“Oggi il sistema carcerario non è in grado di adempiere alla sua missione ossia restituire alla società persone pienamente recuperate”. Lo afferma Donato Nolè, ispettore della polizia penitenziaria e nuovo coordinatore della polizia penitenziaria per la Fp-Cgil. Questa, prosegue Nolè, è una sconfitta che colpisce prima di tutto i detenuti. Chi fuori dal carcere non ha una famiglia o una rete sociale ricade con facilità nel crimine. Alla base di tutto questo, spiega Nolè, c’è un sistema che non funziona. Strutture inadeguate, sovraffollamento, promiscuità rendono invivibile la detenzione. Gli episodi di violenza tra i carcerati e contro la polizia penitenziaria sono all’ordine del giorno. Il personale, sostiene il sindacalista della Fp-Cgil, è al di sotto dei fabbisogni per garantire la sicurezza e i servizi. I concorsi sono deserti e anche sul piano contrattuale l’aumento di 80 euro e un incremento di 60 centesimi all’ora per gli straordinari non sono il giusto riconoscimento. La politica, dice Nolè, si è dimenticata delle carceri.
Nolè la situazione nelle carceri è una ferità per la nostra democrazia. Una ferità che con l’estate è ancora più dolorosa.
È vero. L’estate è sempre il periodo più critico per chi sta in carcere. Le elevate temperature si fanno di più sentire in strutture in cemento armato che non hanno condizionatori. A questo si aggiunge il cronico problema del sovraffollamento, la promiscuità, la convivenza di persone che vengono da contesti sociali, culturali, religiosi ed economici diversi. Chi ha più disponibilità nel comprare le cose, anche il semplice pacchetto di sigarette, assume un ruolo di comando verso chi è più in difficoltà. Non bisogna poi dimenticare la mescolanza di reati diversi che di certo non è positiva. Tre le mura delle prigioni ci sono persone con disturbi psichiatrici che lì non dovrebbero stare. Ma le Rems sono insufficienti e gli ospedali giudiziari psichiatrici sono chiusi. A tutto questo si somma il fatto che le attività ricreative, da quelle sportive, ai corsi di lingua fino al teatro, con l’estate si riducono o si fermano. Questo priva i detenuti di momenti ricreativi che rendono più sopportabile la detenzione.
Quanti sono i detenuti?
Le persone nelle carceri sono, all’incirca, 61.700, quando invece possono accoglierle 45mila.
Le dure condizioni causano suicidi sia tra i detenuti che tra gli agenti? Questo triste conteggio a quanto è arrivato?
A oggi si contano 56 sucidi tra i detenuti e 5 tra la polizia penitenziaria.
Che effetti lasciano questi episodi?
Molto forti. Basti pensare al forte stress che si vive nel carcere, o al senso di impotenza, di frustrazione che colpisce un agente che interviene per primo dopo il suicido di un detenuto o di un collega, per non essere stato capace di intercettare e capire quel malessere.
Il lavoro quanto incide sul miglioramento della detenzione?
Moltissimo. Veniamo da una tradizione di case di lavoro che ha prodotto ottimi risultati, ma che si sta esaurendo. E gli esempi virtuosi non sono molti. Per certi aspetti il carcere dovrebbe essere una struttura autosufficiente, che non dovrebbe compare il pane, ma farlo al suo interno. Il lavoro restituisce dignità alle persone e una prospettiva per quando saranno fuori.
C’è poi il fenomeno delle aggressioni in forte crescita.
È una piaga che sta assumendo contorni inquietanti. Chi fa il nostro mestiere mette in conto una certa dose di pericolo, ma la violenza presente nelle carceri è una cosa mai vista prima. E anche il semplice spostamento dei più violenti non funziona. Bisogna disinnescare la violenza, non semplicemente spostarla. Parliamo poi di detenuti che assumono anche una leadership criminogena tra la popolazione carceraria. Pensi che alcuni, a cui viene negato il trasferimento, ricorrono alle aggressioni perché poi sanno che verranno spostati.
A quanto ammonta il numero degli agenti penitenziari?
Più o meno sono 40mila, anche se 30mila occupate direttamente in carcere. Un numero assolutamente insufficiente, anche perché molte si sono poi specializzate e messe a lavorare in altri contesti assolutamente importante, ma il numero degli effettivi nelle carceri non è aumentato.
C’è il giusto ricambio?
Assolutamente no. Primo perché ai concorsi si presenta un numero di candidati inferiore ai posti disponibili. Quello della guardia carceraria non è più un lavoro ambito. Inoltre molti agenti, a causa di infortuni, stress e burnout non sono più occupabili e, anche se giovani, vanno in pensione. Questo, oltre ad avere un costo, ha ripercussioni anche sul turn over che viene fatto solo sulla base delle pensioni di anzianità.
Dalla politica c’è attenzione a questa emergenza?
No, e sotto diversi aspetti.
Quali?
Sul fronte contrattuale vengono sbandierati aumenti salariali importanti ma che poi, alla fine, si riducono a 80 euro. Gli incrementi per gli straordinari si concretizzano in 60 centesimi all’ora. Molte spettanze non sono ancora state retribuite, come il lavoro svolto in più nel 2023, e le risorse messe a disposizione per quest’anno sono quasi esaurite. Sulle pene alternative, dopo la strada positiva imboccata dalla riforma Cartabia, con questo governo c’è un’inversione di tendenza. Chi esce dal carcere la percentuale di recidiva è al 70%, che scende al 15-17% per chi ha scontato una pena alternativa. E, infine, la questione delle infrastrutture. La realizzazione di un carcere nuovo richiede una pianificazione nel medio-lungo periodo che oggi manca. I più nuovi risalgono agli anni ’80, quindi hanno già quarant’anni. In alcune realtà mancano le docce e anche l’acqua. Pensiamo a quanti condizionatori potrebbero essere istallati se nei tetti venissero montati i pannelli fotovoltaici. Negli anni Duemila era stato fatto un piano di adeguamento strutturale che poi è rimasto lettera morta. Con le nostre finanze in rosso chi è che vorrebbe spendere dei soldi per i “delinquenti”?
Tommaso Nutarelli