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Home - Rubriche - Giochi di potere - Non tutte le scissioni vengono per nuocere

Non tutte le scissioni vengono per nuocere

di Riccardo Barenghi
5 Marzo 2025
in Giochi di potere
Non tutte le scissioni vengono per nuocere

Ma siamo sicuri che sia stata una buona idea far nascere il Partito democratico? Siamo convinti che fosse l’unica strada possibile e giusta per consentire al centrosinistra italiano di diventare il protagonista principale della nostra vita politica e di quella sociale? Col senno di poi – ma anche con quello di prima per alcuni di noi – e alla luce di quel che sta succedendo in questi giorni e che in gran parte è già successo negli anni scorsi, forse l’idea non è stata geniale. In fondo quel Partito non è mai stato un partito, ma almeno due se non di più. E allora non sarebbe stato meglio mantenere le distanze e tenere in vita quelli che allora si chiamavano Ds e Margherita, che poi ovviamente avrebbero potuto e dovuto allearsi in campagna elettorale e dopo le elezioni qualora avessero ottenuto i voti necessari per formare una maggioranza parlamentare per andare al governo insieme?

Ormai però è troppo tardi ed è forse anche inutile piangere sul latte versato. A meno che non avanzi una strana proposta (“Ecco, s’ avanza uno strano soldato, vien dall’Oriente e non monta destrier…” diceva una vecchia canzone sulla Resistenza), che sicuramente farebbe inorridire la maggioranza di chi la legge. Diciamola allora a bassa voce e in forma interrogativa: non sarebbe il caso di dividersi amichevolmente tra coloro che nel Pd la pensano in un modo e quelli che la pensano all’opposto? Prendiamo due questioni di bruciante attualità. La prima è il riarmo dell’Europa proposto da Ursula von der Leyen, riarmo che sarebbe utile alla Difesa. Ma da chi dovremmo difenderci visto che Putin e Trump sono ormai sull’orlo della pace, costringendo Zelensky ad arrendersi all’evidenza della guerra ormai perduta? Oltretutto destinando cospicue risorse alle armi, quando invece andrebbero destinate a questioni vitali come la sanità e la scuola. E infatti quest’idea divide il Pd (e pure la maggioranza) tra chi è contrario come la segretaria Elly Schlein e i cosiddetti riformisti, altrimenti detti ex renziani, che invece applaudono a scena aperta.

La seconda questione è il referendum voluto dal segretario della Cgil Maurizio Landini, sul jobs act, referendum appoggiato dalla leader contro una legge voluta da Renzi e da tutti coloro che sono rimasti nel Pd ma che rimpiangono l’ex leader. Ora, al di là del fatto che molto probabilmente la consultazione fallirà perché non si raggiungerà il quorum necessario per renderla valida (cinquanta per cento più uno degli aventi diritto al voto, in un periodo in cui anche alle elezioni politiche vota meno della metà degli elettori…), otterrà comunque il risultato di spaccare ancora di più il Pd.

Dunque, divisi sulle armi, divisi sul lavoro, divisi anche su molte altre questioni, come il difficile rapporto con i Cinquestelle, che adesso non elenchiamo per carità di patria, uno si chiede perché continuano a restare nello stesso Partito? Perché quelli che si trovano su posizioni opposte a alle idee della maggioranza di Schlein non pensano di dar vita a un altra forza politica insieme a Renzi, Calenda, i radicali di Maggi e chi vorrà? E quelli che che invece resteranno, perché non si mettono insieme all’Alleanza Verdi-Sinistra di Bonelli e Fratoianni con i quali condividono quasi tutto?

Facile a dirsi, quasi impossibile a farsi. Le scissioni non portano fortuna a chi le fa e spesso neanche a chi resta, tuttavia sulla carta sembrerebbe un’idea di buon senso, che consentirebbe a entrambi gli schieramenti di vivere una vita più tranquilla (politicamente parlando) e di presentarsi agli elettori con una certa coerenza di pensiero e di azione politica. Nulla osterebbe, naturalmente, ad allearsi prima e dopo le elezioni per dar vita a un governo di coalizione con un programma minimo ma condiviso. Altrimenti, senza questa eventuale intesa politico-elettorale non ci sarebbe alcuna speranza di poter battere la destra di Meloni e “compagni”.

Ma è evidente – anche a chi scrive – che si tratta di un’utopia bella e buona, di un’idea che non diventerà mai realtà, di un sogno di una notte di fine inverno. Ma, come cantava Cenerentola, “i sogni son desideri… non disperare nel presente ma credi fermamente e il tuo sogno si avvererà”. Peccato però – e qui scadiamo nella vecchia pubblicità di un istituto immobiliare – che la politica non ci regala sogni ma solide (?) realtà.

Riccardo Barenghi

Riccardo Barenghi

Riccardo Barenghi

Giornalista

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