L’elenco delle fabbriche che chiudono, per poco tempo o per molto, visto tutto assieme fa paura. Almeno quasi quanto l’elenco dei contagiati e dei morti per il coronavirus, che ogni giorno la protezione civile scandisce. Sono dati che si inseguono da vicino, d’altra parte: quel mondo del lavoro che non ha potuto applicare alla lettera il ‘’tutti a casa’’, talvolta si ammala, talvolta muore (vedi i due dipendenti delle Poste di Bergamo deceduti oggi a causa del virus), e sempre piu’ spesso ha paura. Si allarmano i dipendenti dei supermercati, di Amazon, delle Poste, farmacie, i panettieri, gi autisti, i fattorini, eccetera. Vale la pena di ricordare, mentre si balla sui balconi (ed e’ bello che sia cosi’) che a fronte dei cretini che violano la quarantena e le regole, c’e’ un mondo di “dannati ” costretti loro malgrado a rischiarsela ogni giorno. Ed e’ un coro, ormai, quello che sale dal mondo del lavoro a chiedere maggiore sicurezza, presidi sanitari adeguati, oppure, in caso contrario, restarsene a casa.
Il protocollo di sicurezza che sindacato, imprese e governo hanno firmato sabato scorso serve, soprattutto, a trattare condizioni di sicurezza ma, anche, di comune accordo, in mancanza di esse, a chiudere in attesa che passi la piena; e viene incontro questa esigenza anche il decreto varato ieri dal governo, con la cassa integrazione estesa a tappeto, per facilitare le cose alle aziende e ai lavoratori. Resta in ogni caso inquietante, proprio perche prova concreta della situazione in cui versa il paese, l’elenco delle fabbriche metalmeccaniche di cui si parlava prima: una dettagliata mappa regione per regione, messa nero su bianco dalla Fiom Cgil, pagine fitte di nomi aziende di ogni dimensione, da nord a sud, da est a ovest.
C’e’ Fca, ovviamente, la prima a decidere di chiudere i propri stabilimenti – da Pomigliano, a Melfi, alla Ferrari di Modena, a Cassino, Grugliasco, Mifariori ecc- per sanificare e riorganizzare il lavoro, in nome della sicurezza dei dipendenti; ma anche la prima, una volta verificata l’impossibilita’ di garantire, appunto, questa sicurezza, a decidere di comune intesa con i sindacati di chiudere tutto fino a emergenza finita. Chiuso due giorni anche il gruppo Leonardo, in attesa di verificare se si può proseguire o se si dovra’ restare sbarrati fino almeno al 25 marzo. Chiuso fino al 29 marzo il gruppo Fincantieri, fiore all’occhiello della cantieristica navale; chiuso il gruppo Electrolux per un giorno, e poi si torna ma con orario ridotto da otto a sei ore.
In Veneto sono un centinaio le grandi aziende coinvolte, da Zoppas a Permastelisa, Riello, Aermec, Fiamm, Laverda, Inglesina, Alstom; in alcuni casi lo strumento usato e’ la Cigo, in altri si ricorre alle ferie arretrate, in altri ancora, infine, si ricorre agli scioperi, per guadagnare tempo oltre che per fare pressione.
Cosi’ anche in Lombardia, cuore del contagio, in Piemonte, Emilia Romagna, ma anche in Lazio, Campania, Puglia. Chiudono Lamborghini, Ducati, Bosch, le macchine tessili della Cogne, la Omg di Modena, la Tosi di Vercelli. In alcuni casi si trovano soluzioni, come alla Nuovo Pignone di Firenze, dove i 3700 impiegati lavorano tutti in smart working, mentre tra gli operai solo 500 in sede, con mascherine, distanze di sicurezza e mensa da asporto. In altri casi, si verifica solo l’impossibilita’ di garantire alcunche’, e si sospende la produzione. Senza contare le aziende che chiudono ‘’di rimbalzo’’: come la Gkn, per esempio, che lavora in collegamento con Fca, e che finirà probabilmente per fermarsi a sua volta.
Il fatto e’ che al lavoro le persone non vogliono andare, a meno che le garanzie non siano ferree. E in un paese dove sembra impossibile reperire le famose ‘mascherine’ perfino per i medici in prima linea, non e’ facile mettere a punto un sistema di sicurezza adeguato, che va dalle necessarie sanificazioni, alle fatidica distanza di un metro, difficilmente applicabile in moltissime realta’. Di qui, la sequenza di cancelli chiusi.
Quanto potrà durare, che danni questo potrà comportare al sistema economico e produttivo nazionale, e’ presto per dirlo e forse al momento e’ anche abbastanza superfluo: finché le persone si ammalano e muoiono, finche’ gli ospedali lanciano appelli perche’ sono allo stremo, non si può chiedere a nessuno di sacrificarsi. Tanto e’ vero che le proteste dilagano ormai in tutti i settori: nella metalmeccanica, ma anche nel commercio, nella distribuzione, eccetera.
Ci sono soluzioni? Se ci sono, il sindacato, assieme alle imprese, le troverà. Se non ci sono, nel giro di qualche giorno, o settimana, ne scopriremo le conseguenze. Ma d’altra parte, se in Germania ha chiuso l’azienda simbolo Volskwagen, e in Francia, per la prima volta nella storia, ha chiuso perfino Lourdes, potrà ben chiudere per qualche giorno anche una fabbrica, un negozio, un supermercato.
Nunzia Penelope