“I mutamenti tecnologici hanno inciso non solo nella modalità di esecuzione della prestazione di lavoro ma anche, se non soprattutto, sull’organizzazione delle imprese”. A sostenerlo sono Silvia Ciucciovino e Michele Faioli, consiglieri del Cnel e docenti nelle università Tor Vergata e Roma Tre, in un’analisi contenuta nel 3° Quaderno di un’apposita collana di approfondimenti tematici a cura del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro. Con questo lavoro, intervengono nel dibattito sulla gig-economy, focalizzando la riflessione sulle tutele dei lavoratori e sui cambiamenti intervenuti nell’organizzazione aziendale. In Italia, nel 2017, secondo un’indagine della Fondazione De Benedetti i lavoratori della gig-economy sono 700mila. Di questi, per 150mila la gig-economy è l’unica fonte di reddito.
“Nella gig economy le funzioni di datore di lavoro sono svolte dalla piattaforma digitale che permette la gestione dei rapporti di lavoro a essa collegati – si legge nel volume, disponibile gratuitamente sul portale del Cnel e presto come ebook sulle principali piattaforme – Il ragionamento sulle tutele applicabili ai Gig workers potrebbe muovere non tanto dai cambiamenti che l`avvento della gig-economy ha determinato nella figura del prestatore di lavoro ma, piuttosto, dal mutamento della nozione di datore di lavoro”.
“Sull`inquadramento normativo dei riders – scrive Ciucciovino – qualsiasi intervento legislativo che volesse agire sui presupposti qualificatori, fornendo una volte per tutte una disciplina per legge di simili lavori incorrerebbe nell`evidente forzatura di incasellare in uno schema dato un rapporto lavorativo che effettivamente può assumere nella realtà tante diverse fogge, con il conseguente noto problema di costituzionalità più volte affrontato dalla Consulta connesso alla disponibilità del tipo contrattuale, preclusa allo stesso legislatore. Dopo i recenti fatti di cronaca, come la morte del rider a Milano, e gli sviluppi giurisprudenziali a livello nazionale e internazionale, ci si chiede anche quale sia la prospettiva per affrontare al meglio il problema, che diventa di sempre maggiore attualità”.
“Il problema della qualificazione, lavoro autonomo o lavoro subordinato, non è sufficiente per comprendere il fenomeno. La gig-economy – aggiunge Faioli – è una forma di matchmaking tra domanda e offerta. Ci sono opportunità proposte mediante piattaforma digitale, che consentono una certa conoscibilità del mercato del lavoro e, dunque, maggiori occasioni di accesso. La cosa, spesso, si combina con esigenze personali di flessibilità e, in altre circostanze, purtroppo, si declina con forme di precarietà, anche esistenziali. Queste tesi, se condivise, potrebbero condurre la contrattazione collettiva e, probabilmente anche la legge, a prendere in considerazione l’introduzione di discipline protettive più adatte a regolare il lavoro nella gig-economy”.
TN