro sottratti da evasione, elusione e corruzione”. Ogni operazione di cessione di aziende pubbliche, insiste il leader Cisl, “va negoziata preventivamente con il sindacato e vincolata, oltre che a solide clausole sociali, anche all’evoluzione partecipativa della governance. In caso contrario, pezzo dopo pezzo, si apre al rischio di ripercussioni sotto il profilo occupazionale, produttivo, industriale. Questo va scongiurato ad ogni costo”.
Stessa identica presa di posizione arriva dalla Cgil: “Al solo scopo di fare cassa si adotta una soluzione vecchia, già sperimentata e fallimentare, che invece di migliorare l`apparato industriale del Paese in passato ha distrutto campioni nazionali pubblici e le grandi aziende private che si erano sviluppate a sostegno del business principale, con l`unico beneficio per gli azionisti che si sono arricchiti grazie agli enormi dividendi”, dichiara il segretario confederale Pino Gesmundo, in seguito alla notizia della cessione da parte del ministero dell’Economia del 2,8% del capitale sociale di Eni. Una operazione, oltretutto, “non conveniente dal punto di vista economico, come ha dovuto ammettere anche il ministro Giorgetti”, in quanto la vendita delle azioni possedute dal Mef “avrà in realtà un effetto negativo per i conti dello Stato, che a causa dei mancati incassi per i dividendi vedrà ridursi le entrate in maniera maggiore della riduzione della spesa per gli interessi sul debito”. Inoltre, si “indebolirà ancora di più il ruolo di Eni sul processo di transizione ambientale proprio nel momento in cui l’Italia dovrebbe concentrare tutti i suoi sforzi per recuperare i ritardi accumulati, che rischiano di produrre pesanti danni per l’economia del nostro Paese, relegando l’Italia a ruolo di mero mercato europeo e non più di nazione industriale d’Europa”.
Se a questo aggiungiamo le voci sulla vendita di quote azionarie di Ferrovie dello Stato e dei porti, insiste il sindacalista di Corso Italia, il quadro è completo: “il privato entrerà nelle leve di comando degli asset strategici del Paese condizionando le scelte del Governo”. Quanto a Poste Italiane, per Gesmundo “nonostante il Governo continui a dire che il controllo resterà nelle mani dello Stato, con la cessione di una quota significativa delle azioni il nuovo management farà esattamente quello che è stato fatto in Telecom, Autostrade, Alitalia, ossia tagliare gli investimenti e i servizi sul territorio. Nel medio lungo periodo – aggiunge – sarà inoltre ridimensionata la capacità di Poste di attrarre il risparmio privato con una decurtazione di quelle entrate che oggi rappresentano il flusso economico di Cassa depositi e prestiti”.
E proprio contro la cessione di Poste sabato a Roma si terrà una manifestazione di protesta, a Piazza Santi Apostoli, organizzata da tutti i sindacati del Lazio (SLP CISL – SLC CGIL – UIL POSTE – CONFSAL COM – FAILP CISAL – FNC UGL COM) per contrastare la “svendita” di Poste Italiane. “Poste Italiane è la più grande azienda di servizi del nostro Paese, non soltanto per le sue dimensioni, la sua capillarità, i suoi asset strategici e i suoi primati produttivi, ma anche e soprattutto per la sua funzione sociale, elemento imprescindibile di garanzia e sviluppo all’interno del sistema Paese”, sottolineano gli organizzatori della protesta. Pertanto, prosegue la nota, “tutte le decisioni che la riguardano coinvolgono inevitabilmente anche i cittadini della nostra Regione e le loro tutele, con inevitabili chiusure e razionalizzazioni dei presidi nelle realtà periferiche, riduzione dei sevizi offerti, rischio di sopravvivenza della filiera del recapito della corrispondenza e della stessa coesione sociale e territoriale del Paese”. Preoccupazione anche per quanto riguarda i posti di lavoro: “sono più di 16000 i lavoratori applicati nel Lazio, questa operazione avrà ripercussiono sull’occupazione e sull’economia dell’intera regione. Per questi motivi un’ulteriore fase di privatizzazione per il sindacato non è accettabile”.
Redazione