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Home - Rubriche - Poveri e ricchi - Lavoro: il picco e i buchi

Lavoro: il picco e i buchi

di Maurizio Ricci
9 Dicembre 2024
in Poveri e ricchi
Lavoro, Istat: nel I trimestre +513mila occupati, disoccupazione cala all’8,3%

Gli italiani stanno raggiungendo il picco di occupazione? La frase si presta ad essere accolta con ilarità e sarcasmo. E, invece, va presa sul serio. Perché la risposta corretta è: sì e no. Al di sotto della buona notizia dell’aumento dell’occupazione in questi ultimi anni, infatti, si muovono processi poco incoraggianti: non è bello sapere che chi lavora ha sempre più spesso i capelli bianchi. E se si prova a sbottigliare l’ingorgo in vista fra domanda e offerta sul mercato del lavoro si va a sbattere, una volta di più, non solo contro l’ipoteca demografica, ma anche contro la maledizione storica della frattura del paese e della questione meridionale.

Se volete sorridere, considerate come si è mossa l’occupazione in percentuale, rispetto alle classi di età corrispondenti, dal 2019 ad oggi. E’ il trionfo (finalmente) dell’occupazione giovanile: rispetto al totale dei giovani fra i 25 e i 34 anni, il numero di quelli che ha un lavoro è salito, in cinque anni, di un corposo 7 per cento, mentre quello degli adulti(35-49 anni), rispetto al totale della loro classe d’età è comunque cresciuto del 3 per cento. Eccola la storia luminosa dell’aumento di occupazione. O no? Attenzione, perché la parola chiave, nelle righe precedenti, è “totale”, per la classe d’età. E la spia che qualcosa non torna è che dopo i giovani, l’aumento percentuale più consistente di occupati è dei lavoratori a ridosso della pensione, cresciuti (rispetto al totale dei coetanei) del 5 per cento.

Guardiamo, infatti, non le percentuali, ma i numeri assoluti. In cinque anni, i giovani al lavoro sono aumentati sì, ma in tutto di 250 mila persone. L’occupazione ha premiato invece gli ultracinquantenni: 1,2 milioni, quasi cinque volte i giovani, hanno trovato lavoro, dal 2019 ad oggi. Ma, nella fascia centrale, quella considerata più produttiva – ancora giovani, ma esperti – di lavoratori fra i 35 e i 49 anni è una implosione: nelle fabbriche, negli uffici, nei magazzini e sui camion ce ne sono 700 mila in meno. E, nei prossimi anni, dunque, ce ne saranno solo 250 mila a rimpiazzarli. E’ l’immagine plastica della crisi demografica, guardata con la lente dell’economia: alle spalle delle coorti con la pensione già in vista, la catena di lavoratori si assottiglia sotto il livello di guardia.

Qui si rischia di raggiungere il picco dell’occupazione, ma scivolando verso il basso. E’ il motivo centrale di chi sostiene che, dalla crisi demografica, si esce solo regolando la valvola dell’immigrazione. Per cogliere i frutti di un (per ora, comunque, fantomatico) boom di nascite, infatti, bisognerebbe comunque aspettare in termini di decenni. E il serbatoio di potenziale manodopera femminile e giovanile (peraltro del tutto inadeguato a colmare il buco in vista sul mercato del lavoro) è, comunque, sbilenco. Ricorrervi richiede una trasformazione profonda del paese: o supponendo una ondata migratoria stile anni ‘60 o un boom dell’economia meridionale che aspettiamo invano da due secoli.

Il punto è semplice. I giovani e le donne da chiamare a raccolta per colmare i buchi del mercato del lavoro, al Nord non ci sono. E, tutto sommato, neanche nell’Italia centrale. Quelli che ci sono, sono nel Mezzogiorno. Il tasso di occupazione, in Italia, è basso, rispetto al resto d’Europa, ma proviamo a scorporarlo.

L’86 per cento degli adulti maschi fra i 25 e i 34 anni, nel Nord, e l’82 per cento al Centro ha un lavoro o lo sta cercando. Fra i 35 e i 44 anni, al Nord, si sale al 94 per cento e, al Centro, oltre il 91 per cento. Fra i 44 e i 54 anni, lavora oltre il 93 per cento degli uomini al Nord (e quasi il 95 per cento nel Nord Est), il 90 per cento nelle regioni centrali. Che spazi di aumento di lavoratori ci possono essere, con un tasso di occupazione che è già ben sopra l’80 per cento e arriva fino al 94-95 per cento?

E il serbatoio dell’occupazione femminile? Nel Nord e nel Centro, le donne sul mercato del lavoro sono più o meno sempre intorno al 75 per cento, in ogni classe d’età. Nel Nord Est, oltre i 45 anni e oltre il periodo del maternità, si supera l’80 per cento. Se non fosse irrispettoso, si potrebbe dire che, per aumentare l’occupazione femminile, in due terzi d’Italia, bisogna andare a raschiare il fondo del barile.

I margini ci sono nel Mezzogiorno. Fra i 25 e i 34 anni, al Sud meno del 60 per cento degli uomini lavora e il 40 per cento delle donne. Nelle classi centrali di età, fra i 35 e i 54 anni, le percentuali salgono al 75 per cento per gli uomini e al 45 per cento per le donne. Complessivamente, fra il tasso di occupazione nel Sud e quello del Nord Est, ci sono, nelle varie classi di età, differenze di 15-20 punti per gli uomini, di 30-35 punti per le donne. Colmare queste differenze non basterebbe a tappare i buchi della demografia, ma sarebbe uno straordinario progresso sociale. Finora non ci siamo mai riusciti.

Maurizio Ricci

Maurizio Ricci

Maurizio Ricci

Giornalista

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