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Ict, Forum Cernobbio: entro il 2026 servono 2,1 mln di lavoratori con skill digitali

redazione
Settembre02/ 2022

Se le aziende Ict italiane avessero un fatturato medio pari a quello delle aziende tedesche, l’Italia genererebbe 249 miliardi di euro di Pil in più, pari al 14% del Pil del 2021. Un mancato guadagno che nasconde non solo un problema di dimensionamento del tessuto imprenditoriale ma anche una carenza di competenze: per stare al passo con le esigenze di mercato circa 2,1 milioni i lavoratori devono sviluppare skill digitali di base entro il 2026. A tracciare il quadro dell’ecosistema digitale italiano lo studio “Next generation DigITALY: come promuovere l’integrazione e lo sviluppo di un ecosistema digitale per accelerare l’innovazione e la crescita del Paese”, elaborato da The european house – Ambrosetti in collaborazione con Microsoft Italia e presentato nella giornata di apertura del Forum di Cernobbio.

L’ecosistema digitale italiano è in ritardo rispetto ai leader internazionali, così come l’adozione delle nuove tecnologie digitali in tutti i comparti economici del Paese, rileva lo studio secondo cui delineare le strategie per sbloccare l’intero potenziale del digitale in Italia diventa un imperativo per il rilancio post-pandemico. Le imprese – 130 quelle intervistate per la ricerca – affermano che i più grandi ostacoli all’adozione di tecnologie digitali in Italia siano la mancanza di una cultura digitale in azienda (52% delle aziende sondate) e la carenza di competenze (48%). Di qui tre messaggi chiave per il Sistema-Paese: accrescere il capitale umano digitale, dotare il Paese di una politica industriale del digitale e avanzare decisi con il Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Il capitale umano digitale è una delle emergenze del Paese: secondo il Digital economy and society Index della Commissione Europea l’Italia è terzultima in Europa per il capitale umano digitale. Sono circa 2,1 milioni i lavoratori a cui sviluppare skill digitali di base entro il 2026 per stare al passo con le esigenze di mercato, mentre sono addirittura 20 milioni i cittadini a cui l’Italia deve fornire una formazione digitale di base entro il 2030, per centrare l’obiettivo del decennio digitale europeo di raggiungere l`80% della popolazione con skills digitali di base entro il 2030. Il problema del Paese non sono solo le skills digitali di base, ma anche quelle avanzate: l’Italia è ultima in UE per numero di iscritti a corsi di laurea in materia Ict in rapporto alla popolazione: 0,7 ogni mille abitanti, contro i 5,3 della Finlandia, leader in Europa.

Il Paese deve inoltre dotarsi di una politica industriale specifica per il digitale. Attualmente, il comparto Ict italiano risulta sottodimensionato rispetto ai competitor europei: non tanto nel numero di aziende, dove il Paese è quarto in Europa dietro a Polonia, Francia, Germania; ma è soprattutto nel dimensionamento medio delle aziende che l’Italia stenta, in nona posizione in UE. Se le aziende Ict italiane avessero un fatturato medio pari a quello delle aziende tedesche, l’Italia generebbe 249 miliardi di euro di Pil in più, pari al 14% del Pil del 2021.

Ma non è solo l`industria del digitale ad essere debole: anche l’integrazione delle tecnologie digitali negli altri comparti è uno degli ambiti di miglioramento del Paese, specie tra le aziende di piccole dimensioni, in cui il 44% mostra una totale assenza di utilizzo di tecnologie digitali. Questo nonostante il digitale sia il più potente acceleratore di innovazione: le aziende, secondo la survey, evidenziano come il principale impatto del digitale sia quello di favorire innovazione di prodotto o di processo (73% dei rispondenti) e ricerca e sviluppo (67%).

Il Paese deve, inoltre, continuare ad avanzare con decisione sul Pnrr, che rappresenta un’opportunità storica per accelerare sulla digitalizzazione del Paese, grazie ai suoi interventi per la digitalizzazione delle PA e per lo sviluppo di infrastrutture digitali moderne e competitive. L’85% delle aziende sondate ha infatti fiducia che il Pnrr possa accelerare la digitalizzazione del Paese. Dal Pnrr le imprese si aspettano un impatto trasformativo che porti a più banda, meno carta e più competenze: ovvero maggiore connettività, dematerializzazione dei processi e skills digitali.

“Il digitale è una forza di crescita e sviluppo, sostenibile e inclusivo, per il nostro Paese. In particolare oggi, in una fase in cui, anche grazie agli investimenti e azioni del Pnrr, possiamo colmare il gap di innovazione con altre nazioni e sfruttare tutte le leve che la tecnologia offre ad imprese e Pubblica Amministrazione per modernizzarsi e affrontare le nuove sfide globali – ha commentato Silvia Candiani, amministratore delegato di Microsoft Italia – Con questo studio abbiamo identificato tre aree di azione chiare. Lo sviluppo di competenze digitali, per favorire un`occupazione qualificata e allargare i benefici del digitale ai cittadini, favorendo allo stesso tempo l`innovazione di imprese pubbliche e private, la promozione di ecosistemi digitali per accelerare la digitalizzazione delle PMI e portare un contributo significativo alla crescita economica italiana. Tutto questo accade nel momento migliore in cui abbiamo una chiara traiettoria di iniziative con il Pnrr e investimenti significativi in digitale”. “Siamo pronti a unire le forze con tutti gli attori in campo – ha concluso – per rendere concrete le tre azioni propose: competenze digitali per il capitale umano italiano, un comparto digitale made in Italy e infine accelerazione sul Pnrr semplificando accesso ai programmi e fondi”.

E.G.

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