Pubblichiamo, allegato, l’analisi di Lorenzo Bordogna, docente di Sociologia dei Processi Economici e del Lavoro all’Università di Milano, dell’accordo Confindustria-sindacati del 9 marzo scorso, ribattezzato Patto della Fabbrica.
Per Bordogna, oltre all’importanza in sé dell’accordo, attraverso il quale le parti sociali riaffermano la centralità dei corpi intermedi in una società moderna e complessa, sono tre i punti di rilievo del documento.
Il primo riguarda il tema della rappresentanza e la necessità di una sua misurazione. Un risultato già raggiunto dai sindacati dei lavoratori con l’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011, e ora messo nero su bianco anche dalla stessa Confindustria. Il tema della pesatura della rappresentanza è strettamente collegato a quello del proliferare, soprattutto negli ultimi anni, di numeri contratti collettivi, con il rischio che questo potesse innescare forme di dumping contrattuale.
Strettamente connessa alla prima, la seconda novità sta in una possibile regolamentazione, per legge, della rappresentanza e rappresentatività degli attori sociali. Anche se sul tema la formulazione del testo non è molto chiara.
Il terzo punto riguarda la partecipazione dei lavoratori e la necessità di estendere, attraverso la contrattazione decentrata, nuovi modelli organizzativi. I cambiamenti tecnologici, soprattutto in materia di industria 4.0, richiedono infatti un ripensamento dei rapporti tra dipendenti e datori di lavoro. Un tema di certo non nuovo, ma che, per Bordogna, appare per la prima volta in un documento sindacale unitario.
Permangono, per Bordogna, alcune incertezze applicative. La prima si pone in merito alla misurazione della rappresentanza degli attori sociali. Un altro nodo riguarda la limitazione dei contratti pirata. In quest’ottica il testo propone un percorso che porti alla certificazione della rappresentanza. Se su questo punto, spiega Borgogna, il coinvolgimento delle maggiori organizzazioni sarebbe realistico, minore probabilità si avrebbe con tutte quelle sigle che verrebbero penalizzate dalla misurazione.
Una ulteriore questione è la contrattilità del contatto collettivo nazionale, come strumento di ricognizione del perimetro contrattuale, anche al fine di garantire un più stretto rapporto tra contratto e reale attività dell’impresa. Tuttavia, spiega Bordogna, come alcuni commentatori hanno sottolineato, si potrebbero sollevare problemi di natura costituzionale, in relazione all’art. 39 che sancisce la libertà sindacale.
Dunque, conclude Bordogna, i problemi di natura giuridica sembrano essere non pochi e non di poco conto.