“Serve una cura shock per i servizi pubblici: 100mila giovani nella Pa e contratti innovativi per sostenere retribuzioni, competenze e produttività”. Giovanni Faverin, segretario generale della Cisl-Fp, a pochi giorni dal primo incontro con il ministro Marianna Madia e dalle dichiarazione del premier Matteo Renzi che ha riconosciuto la necessità di mettere più soldi per i rinnovi rispetto ai 300 milioni stanziati dalla Stabilità, rilancia la proposta al governo commentando i dati elaborati dalla federazione del pubblico impiego Cisl.
“I lavoratori pubblici hanno visto crollare i salari: con il blocco contrattuale non c’è stata solo una perdita secca tra i 3mila e i 5mila euro medi per mancati rinnovi, ma le retribuzioni in termini reali dal 2009 al 2015 sono scese del 9,8%, vale a dire dell’1,7% all’anno. Gli stipendi di chi manda avanti i servizi pubblici del paese sono tornati ai livelli del 2001: un infermiere, un agente di polizia locale, un funzionario del fisco, un addetto al front-office di un comune guadagnano oggi come 15 anni fa”, spiega al Diario del Lavoro Faverin. Secondo lo studio elaborato dalla Cisl Fp su dati Istat e Ragioneria generale dello Stato, un lavoratore pubblico nel 2009, prima del blocco contrattuale e dei tetti ai fondi del salario accessorio, percepiva in termini nominali circa 4.300 euro in più rispetto ad un lavoratore dei settori manifatturieri (circa 1.500 euro in più includendo sanità privata e terzo settore). Oggi, dopo 6 anni di congelamento dei contratti le parti si sono rovesciate. Un dipendente della Pa percepisce 1.300 euro in meno all’anno di un lavoratore dell’industria (quasi 4.500 euro in meno includendo sanità privata e terzo settore), 12.250 euro in meno rispetto ad un lavoratore del settore chimico (15.000 euro in meno includendo sanità privata e terzo settore), 4.470 euro in meno rispetto ad un lavoratore del settore metalmeccanico (7.400 euro in meno includendo sanità privata e terzo settore). Senza contare che in termini di retribuzioni nette, su tutti i salari pesa anche l’aumento della pressione fiscale.
“Vogliamo contratti innovativi –insiste Faverin- e non solo un giusto aumento per i bilanci di tre milioni di famiglie. Al governo proponiamo un piano serio per la produttività: innovazione organizzativa, valutazione della performance degli enti, riorganizzazione dei servizi e dei processi produttivi, formazione, partecipazione dei lavoratori alla definizione degli obiettivi e alla misurazione, investimenti in ergonomia e digitalizzazione. Come si fa nelle migliori aziende che riorganizzano, investono e crescono, così dobbiamo fare per la più grande azienda del Paese, quella che assicura salute, previdenza, assistenza, prevenzione, integrazione, sostegno alle persone e alle imprese. Dignità professionale e giusto riconoscimento sociale ed economico, ecco cosa chiediamo”.
Ma non ci sono solo i contratti a fermare il rinnovamento nei settori pubblici. Tra il 2001 e il 2014 l’età media del personale è cresciuta di quasi sei anni e nel 2019 sarà di oltre 53 anni (oltre 54 per le donne). “Lavoratrici e lavoratori pubblici lasciati troppo spesso in un limbo, senza formazione, senza investimento nelle nuove competenze e senza che il patrimonio di esperienze maturate sul campo sia trasmesso ai giovani prima della pensione”, sottolinea il segretario della Cisl-Fp.
“E poi siamo alle soglie di un esodo drammatico per la tenuta dei servizi pubblici”, avverte ancora Faverin. Secondo le stime del sindacato, infatti, ben 210.000 persone lasceranno il lavoro entro i prossimi 5 anni, e addirittura 820.000 entro il 2026. Uscite che si aggiungono alle 74.000 cessazioni del 2013 e alle 82.000 nel 2014: in tredici anni (2013 – 2016) il totale delle uscite sarà pari a 987.000, quasi un terzo dell’intera forza lavoro al 2015, 3,2 milioni.
“Non c’è né pianificazione né programmazione da parte di governo e politica locale. La domanda non è quante nuove riforme dovremo vedere al cambiare dei governi, ma quali servizi vogliamo continuare ad assicurare al Paese, su quali nuovi servizi vogliamo investire, quali servizi vanno riorganizzati?”, prosegue il segretario di categoria Cisl. “Non servono venti nuovi decreti, ma una cura shock: centomila giovani nella Pa in tre anni per spingere l’innovazione dei servizi ai cittadini”.
“Serve un turn-over generazionale vero, a costo zero, che porterebbe una ventata di competenze, professionalità e fiducia nei servizi pubblici”. L’idea di base è semplice. E contiene tutti i calcoli di spesa necessari a renderla non solo sostenibile, ma anche vantaggiosa sul piano della spesa pubblica e della produttività delle amministrazioni: “si tratta di un ricambio generazionale che cancellerebbe progressivamente lo scandalo delle consulenze e riporterebbe alla razionalità il numero degli uffici dirigenziali”.
Gia, ma come si trovano i soldi? “Le coperture ci sono –replica il sindacalista- basta tagliare sui quasi 196mila incarichi di consulenza: via la metà già dal 2016, con un risparmio di 500 milioni, il 70% nel 2017, risparmio di 700 milioni, per arrivare al taglio del 100% nel 2018, con un miliardo pieno da mettere in cassa. I dirigenti sono troppi, se si riducono gli enti. Oggi hanno un costo di circa 20 miliardi all’anno. Bloccare per un triennio il turn-over dei dirigenti porterebbe un riequilibrio del rapporto management-dipendenti, con risparmi dell’ordine di un miliardo all’anno. Quanto basta per assicurare almeno 60mila nuovi ingressi, da sommare ai 40mila previsti in tre anni con il turn-over iper-restrittivo consegnatoci dalla legge di stabilità 2016”.
“In questo modo –garantisce Faverin- si possono ottenere risultati eccezionali. Da un lato una Pa più snella, più avanzata e più sostenibile. Dall’altro l’inserimento di tanti giovani motivati e competenti, per riallineare i servizi pubblici al sistema produttivo e ai bisogni delle persone. E infine eliminare gli squilibri territoriali, settoriali e professionali che frenano la produttività pubblica. Bisogna riaprire il mercato del lavoro pubblico e stravolgere il sistema di gestione delle risorse umane che ha concentrato troppo personale in alcuni uffici centrali e troppo poco nei tribunali, nella sicurezza, nei servizi ispettivi, nel socio-sanitario, nei servizi allo sviluppo. E poi ci sono troppi incarichi esterni inutili, e pochi quadri, pochi tecnici, pochi specialisti, pochi professionisti dell’assistenza”.
Insomma, conclude il leader Fp Cisl, “alla politica noi rispondiamo con una proposta concreta sulla nuova occupazione e sulla motivazione di chi lavora per le comunità. Un patto con i cittadini, gli imprenditori e chi vuole investire nel territorio per riprogettare la Pa”.
Schede dati: età media e cessazioni
Fonte: Mef – Rgs
Grafico 1 – Distribuzion del totale del Personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni per età e genere. Anno 2019 (proiezione)
Fonte: Mef – Rgs